Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

L’estrema conoscenza

Torna il “battito” di Roberto Mussapi che porta sulla scena la parola poetica con tutta l’energia espressiva che possiede. Lo fa con un nuovo libro da cui è tratto il monologo di Amleto che pubblichiamo. Un Amleto sopraffatto dal troppo amore…

Nel mese di luglio annunciavo ai nostri lettori un mio libro in uscita, anticipandone un monologo, Cassandra. Dopo questa “sospensione”, (non “pausa”), di Agosto, ritorno con quel libro ora in libreria. E riprendo i criteri di fondo che lo ispirano.
Nel Novecento Thomas Stearns Eliot riformula i tre generi di poesia: lirica, epica e drammatica. Il suo teatro metafisico costituisce una novità potente nella poesia del nostro tempo. Un altro grande poeta del secolo, Mario Luzi, a un certo punto, con Ipazia, si trova a scrivere poesia drammatica, o teatro in versi. Per non parlare di un’altra anima affine, Derek Walcott, per cui poesia e teatro coincidono.
Dalla fine degli anni Ottanta opero in una direzione in cui le due realtà espressive debbano ritrovare un punto d’incontro. Pubblico ora un libro di monologhi teatrali in versi: il teatro nasce come genere poetico, con i tragici greci, e giunge al culmine con Shakespeare e Marlowe. Come scrive Maurizio Cucchi nella prefazione al mio volume, «il progetto è quello di portare sulla scena la parola poetica, ma senza diminuirne l’energia espressiva». Risparmio al lettore la stima che Cucchi manifesta confronti del mio lavoro in questo senso, sperando che i risultati siano all’altezza delle mie aspirazioni.
Oggi, sabato 16 settembre, Every beat riprende, il battito mai spento ma sospeso nell’incanto straniante di Agosto, il battito riprende a battere. Con un personaggio maschile, tragico e lottante e eroico quanto Cassandra. Eccovi Amleto. Il più grande di sempre e di tutti. Per citare Melville: «l’estrema conoscenza umana».

Hamlet, cuore-amore

Non è nebbia, Orazio, questo velo sceso

che dal fondo delle orbite nega la visione,

piagati nel nervo ottico, la mente vischiosa

forse vediamo, ma non riconosciamo.

Non nebbia, ma condensazione di lacrime,

“As tears go by” la sentii cantare

con una voce ormai lontana, mentre andava…

Orazio, prega, quando il veleno mi avrà finito,

che tutte le lacrime che Ofelia ha versato

si mutino in perle dal fondo del mare,

liberando il cielo di Elsinore dai vapori

di quelle stille angeliche ancora sospese

in questa troposfera, come un velo.

Prega che discendano fino al fondo del mare

dove s’incontrano le anime e i sogni.

Grazie al fantasma e al teatro conoscevo il vero,

e che donne come mia madre sono un mistero

mistero doloroso, fragilità, dicevo.

E giorno su giorno questa recita incubosa,

incubo, Orazio, non era lo spettro,

l’orrido e onesto portatore di vero,

l’incubo era il mio amore smisurato.

Impossibile contenerli tutti nel mio cuore.

Singhiozzando ho implorato che la mia troppo fragile carne

potesse mutarsi in limpida rugiada,

nessuno ascoltava la mia preghiera.

No, Orazio, non era, non è vuoto il cielo,

ero io che attanagliato dall’esatta visione

per troppo amore non riuscivo a pregare.

Dille, quando tra poco il veleno avrà concluso

il corso della mia vita e sarà luce

e svanirà la nebbia dagli spalti del regno,

dì a Ofelia come un vivo parla a un’anima trapassata

che io la respinsi per mandarla via

da questo regno danese che imputridiva

e amando me si sarebbe ammorbata

di tutto quanto mi ha toccato, Claudio, Polonio,

la ripugnante legge umana del potere.

“Vattene in convento!” dille che la volevo salvare

togliendola a me, al regno, a Elsinore.

Vattene in convento, volevo dire

fuggi da questo teatro e questo globo ammorbato,

oltrepassa il ponte, va’ via, amore,

trovati solo in te stessa, nel tuo cuore.

Per questo uscì di mente prima che dalle mura,

lasciandosi scivolare nell’acqua melmosa,

quello era per lei convento, la non vita,

questo io ora ho compreso.

Non conoscevo che una donna sola,

che non era una donna, era mia madre.

Ho conosciuto la donna quando Ofelia mi guardò ammutolita

di colpo persa, dolce, come… sfinita…

Ma non conoscevo, preso di lei come un fuoco,

quanto su questa scena ho capito e voluto espiare

e che ora dico a te, saggio Orazio, l’amico caro,

mentre il veleno congela il mio sangue non il suo nome,

ho appreso che una donna è molto più di un uomo:

prende tutto alla lettera, se ama.

Roberto Mussapi

(Da Voci prima della scena, Stampa 2009 Editore, 2017)

 

 

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