Valentina Di Cesare
Una storia di attese

Il vero irreperibile

«Ogni volta che la vedo non so come muovermi, che parole usare. Lei è sempre così preparata su tutto, rischio sempre di dire banalità oppure, peggio ancora, affermare cose che lei sa già da un pezzo»

Il telefono aveva squillato cinque o sei volte.

Sarà in metropolitana a quest’ora, non sentirà. Starà sicuramente venendo a prendermi in stazione!

Così aveva pensato fissando l’orologio, per poi voltare lo sguardo in alto, nel tentativo di squadrare il cielo ma subito una galleria s’era intromessa tra gli occhi e il finestrino, inghiottendo fulmineamente il pallido celeste del giorno. Fino ad allora tutto era andato come previsto: il treno era partito in perfetto orario, il piccolo Riccardo era a scuola e, nel pomeriggio, la nonna sarebbe andata a riprenderlo, lui era uscito prestissimo di casa per alcuni appuntamenti di lavoro e sarebbe rientrato molto tardi, sicuramente dopo cena; il cane, infine, era dalla dog-sitter per tutta la giornata, munito di croccantini e pipolino antistress. Ah! Ecco cosa aveva dimenticato: i biscotti di Riccardo, quelli della merenda. Questo voleva dire che la nonna gli avrebbe preparato uno dei suoi soliti grossi panini, ingolfati di olio, prosciutti e salse, il piccolo si sarebbe macchiato il maglioncino e la sera avrebbe avuto mal di stomaco. Poco male, ormai era fatta, qualcosa doveva pure andare storto. Era insolita tanta calma! Accettare lei non accettava mai con rassegnazione, ma in quel momento, nonostante la dimenticanza, le era comparso sul viso un sorriso dolciastro e prolungato: ad attenderla in stazione non ci sarebbe stata soltanto una persona in carne e ossa, da guardare negli occhi, ma un’idea fissa, un disegno preciso da portare a termine a qualsiasi costo. Quell’incontro era talmente importante che s’era premurata di controllare, la sera prima, le previsioni metereologiche come se si fosse trattato di una gita in barca; le anticipazioni sembravano favorevoli: a Milano era previsto sole, poi nel pomeriggio un peggioramento.

Spero che l’acquazzone pomeridiano non rovini tutto, ho già in mente un bel programma di cose da fare…

Di nuovo tornò con la testa al finestrino a ragionare sull’eventualità, gettando via una cicca ormai senza sapore. Rifletteva sì, ma con inquietudine, ché i pensieri in quel momento si erano espansi oltre il suo controllo, simili a chiazze di vapore sui vetri. Palpitarono per un momento le sue tempie, dove s’era insinuato un piccolo dolore ma fu un soffio e nulla più, poi mugugnando accavallò le gambe, curvandosi ad appurare, con l’aiuto della mano, che le calze non si fossero smagliate. Nessun buco, tutto a posto. Poi controllò di nuovo il telefono e niente, da lei nessuna chiamata. Forse non aveva credito. Il getto del treno s’era fatto pian piano più lento, la stazione centrale era vicina e i passeggeri iniziavano a posizionarsi lungo i corridoi. Allora aveva ripreso ad ordinare pensieri e aspettative per la giornata, come se quella rapida apprensione non le fosse mai passata per la mente: ciò che le importava in quel momento era ripassare la lezione.

Cosa le dico ora che ci vediamo? Devo prepararmi un discorso, insomma qualcosa di preciso e quando ci vedremo dovrò sembrarle rilassata, naturale, spontanea. È l’unica soluzione se voglio portarmi a casa qualche novità. Non deve accorgersene, né riconoscermi dietro queste piccole manovre, se mi scoprisse la perderei. La conosco troppo bene: non riesce a tollerare i raggiri, non ce la fa, non appena li fiuta diventa respingente. È chiaro che ne conosce l’esistenza: il più delle volte li sa individuare, perciò li evita come un’epidemia: se scoprisse che sto tentando tutto quel che posso solo per entrare nel giro, sarebbe la fine, non mi parlerebbe più. Nonostante ciò non sarebbe in grado di vendicarsi, non è nella sua natura. Disprezzare? No, non ci riesce. Non farebbe nulla, questo è certamente l’unico elemento positivo. Se mi scoprisse (ma non accadrà) semplicemente smetterebbe di parlarmi e si negherebbe al telefono al solo tentativo di darle spiegazioni. 

Prossima fermata Milano Centrale, si comunica ai gentili viaggiatori che nella prossima stazione il treno termina la corsa.

Ogni volta che la vedo non so come muovermi, che parole usare. Lei è sempre così preparata su tutto, rischio sempre di dire banalità oppure, peggio ancora, affermare cose che lei sa già da un pezzo. Dove lo troverà il tempo di capire, studiare, sapere? Perché quando la vedo ho l’impressione che, siano assenti in lei, tutte le manie di paragone che invece io metto continuamente in atto con qualsiasi essere umano mi passi vicino? Non capisco, eppure non mi sembra poi così tanto più intelligente di me e nemmeno più bella. Qualcosa c’è, ma non credo si tratti dell’intelligenza. Non è comunque questo il momento di pensarci, non devo deconcentrarmi, perciò sarà meglio che io oggi mi dia un tono, che asserisca alle sue affermazioni, che finga di conoscere tutto quel che proferisce e via seguitando. Entro oggi devo spillarle almeno un paio di nomi interessanti, insomma persone giuste alle quali rivolgermi per il mio progetto. Lei è così piena di contatti, di certo ne saprà più di me. Mi sembra di capire che abbia buoni rapporti un po’ ovunque, e poi ha il consenso di gente che è talmente di alto livello che in genere non prova stima per nessuno, eppure per lei sì.

Il timido sole milanese, che le previsioni avevano annunciato, si nascondeva ancora dietro i grattacieli e i palazzi e il cielo a quell’ora era spento, adesivo, del colore vischioso dello zucchero filato. Sarebbe rimasto così, senza accennare ad un minimo mutamento. In quel momento lo squillo del telefono fece ricadere il suo sguardo a terra, e allora giù a rovistare nella borsa , quasi buttandovisi dentro e nel frugare rabbiosamente tra una tasca e l’altra, pensava che finalmente ce l’aveva fatta e s’era degnata di richiamare quella lì. Agguantato il cellulare, rispose senza nemmeno guardare lo schermo

– Pronto?

– Buongiorno signora, sono Luca della Reven Servizi, la chiamo per informarla di una nuova vantaggiosa promozione sulla sua linea telefonica internet che le permetterà di…

Interruppe la chiamata, nervosamente. Non era lei, non era ancora lei. Ma dov’era quella, dov’era? Il treno intanto, aveva appena fatto ingresso in stazione. Provò di nuovo a richiamare sul convoglio ormai quasi fermo.

Risponde la segreteria telefonica del numero 3 1 7 0 9 8 0 9 7 1. Lasciare un messaggio dopo il segnale acustico

Ehi ciao tesoro, dove sei? Senti, sono appena arrivata Milano, il treno è perfettamente in orario. Dove ci vediamo? Facciamo una cosa: aspettami pure davanti l’uscita principale, non ti conviene salire fin su. Sono felicissima di rivederti, devo dirti molte cose e sono sicura anche tu. Ci vediamo tra poco, non vedo l’ora!”

Scendendo dal vagone si era specchiata nel riflesso di una vetrina pubblicitaria e poi aveva preso a guardarsi intorno ma sul binario non c’era nessuno ad aspettare il suo arrivo. Iniziava a pungolarla, inavvertitamente, una strana sensazione ma era necessario mantenersi sorridente, come se quella fosse stata la scena di un film e lei una comparsa, così percorse il marciapiede verso l’uscita con falcata sicura e busto eretto. Prese di nuovo il telefono, cliccò sulle ultime chiamate ma non telefonò e si disse di aspettare ora, ché aveva provato già tante volte e che doveva smetterla di implorarla quella lì. Andò ad appostarsi all’uscita, affacciando lo sguardo sulla folla, sull’andirivieni delle persone che dai negozi si spostavano verso la metropolitana, che dall’esterno si sedevano ai bar a leggere il giornale e a guardare il tabellone degli arrivi. Tutto, il movimento e i rumori, ogni cosa le sembrava inesistente e disgiunta dalla realtà, come se si fosse ritrovata ad osservare quella stazione dall’interno di un’ampolla di vetro, una di quelle sfere trasparenti che contengono pesci . Quel senso di frustrante inquietudine era riuscito ad isolare il fragore del mattino e della gente in corsa: nell’atrio centrale, mentre i suoi occhi si accanivano ad intermittenza sullo schermo del telefono muto, si erano susseguiti continuamente ingressi, passaggi e uscite di viaggiatori, ognuno diretto sul tracciato preciso del proprio impegno, della propria promessa, del proprio ritardo. La contemporaneità di tutti quegli intenti insieme al suo però, non l’aveva fatta sentire uguale agli altri perché ai suoi occhi quelle persone erano evidentemente riuscite a realizzare qualcosa o si stavano apprestando a farlo, mentre a lei era andato tutto male, anche quella volta.

Risponde la segreteria telefonica del numero 3 1 7 0 9 8 0 9 7 1. Lasciare un messaggio dopo il segnale acustico

Tesoro, dove sei? Non ti vedo arrivare e sto provando a chiamarti da parecchio. Ascolta, ti aspetto in un bar qui affianco all’entrata. Sono proprio vicino all’ingresso della biglietteria ovest! Non farmi preoccupare. Ciao bella, ti aspetto!

 

L’affanno del pensiero aveva invaso ogni suo movimento e non arrivava a placarsi: le dita si attorcigliavano l’una contro l’altra e i polpastrelli s’erano fatti scarlatti, lo sguardo si muoveva rapidamente da una parte all’altra dell’androne in cerca di un segnale, era passata più di un’ora e il suo caffè galleggiava ancora nella tazzina. Il telefono inerte giaceva distrattamente sul tavolo affianco alla borsa mezza aperta; intanto l’annuncio del treno in partenza per Livorno e quello in arrivo da Napoli Centrale s’era sovrapposto al rumore continuato della lavastoviglie del bar. Richiamò ancora, neppure uno squillo: il telefono ormai era spento.

Non verrà la bastarda.

Accavallò di scatto le gambe, voltandosi a vuoto verso l’esterno e battendo sullo spigolo del tavolino. Continuò a fissare il niente, immobile e ripiegata sulla sua mortificazione. La calza, dopo l’urto, si era bucata sul ginocchio.

Non verrà. Che bastarda! Che bastarda autoreferenziale.

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