Attilio Del Giudice
Storie d'amore e disamore quotidiano

Frammenti di coppie

«Filume,’ secondo me, ti hanno informata male. In ogni caso tu non mi vuoi bene per niente a rinfacciare queste cose in un giorno come questo». «No, Vincenzi’ ti voglio bene, ma sono contenta che ti devono operare alla prostata»

Sono contenta
Filume’ oggi ti vedo strana, c’è qualcosa?

Ti devo dire la verità, sono contenta che ti devono operare alla prostata.

Sei contenta? E perché sei contenta?

Lo so io perché.

No, mo me lo devi dire perché.

Perché così, per un po’ di tempo, non mi metti le corna.

Perché io ti metto le corna? Quando mai.

Ma tu sei convinto che mi puoi fare scema, sei convinto che scendo, locca locca, dalla montagna? Io certe cose le so e le so da molto tempo.

E sentiamo, che sai?

Vincenzi’ ce la siamo scordata quella Graziella, quella che portava la minigonna che si vedeva pure la mutanda?

Ma chi quella secca? Filume’ quelle non erano corna, era una sperimentazione.

Una sperimentazione? E che avete sperimentato?

Siccome io sto con una piuttosto in carne, che saresti tu, volevo vedere come rispondeva il sesso con una magrissima. Tutto qua.

Ho capito. E con quella famosa campionessa?

Quale campionessa?

Non farmi dire le parolacce. La ben nota signorina Gessica. Un’altra sperimentazione?

Chi la conosce? Una volta quando stava con Arturo, lui me la presentò, “piacere, piacere” poi non l’ho più vista.

Ah, non l’hai più frequentata? Guarda, Vincenzi,’ che so tutto: vi hanno visti in macchina, in campagna e avete messo pure i giornali ai vetri.

I giornali? Per fare che?

Vincenzi’, i giornali vicino ai vetri per fare le schifezze, in grazia di dio.

Ma perché tu sai che io compro i giornali?

E si vede che quella volta li hai comprati.

Filume,’ secondo me, ti hanno informata male. In ogni caso tu non mi vuoi bene per niente a rinfacciare queste cose in un giorno come questo.

No, Vincenzi’ ti voglio bene, ma sono contenta che ti devono operare alla prostata.

* * *

Le cianfrusaglie
Quel giorno il cielo era terso e la temperatura dolce, una tipica mattinata di primavera. In piazza c’era gente, che si godeva il sole di fine aprile, dopo una settimana di pioggia. La vendita delle bigiotterie non era particolarmente brillante, ma qualcosa finalmente si riusciva a fare.

Potevano essere le 11, quando improvvisamente lo vidi. Marco, la persona più importante della mia vita. Restai attonita, mi sembrò che per alcuni secondi avessi cessato di respirare. Lui sicuramente non mi aveva visto. Come mai si trovasse in quella città? Era un mistero per me. Si era un po’ ingrassato e aveva perduto un pò di capelli, ma era ancora un bell’uomo, non c’erano dubbi. Dio, quanti anni ! Diciotto anni e tre mesi. Un’eternità, eppure come tutto era vivo e presente. Se mi avesse riconosciuta, si sarebbe avvicinato e certamente avrebbe fatto dell’ironia su questa mia attività di venditrice.

Avrei voluto gridare: Marco, non mi riconosci? Sono io, sono Marcella! Hai visto, Marco, i segni del dolore sul mio viso? La caduta precipitosa della giovinezza? Quanto male ci siamo fatti, Marco, quante reciproche ferite! E i giorni delle nostre illusioni, delle nostre passioni politiche, dell’eros insaziabile, della tenerezza preziosa perché rara, viaggi in terre lontane e il figlioletto nostro che era nato morto.

Si avvicinò unna donna, molto giovane, una ragazza. Elegante, col suo tailleur bianco e il cappello dalle falde ampie, adornato da un nastro nero , come le scarpe a spillo e la borsa di Vuitton. Si baciarono. Lui, abbracciandola in vita la condusse verso il mio banco. Lei dette uno sguardo superficiale alla mia merce.

“Ti piace qualcosa?” Disse Marco. “No, per la verità non sono amante delle cianfrusaglie”. Lui sorrise. Si allontanarono lentamente.

E fu l’ultima pugnalata di Marco: non mi aveva riconosciuta.

* * *

La birra avvelenata
Ma è mai possibile che dobbiamo bisticciare per la birra? Te l’ho detto: sono d’accordo che le migliori siano olandesi, danesi, tedesche, ma ti volevo far notare che anche certe birre italiane sono rispettabilissime. Tutto qua.

No, il discorso delle birre è secondario in sé, ma è decisamente emblematico.

In che senso?

Nel senso che dimostra per la millesima volta che qualunque cosa dica, tu mi devi contraddire, tu ti devi opporre. Per te contrastarmi è come una missione, una necessità interiore.

Ma che stai dicendo? Emblematico, la missione, la necessità interiore. Ma ti rendi conto?

Come volevasi dimostrare. Io sono quella che dice le puttanate, è così?

Ma fammi capire quando ti avrei contraddetto? Fammi un esempio!

Quando? Esempio? Un’ora fa, sul corso. Quando io ho detto che quella ragazza teneva la bocca rifatta. Subito tu, sei diventato il paladino che doveva dire la sua: “Si, penso anch’io, ma è una bella ragazza”.

E invece, no! Una bella ragazza non ha bisogno di rifarsi la bocca.

Ma non c’è solo la bocca in una donna. Un uomo guarda il naso, gli occhi…

Il culo.

Smettila! Non mi piace che scivoli nella volgarità. Certe locuzioni non si addicono a una donna che presume di essere elegante.

Tu, invece, tieni le locuzioni di alto rango: l’Accademia della Crusca. Lui è Il cuginetto di Basilio Puoti. E come lo chiameresti il visibilissimo culo di quella? “Il lato B? Il sederino con annesse le intuizioni liriche?

Ma dai! Frenati, datti una regolata!

Certo, con un signorino dell’Accademia dei lincei, bisogna autocensurarsi.

Vabbè, Io comunque devo andare, si è fatto tardi.

Vai, vai! Ne hai ben donde. Quando ci vediamo?

Non lo so se ci vediamo.

* * *

Il segreto
La mafia dei fiori a Roma comincia di primo mattino, quando arrivano i tir dall’Olanda, ma prima di entrare nel mercato ufficiale per la grande distribuzione, due mammasantissimi della Camorra fanno i prezzi per il mercato delle apette. Un mercato totalmente abusivo, ma del quale si servono gli stand romani, quasi tutti in mano ai clan. Per il lavoro duro e perfino per la vendita ambulante, i più richiesti sono i pakistani e i bengalesi, che si possono reclutare a basso costo.

Mio fratello dal Bangladesh ha portato tre fotografie della famiglia, una catenina d’oro di nostra madre e la tubercolosi. E’ morto sabato.

Nando, il padrone, ha detto: “Hai visto tuo fratello? E’ morto e mi ha lasciato in mezzo ai guai. Ora devi lavorare di più se vuoi star qui.” E subito mi ha dato un nuovo incarico: siccome il furgoncino gli serve, devo portare , a piedi, i fiori, dal banco di San Paolo dove arrivano, fino allo stand in fondo al viale Giustiniano Imperatore. Ho dovuto fare tre viaggi.

Invece la donna che sta con lui è una napoletana grassottella, che mi vuole bene e mi chiama: “piccerillo” (che significa: piccoletto). Mi accarezza e mi dà i bacetti. Quando mi stringe sul petto, mi accade che il mio cosino si fa grande, io mi vergogno e spero che non ci faccia caso, ma lei ieri ci ha fatto caso.  “Che hai combinato, piccerì?”

“Che ho combinato?

“Ah, ma allora fai il furbo? Questo vedi?”

E me lo ha stretto forte. Io mi sono messo a piangere, perché mi aveva scoperto.

“Vabbe’, per questa volta, ti perdono, del resto sei il mio piccerillo, ma tu non parlarne mai con nessuno, che se lo viene a sapere Nando ci uccide, hai capito? E’ un segreto tra noi.

* * *

Lieve malore
Prendi servizio domani? Devi andare da quella parte, la scuola sta a meno di cento metri. Fai Inglese?

No, Spagnolo. Sono di madre lingua. Mia mamma è madrilena.

Perfetto, sono contenta per i miei allievi. Io abito qui, in quel palazzo con le colonne.

Caspita, che bello! E’ un palazzo aristocratico.

Si, ma sono una semplice affittuaria ed ero sul punto di andare ad abitare altrove.

Non ti trovavi bene?

No, anzi, ma …

Se non ti va di parlarne…

Figurati , posso parlarne. Si è trattato di questo: data la vicinanza con la scuola, mi facevo ‘sti quattro passi a piedi, ma era diventato un tormento per me. Vicino la scuola, al primo piano, c’era sempre seduto al balcone un uomo in pigiama. Era stato un famoso latinista, a livello mondiale. Lo avevo avuto come insegnante al liceo e tutti noi studenti lo consideravamo un genio. Poi lui ebbe la cattedra all’università La Sapienza di Roma e per una decina d’anni non lo vedemmo più. Le finestre della sua casa erano sempre sbarrate, ma un giorno lo vidi. Lo salutai e gli dissi: “ Sa, professore, insegno Italiano e Storia proprio qui alla Pascoli. Io sono stata sua allieva.”

“Vieni, sali senza mutande, ti insegnerò l’essenziale!” disse, gridando.

E queste furono le parole più pulite, perché quelle che mi rivolgeva nei giorni successivi erano di una indicibile volgarità e si riferivano a tutto quello che avrebbe fatto col mio corpo. Oscenità veramente irripetibili. Naturalmente andavo dritto a testa bassa senza rispondere, ma mi sentivo fremere dalla rabbia, anche perché c’era sempre qualcuno che rideva spudoratamente.

“E dagliela ‘sta soddisfazione!” disse un ragazzo, che portava il pane, passando in bicicletta.

Il grande latinista era impazzito, Ieri è arrivato un’autoambulanza e l’hanno portato via. Oggi nei telegiornali si è parlato di un lieve malore…. Boh.

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