Alessandro Marongiu
In margine a “Quando tutto inizia”

Volo a vela

In che misura coincidono Fabio Volo scrittore e Fabio Volo personaggio? Nella soluzione di questa equazione ci sono i tratti della nostra società: un po' filosofia da Gratta&Vinci, un po' sesso proibito

Potrà sembrare un azzardo interpretativo (non lo è, vedrete), ma con il Fabiovolo-scrittore resuscita lo spirito del punk ‘77. Si diceva, assistendo agli scalmanati e non di rado approssimativi concerti di quarant’anni fa, «Se lo fanno loro, posso farlo anche io»: il contagio era immediato, e migliaia e migliaia di giovani, dopo esser stati semplici spettatori, divennero, con successo certo variabile, musicisti. Fu così ad esempio che da un’ormai leggendaria esibizione dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall di Manchester del 4 giugno 1976 nacque il seme da cui successivamente originarono Joy Division (e poi New Order), The Smiths, The Fall e Buzzcocks, oltre a realtà di capitale importanza per lo sviluppo artistico e musicale di quei tempi, e dei tempi successivi, come la Factory Records e l’Hacienda.

Con il Fabiovolo-scrittore (da qui in avanti il Fv-s) succede la stessa cosa. Il consumatore/spettatore/lettore medio(cre) assume periodicamente la sua dose di Fabio Volo-personaggio in una delle sue (o in tutte le sue, a seconda del grado di adorazione) multiple manifestazioni (televisive, radiofoniche, attoriali, scrittorie, fotografiche), e pensa, consciamente o inconsciamente: «Se ce l’ha fatta lui, posso farcela anche io». A fare che? A guadagnare soldi, molti, e a raggiungere la notorietà, senza fare o essere altro che se stesso.

A differenza di quanto avvenuto nel 1976 in Inghilterra, però, nessuno o quasi degli adoratori di Volo diventerà ricco e famoso per contagio (specie se punta tutto solo ed esclusivamente sul fare o essere sé stesso): ma intanto è bello crederci, conservare la speranza. E per tenere viva la fiamma, tra le tante altre cose, c’è da continuare ad acquistare i suoi romanzi. Con due risultati: che chi li acquista ha meno soldi di prima, e Volo invece più di prima. La dinamica non è molto diversa da quella che scatenano i Gratta&Vinci, in fondo (speri di diventare ricco spendendo qualche soldo, e invece più ricco diventa lo Stato), né da quella che ha portato milioni di italiani a votare Berlusconi (nonostante Berlusconi), vagheggiando un giorno di ottenere i suoi medesimi, magici poteri: dire il falso, contraddirsi, dare della culona inchiavabile a una tedesca, raccontare barzellette sui malati di AIDS, avere moglie e famiglia da una parte e amante bona e giovane dall’altra, bestemmiare e via discorrendo, non solo non pagando mai dazio, ma anzi potendo cancellare tutto con una battuta; e poi, ovviamente: una quantità incalcolabile di danaro, proprietà e aziende dovunque, squadre di calcio, canali televisivi eccetera. Il Fabiovolo-fenomeno, in quest’ottica, è infatti un fenomeno grandemente italico. Peccato che anche qui ci sia il fatidico “però”. Perché la dinamica, nel caso specifico, si fonda su un assunto di base fallace: quello per cui il Fabiovolo-personaggio uomo, tipo medio(cre), sarebbe “uno di noi”. Sbagliato. Anzi, quanto di più sbagliato potrebbe esserci: di Fabiovolo ce n’è uno e uno solo. Come di Berlusconi, e come di Gratta&Vinci che ti cambia la vita (sempre che lo trovi, altrimenti non c’è manco quello).

Torniamo al Fv-s. Il suo orizzonte prospettico pare essersi cristallizzato, come se un’improvvisa glaciazione l’avesse intrappolato per sempre condannandolo a immutabile fissità, alla prima adolescenza. Di conseguenza, il mondo che emerge dai suoi romanzi è sì in qualche misura problematico, ma lo è limitatamente alle capacità di comprensione e di conoscenza della realtà di un ragazzino che stia tra l’ultimo anno delle scuole medie e il primo, al massimo il secondo, delle superiori: primi dubbi esistenziali, difficoltà a vivere pienamente e serenamente le emozioni e i rapporti umani, immaginario sessuale mutuato dai film e dai telefilm (non serial dei nostri giorni, attenzione, ma telefilm: quegli degli anni Ottanta) statunitensi, ferma convinzione che ogni problema sia risolvibile e ogni frattura ricomponibile («Non riuscivo nemmeno a capire se quello che c’era stato tra noi fosse un vero litigio. Non ci sentivamo da una settimana. Con la mia ex, in una situazione di quel tipo, sapevo come comportarmi, bastava che le chiedessi scusa con il tono giusto, e dopo essermi zerbinato per bene, facevamo l’amore e tutto si aggiustava»). Non fosse che i protagonisti del Fv-s hanno tra i trenta e i quarant’anni. Come, buon ultimo, il Gabriele del fresco di stampa Quando tutto inizia.

E allora, Fv-s cantore dell’ultima generazione pre-millennial, quella delle poche certezze, come suggerirà sicuramente qualcuno (e come suggerisce, in merito al presunto sottosviluppo affettivo e relazionale, Giulia Ziino in un suo bizzarro articolo uscito su La Lettura del Corriere sabato 11: «In mezzo ci sono una storia d’amore leggera e dolce e un anno nella vita di un quarantenne come siamo in tanti»)? Lasciateci conservare più di un dubbio in proposito. Vediamo i nostri argomenti.
A un certo punto leggiamo: «Luca continuava a controllare che nessuno ci sentisse. “Vedi, tu sbagli perché ne fai un fatto personale”. Cominciavo ad accendermi perché la questione mi toccava da vicino. Luca lo sapeva, ma cercava ogni volta di farmi cambiare atteggiamento. Alla mia età il capo era già al comando da anni, poteva fare le cose a modo suo, era nella posizione in cui si trovava adesso perché quello che stava sopra di lui se ne era andato e gli aveva lasciato il timone. Io stavo ancora qui ad aspettare, come tutti quelli della mia generazione. “È una questione personale” ho detto. “Non ti rompe il cazzo che hai quarant’anni e c’è ancora uno che ti dice cosa devi fare? Stiamo invecchiando senza mai toccare il volante, si sono presi tutto e non ci hanno lasciato niente. Non ci restano molti anni per fare il nostro, lui ha avuto una vita davanti”». In questo paragrafo, è vero, il Fv-s tocca il tema della situazione lavorativa e sociale dei coetanei suoi e del suo protagonista Gabriele, però – ci sono sempre dei però: non è esattamente un’uscita che fa tremare i polsi o battere il cuore della Camusso (ma questa potrebbe essere presa per un’opinione personale); è il solo passo in cui avviene, per il resto il panorama italiano attuale è del tutto espunto dal racconto; più avanti, leggiamo: «Ecco, di nuovo la storia della famiglia. Non capivo se nelle sue parole ci fosse una sottile provocazione nei miei confronti, se mi dava addosso per scaricare il fastidio che aveva dentro. Forse se ne era accorta, perché con un tono di voce più dolce mi ha chiesto: “Tu cosa cambieresti della tua vita?”. “Mi impegnerei di più nel fare carriera”. “Mi sembri già molto impegnato”. “Non parlo del lavoro in sé. Fare carriera richiede anche altro, intelligenza, astuzie, strategie. Significa fare pubbliche relazioni, andare a cene, feste, incontri. Tutte cose che non ho mai amato”». Con una perentoria auto-confutazione, insomma, Gabriele spazza via ogni dubbio circa il ruolo della crisi economica, dei politici incapaci, del destino cinico e baro relativamente al suo status: sono dei fattori caratteriali suoi propri, del tutto individuali, ad averlo fatto e farlo ristagnare nelle retrovie della azienda in cui è occupato. Se leggesse il Fv-s, la Camusso potrebbe dormire tranquilla.

Ma almeno uno sguardo critico sui giovani e sui mala tempora della tecnologia invasiva, al Fv-s, glielo si vorrà riconoscere? Esattamente a metà del libro leggiamo: «Mentre la aspettavo in libreria ero seduto accanto a due ragazze. Parlavano del weekend appena passato. “Ho visto su Instagram che sei stata al Plastic con Paolo.” “Sì.” “Ho visto che vi siete divertiti un sacco.” “Anche io ho visto le foto della foto di Francesca. Ti ho messo il like.” “Sì ho visto”. Hanno continuato così per tutto il tempo, non facevano altro che confermarsi quello che avevano già visto, non potevano nemmeno raccontarsi quello che avevano fatto. Ho pensato quanto ero fortunato a essere vecchio, potevo farmi ancora i cazzi miei.» Sorvolando sugli accordi disfunzionali tra le battute di dialogo, neanche qui ci sarebbe da far tremare i polsi né da far battere dei cuori (ad esempio dei sociologhi, ma anche questa potrebbe essere presa per un’opinione personale), ma il vero punto è che quando c’è da farsi “i cazzi” del coniuge della sua amante, il «fortunato a essere vecchio» Gabriele che fa? «Una sera ho cercato suo marito su Facebook, ero curioso di vederlo. Facevamo l’amore con la stessa donna e non sapevo che faccia avesse. Avevo bisogno di dargli un volto»: fa esattamente quello che fanno tutti oggidì, ricorre alla tecnologia, con buona pace dei principi e delle grandi speculazioni sul declino della nostra società.

Procediamo. Prendiamo il sesso: nel libro ci sono un gran numero di episodi in cui viene chiamato in causa – del resto la relazione tra Gabriele e l’amante (poi amata) Silvia nasce così, come relazione puramente fisica –, ma quello descritto non è certo il sesso come lo vive un quarantenne di oggi, a partire dal fatto che il sesso-senza-amore conserva nelle pagine del Fv-s una latente accezione di proibito, colpevolezza e incompiutezza del tutto fuori dai tempi che sembra il frutto di un corso preparatorio alla cresima («Mi sono chiesto quanto contasse il fatto che fosse sposata, che fosse la donna di un altro. Quand’ero ragazzino, con gli amici qualche volta rubavamo chewing gum e liquirizie dal tabaccaio. Non scorderò mai l’eccitazione che provavo con le tasche piene di refurtiva, anche il loro sapore sembrava più forte. Forse Luca aveva ragione, era la fede al dito ad agganciarmi»). La stessa parola “sesso” è quasi bandita (così come “orgasmo”, sempre sostituita dalla meno compromettente “piacere”): anche quando non c’è altro che interazione di corpi (si veda il rapporto tra Gabriele e tale Giovanna), si parla sempre di “fare l’amore”. Impossibile poi sorvolare sul modo in cui è raccontato, il sesso: o meglio, sul modo in cui non è raccontato, perché ogni volta vengono in mente le scene provenienti dagli schermi USA in cui si copula con gran foga, ma sempre con gli abiti addosso, e ben abbottonati. Risulta quindi particolarmente ardita, prima che tutto rientri nell’alveo rassicurante dell’amore, una curiosa immedesimazione/sovrapposizione tra Gabriele e il suo pene (influenza di Philip Roth? Chissà. La Ziino evoca nientemeno che Freud per questo romanzo, quindi l’accostamento non si può escludere a priori), in quella che ha la forma di sineddoche (il tutto che sta per una parte): «Ero già pronto per fare l’amore. Ho desiderato scendere, infilarmi in fondo al piumone per baciarla tutta, ma lei è stata più veloce. Ho sentito le sue labbra sul mio petto, sulla pancia, sulle cosce. Dopo qualche secondo ero dentro la sua bocca» (poi continua: «Ero così eccitato che ho dovuto stare attento a non finire subito», per concludere, appunto, con «È salita sopra di me e abbiamo fatto l’amore»).

Prendiamo poi l’ambientazione: la vicenda si svolge nel nostro presente ma, fatti salvi i due paragrafi citati poco sopra, di questo presente non c’è traccia. Il romanzo (i romanzi) di Volo, infatti, è (sono) pura astrazione, altro che affresco dei trenta-quarantenni di oggi. Eccolo, l’“affresco”: un uomo incontra una donna, pensa che non ci farà altro che l’amore (cioè sesso, per il resto dell’umanità), ma poi se ne innamora e vuole di più. Lei è tentata, ma è sposata e ha un figlio piccolo: non può andare oltre e lo lascia, rimproverandogli una scarsa capacità di comprendere situazioni che non vive in prima persona. Lui si intristisce, prova a insistere ma infine desiste; lo conforta un amico, uno che per quasi tutta la storia viene descritto come un cretino, ma che quando si tratta di dare lezioni sulla natura umana si rivela per vie misteriose dotato di incommensurabili profondità. Passano sei anni: lui e lei si incontrano per caso dal ferramenta, c’è un certo imbarazzo ma poi, da dietro uno scaffale, spunta la moglie di lui a interrompere il flusso di pensieri ed emozioni incontrollabile. Insomma, quell’esperienza traumatica del passato è servita a farlo crescere e a prepararlo a sostenere una vera relazione: ciò che significa, nel libro, perfetto equilibrio tra amore (dominio dei sentimenti) e amore (dominio del corpo), con il più naturale degli esiti (se l’immaginario di riferimento è quello delle fiabe di Perrault): il matrimonio. Roba da mandare in sollucchero Papa Ratzinger. La Cirinnà e le Unioni civili e di fatto, per dire, e una società e una realtà che ormai da anni sono infinitamente più complesse e frastagliate di così: non pervenute.

Da ultimo, la lingua, lo stile e gli strumenti narrativi del Fv-s. È sintomatico, volendo usare un blando eufemismo, che la Ziino nel suo pezzo non affronti la questione – che è questione affatto ineludibile, se ci si trova davanti a tanto sfacelo.
Pare di leggere il primo tentativo di un autore particolarmente dotato: se questo autore si appresta a dare l’esame per la licenzia media, però, non se ha già otto romanzi alle spalle pubblicati da Mondadori (la quale, dello sfacelo, è vergognosamente complice, con l’aggravante di chiedere non poco al lettore, 19 euro, per un prodotto riprovevole sotto il profilo redazionale). Il lessico è limitato in maniera imbarazzante e la sinonimia pressoché inesistente («Avevamo tutta la serata di fronte a noi, e la notte, la nostra prima notte. Mi sono alzato e le sono andato di fronte»), così come l’immaginazione creativa: «Lei beveva a piccoli sorsi, bagnandosi appena le labbra. I suoi baci sapevano di vino» (pag. 16); «“Io mi bevo una birra, se preferisci ho anche del vino”. “Bevo un goccio della tua”. Le ho messo le mani sui fianchi e le ho dato un bacio, le sue labbra erano fredde e sapevano di birra» (pag. 59); «Ho preso dalla credenza un vassoio con le girelle alla cannella che avevo comprato la mattina in pasticceria. Mi ha baciato, ho sentito sulle sue labbra il sapore di cannella» (pag. 76); impressionante il numero di volte in cui i due personaggi principali si guardano “dritto negli occhi”. Non mancano naturalmente i consueti scivoloni: «Si sono sposati in chiesa perché i genitori di lei sono molto religiosi, in special modo la nonna»; la frasi scritte male: «Sono uscito dal bagno senza nemmeno sapere se fosse ancora lì o se ne fosse andata», o: «Avevo promesso che non l’avrei mai più cercata e l’ho fatto, ma è stata durissima», per dire, si badi, che non l’ha mai più cercata, cioè il contrario di quello che viene dichiarato; le insensatezze: «Ci siamo spogliati e lentamente siamo finiti a fare l’amore. Dopo, siamo rimasti avvinghiati l’uno addosso all’altra», «Con indosso solo il mio maglione e un paio di calzettoni di lana era sexy, accogliente», «Nemmeno l’auto era una buona scelta, se ci fossimo voluti abbracciare non avremmo potuto farlo per intero, solo di collo e di petto». Immancabili le verità sulla vita in forma epigrammatica che tanto celebre hanno reso il Fv-s: «La vita di ognuno di noi è piena di astucci che si chiudono segretamente» (qui c’è, è proprio il caso di dirlo, dell’ermetismo, forse residuo della sbandierata lettura da parte del Fv-s di Schopenhauer). Asinina la gestione dei piani temporali – per tutta la prima parte non si capisce in quale momento del racconto la voce narrante ripercorra la sua vicenda personale –, così come quella di modi e tempi del verbo, alternati senza alcun senso logico. Poi, infine, l’apoteosi: «Siamo restati in silenzio senza parlare».

Ecco, anche noi, spossati, divertiti per la pochezza generale, preoccupati per la quantità di copie che entreranno nelle case italiane e saranno lette dai più giovani, restiamo così: in silenzio senza parlare.

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