Alberto Crespi
Zattere agli Incurabili

Americani, oggi

“Three Billboards” del drammaturgo inglese Martin McDonagh (con uno stupefcente Sam Rockwell) è un bellissimo film sulla provincia americana. Letta con l'occhio alieno di un regista "straniero"

Segnatevi questo titolo in vista della premiazione di sabato; e scrivetelo per esteso, perché è lungo: Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Una traduzione fedele è ancora più lunga: “Tre cartelloni pubblicitari appena fuori Ebbing, cittadina del Missouri”. Cittadina che per la cronaca non esiste: il film è stato girato nella località di Sylva, North Carolina. È in qualche misura un film “alieno” perché il regista, Martin McDonagh (nella foto sotto), è un londinese della periferia con ovvie origini irlandesi (il cognome parla chiaro). Il paragone vale relativamente, perché i due film sono diversissimi, ma anche in questo caso l’America è vista da occhi stranieri come in The Leisure Seeker di Paolo Virzì. Ma mentre il camper di Virzì sorvola lievemente il paesaggio americano concentrandosi sulla storia di due vecchietti che potrebbero essere anche russi, francesi, africani o livornesi, Three Billboards si immerge nella provincia americana e la racconta con potenza e profondità. Forse per un anglo-irlandese, anche per questioni di lingua, è più facile.

I tre cartelloni pubblicitari sono quelli che Mildred Hayes (la solita, gigantesca Frances McDormand) fa affiggere sotto casa per gridare vendetta: sua figlia Angela, tempo prima, è stata stuprata e uccisa in modo barbaro e la polizia locale brancola nel buio; di più, sembra felicissima di brancolare. Il gesto della madre disperata esplode come una bomba nella piccola comunità: tra i poliziotti c’è chi vorrebbe risolvere il caso, come il capo della polizia Willoughby (Woody Harrelson); e chi invece la prende come un’offesa personale, come lo sbirro razzista e un po’ coglione Dixon (uno stupefacente Sam Rockwell). Si vede che McDonagh è un drammaturgo: la struttura narrativa è calibratissima, i tasselli si incastrano alla perfezione, il finale è al tempo stesso aperto e sorprendente. La sapienza dello scrittore si nota nell’evoluzione dei personaggi: inizialmente sembrano tutti sgradevoli, anche la mater dolorosa chiusa nel suo sordo dolore, poi tutti – davvero tutti, tranne uno… – trovano barlumi di umanità al fondo del proprio incubo.

Frances McDormand è un’attrice superba, lo sappiamo da tempo immemorabile. Qui la rivelazione è Sam Rockwell (nella foto), che non è di primo pelo: ha 49 anni anche se ne dimostra (almeno nel film) 10-15 di meno, sembra il fratello minore e un po’ meno bello di Tom Cruise e non aveva mai avuto ruoli di tale ricchezza. Jason Dixon è un poliziotto che vive con la madre oppressiva e ha sviluppato un rapporto di dipendenza con il suo capo Willoughby. È mezzo scemo, commette errori grossolani e cova una rabbia repressa che lo rende una specie di bomba a orologeria. È ridicolo e pericoloso. A metà film – non possiamo rivelarvi perché – la rabbia lo porta alla follia, fino ad essere espulso dalla polizia. Ma troverà la forza di risollevarsi, come persona e come detective.

Three Billboards potrebbe vincere qualunque premio, anche il Leone d’oro, ma toccasse a noi la scelta daremmo la Coppa Volpi a questo attore che forse ha trovato il ruolo della vita. In attesa dei prossimi.

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