Francesco Arturo Saponaro
A Bucarest per il Festival George Enescu

Il palpito di Mahler secondo Pappano

Straordinario cartellone alla 21esima edizione dell’evento musicale rumeno seguito da un pubblico appassionato e numeroso. Successo per l’Orchestra e il Coro di Santa Cecilia alle prese con la monumentale Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione”

Il fenomeno più visibile è la grande partecipazione di pubblico, anche in questa 21esima edizione appena conclusa, pur di fronte a un’offerta esuberante di spettacoli, e a un discreto costo dei biglietti. A Bucarest, in Romania, il Festival George Enescu ogni due anni presenta un cartellone di concerti, con orchestre e gruppi di prestigio internazionale, che in Occidente può trovare paragone soltanto nel Festival di Lucerna, in Svizzera. Più di ottanta appuntamenti, al ritmo di due-tre nei giorni feriali e di cinque-sei nei fine-settimana. E nel programma sono presenti, ciascuna con due serate, una decina delle maggiori orchestre mondiali – senza contare quelle dell’Est Europa, tutt’altro che trascurabili – e inoltre celebri solisti, gruppi di musica da camera, insiemi specializzati in musica antica. E, a partire da questa edizione, c’è maggiore spazio anche per la musica contemporanea, e per le nuove tecnologie.

Tutto ciò è reso possibile dall’importante sostegno dello Stato e del governo romeni, in prima persona con i rispettivi presidenti. Sostegno che ha fatto ormai del Festival Enescu (intitolato al grande musicista romeno vissuto tra il 1881 e il 1955) un brand di rilievo mondiale. Ma questo avviene perché, oltre al richiamo turistico, si registra un forte coinvolgimento della popolazione. E il ventaglio di proposte è così ampio perché i pubblici sono diversi, a seconda degli interpreti e del repertorio. Più offerte per più pubblici, quindi. Alla base, c’è nel popolo romeno una notevole competenza e una grande passione per la musica, che è materia d’insegnamento per tutti dai primi anni di scuola. Tanto che ci è capitato di vedere, in uno dei concerti della celebre Orchestra del Concertgebow di Amsterdam, cambiare la coppia di spettatori accanto a noi, dopo l’intervallo. Il costo del biglietto si aggirava attorno ai nostri 40 euro, non pochi per un Paese che per adesso non può ancora reggere l’adesione alla nostra area monetaria. Ebbene, pur di esserci e non perdere quella grande orchestra, i nostri vicini si sono divisi la spesa e il concerto stesso. Una prova di interesse profondo.

Il Palatului, il grande auditorium di epoca e stile comunista al centro di Bucarest, ha una capacità teorica di 4000 posti, ma un grande pannello a ¾ della sala limita gli spettatori a 2500. Ed è sempre gremito. Così come la splendida sala neoclassica di fine Ottocento, a pianta circolare, l’Ateneul Roman con i suoi 800 posti. A conferma dell’interesse per i consumi culturali, nella capitale romena si nota la presenza di molte librerie indipendenti. Da noi invece sopravvivono con fatica all’aggressione dei megastore editoriali, così uguali e commerciali. Tornando al Festival e al suo fittissimo calendario, stupisce piuttosto l’assenza di programmi di sala almeno per i concerti principali, anche in considerazione del grande sforzo finanziario e organizzativo richiesto dallo strabiliante cartellone. Mentre dalle nostre parti ogni evento musicale è corredato dalla diffusione di un opuscolo illustrativo, una guida all’ascolto – nei teatri d’opera con cenni nelle principali lingue straniere – a Bucarest abbiamo avvertito la mancanza di questo utile supporto, se si esclude la distribuzione di un tabloid in sola lingua romena.

Strepitoso successo ha ottenuto l’esibizione dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, guidata da Antonio Pappano (nella foto) , e fiancheggiata dal Coro, preparato da Ciro Visco. Dieci minuti sono durati gli applausi finali alla magnifica esecuzione che i complessi ceciliani hanno offerto della monumentale Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione” di Gustav Mahler, con la partecipazione del soprano Rachel Willis-Sorensen e del mezzosoprano Okka von der Damerau. Un’interpretazione che ha conquistato la sala con la sua lettura caleidoscopica, poetica e vibrante a seconda dei momenti. E qui la spiccata sensibilità di Pappano ha saputo far emergere tutto il palpito teatrale del capolavoro mahleriano, valorizzando a pieno le grandi capacità di orchestra e coro.

Su un’altra sinfonia di Mahler, la Quarta in sol maggiore, si è cimentata tra l’altro anche l’Orchestra del Royal Concertgebow di Amsterdam, per molti la migliore orchestra del mondo, con il suo direttore principale, Daniele Gatti. La Quarta è una pagina che richiede una tavolozza ricca di delicatezze coloristiche e di dettagli interpretativi. E su questo terreno, come sull’intero sinfonismo mahleriano, il Concertgebow vanta un primato indiscutibile anche per la sua stessa storia, che oltre un secolo fa vide sul suo podio Mahler stesso dirigere i propri lavori. Del che si è mantenuta gelosamente nel tempo la tradizione esecutiva. Molto apprezzate dal pubblico anche una pagina di Enescu, Capriccio romeno, nella parte solistica affidata a Liviu Prunaru, impeccabile primo violino dell’orchestra olandese, e la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore di Sergej Prokof’ev. Grandi ovazioni finali. Un esito che si ripete quasi sempre negli altri appuntamenti dello straordinario cartellone.

 

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