Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Le copie di Roma

Dal “Buon Pastore” alla facciata rifatta di Santa Maria Annunziata: alla scoperta, nella Capitale, delle “parentele” architettoniche con il passato nelle chiese di epoca moderna. Utile guida un’antologia in quattro volumi dei luoghi di culto catalogati quartiere per quartiere, a cura di Massimo Alemanno

Ci vuole un po’ per capire che è una magnifica illusione. Perché quell’intrico di colonne e arcate, quella cupola ardita, quelle gigantesche dimensioni evocano di primo acchito la “maraviglia” del Barocco. «Ecco, Roma stupisce ancora, anche nella moderna periferia, che subito si perde sul raccordo», dice chi, girovagando, s’allontana dai prati di Villa Pamphilj. E invece il “Buon Pastore”, come si chiama l’ex convento in via Bravetta trasformato in scuola, è un inganno architettonico ideato alla fine degli anni Trenta da Armando Brasini, l’architetto del regime che progettò anche il Giardino Zoologico e che Paolo Portoghesi definisce un «intruso nel suo tempo».

La prima citazione nella forma del “Buon Pastore” è la cupola di San Ivo alla Sapienza (tra Corso Rinascimento e piazza Sant’Eustachio) invenzione geniale del Borromini, di cui proprio quest’anno ricorrono i 350 anni dalla morte. Ma anche il chiostro dell’eclettico edificio alla Bravetta è un luogo magico, col gioco di luce e ombra delle nicchie. A Brasini però l’influsso del collega-antenato svizzero non basta. E allora va ancora più indietro nel tempo, e scomoda per l’ingresso il Bramante, “copiandone” la loggia del Belvedere in Vaticano. Il bello è poi che tanta abbondanza esterna diventa povertà nell’interno. Insomma, il “Buon Pastore” (uno scorcio, nella foto) è da goderselo soprattutto fuori, negli spazi ariosi che ancora via Bravetta si ritaglia. E invoglia ad andare a caccia, nella Capitale, dei tanti architetti che hanno rubato idee dai secoli passati, forse non tanto per pigrizia ma per omaggio devoto ai Maestri sui quali si sono formati. Lo spunto viene dai quattro volumetti di Le chiese moderne di Roma, una certosina e utile antologia quartiere per quartiere curata da Massimo Alemanno (l’ex sindaco non c’entra) ed edita da Armando. Il volume IV comprende anche gli edifici di culto delle altre confessioni e quelli post 1960 – perlopiù simili tra loro, ma con picchi di interesse come in quelli firmati da Meyer a Tor Tre Teste o da Monardo vicino alla A24 – ed è rigoroso nel trovare “parentele” architettoniche e svelare retroscena. Così individuiamo repliche del gotico e del romanico. Chiese neorinascimentali, neoliberty, neorococò. Pacchiane? Quasi mai. Piuttosto intriganti, nella sottomissione a una Capitale che di monumenti storici ne ha a iosa.

Per esempio, la Cappella Doria Pamphilj, sul piazzale della villa che è sede di rappresentanza della Presidenza del Consiglio. Il progetto è di Edoardo Collamarini e fu realizzato nel 1902. Dietro la cancellata, in fondo al Viale del Maglio, colpisce il protiro. Una scalinata, capitelli decorati come merletti, archetti, mosaico, giochi cromatici sulla facciata dicono dell’eccentricità dei principi romani che la vollero pensando ai bizantini. Un tocco di Oriente a Santa Caterina, la chiesa ortodossa in via Lago Terrione, nel territorio “russo” di Villa Abamelek, sede dell’ambasciata. Andrei Ololenskij, l’ideatore che la vide terminata nel 2009, l’ha coronata con guglia e sopra la cupola a forma di cipolla splendente nell’oro del mosaico. Fa effetto vederla davanti alla cupola per eccellenza di Roma, quella michelangiolesca della basilica di San Pietro.

All’assaggio di liberty invita il Tempio Valdese (protestante, nella foto) di piazza Cavour. Inaugurato nel 1914 e disegnato dagli italiani Paolo Bonci ed Emanuele Rutelli, smorza la supponenza del Palazzaccio contrapponendo l’eleganza dell’intonaco bianco e l’accenno al colore del mosaico sopra il portale d’ingresso che vira verso il romanico. Gotico finto ma scenografico in via del Babuino, nella chiesa “All Saints”, evangelica inglese. Fa il paio con “Saint Paul” in via Nazionale e la firma è dell’inglese George Edmond Street. Le giova la posizione d’angolo del campanile, finito nel 1937. È alto 42 metri e solo vedendolo di sguincio i romani riescono a sopportarlo, messo com’è sullo sfondo di piazza del Popolo. Ma il falso meno falso sta al civico 1 di Lungotevere Vaticano. Poco lontano, in Borgo Santo Spirito, dal 1746 c’era la Chiesa di Santa Maria Annunziata. Quando nel 1940 Mussolini decise di abbattere i Borghi per fare spazio a via della Conciliazione, anche il barocchetto del piccolo tempio fu buttato giù. Però l’Arciconfraternita di Santo Spirito non si accontentò dell’indennizzo. Pretese che la facciata della cappella fosse ritirata su esattamente com’era “attaccandola” sul retro dell’ultimo palazzo di via della Conciliazione. Insomma, niente da dire. Autentico il prospetto, finta soltanto la collocazione.

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