Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

Il Trumprazzismo

Ku Klux Klan, nazisti e sinistra democratica posti sullo stesso piano: lo chiamano il «relativismo di Trum». Perciò l'America comincia a vergognarsi del suo presidente. Siamo andati per le strade a raccogliere questo fastidio

Alla Convention democratica del settembre 2012 quando Barack Obama si presentò per il secondo mandato, Michelle fece un’affermazione più volte citata in questi giorni difficili di tensioni sociali e razziali: «Essere presidente non cambia chi sei realmente, al contrario lo rivela». Proprio queste parole ci vengono in mente ascoltando quello che il presidente Trump ha detto a seguito degli incidenti di Charlottesville in Virginia dove è stata uccisa una giovane, Heather Heyer, parte di un gruppo che protestava contro i suprematisti bianchi del Ku Klux Klan e del partito neonazista. Questi ultimi erano scesi in piazza per manifestare contro la volontà di smantellare la statua del generale delle truppe confederate, Robert E Lee, che durante la guerra civile non solo si era battuto contro l’abolizione della schiavitù, ma possedeva schiavi che, secondo alcune testimonianze storiche, trattava alla stregua di animali in cattività.

Trump ha rivelato chi è davvero.

Condannando la violenza che ha portato all’uccisione di Heather Heyer da parte di un giovane suprematista bianco, ha messo sullo stesso piano i neonazisti e gli aderenti al Ku Klux Klan da un lato e l’estrema sinistra dall’altro, a sua detta anch’essa violenta e preparata allo scontro. Non so se sia vero che i partecipanti alla contro-protesta fossero armati di bastoni e fossero pronti allo scontro. Sta di fatto che è impossibile equiparare le forze neo naziste e razziste che cantano gli inni hitleriani e urlano slogan antisemiti e razzisti con coloro che vogliono che la decisione di un’amministrazione comunale, democraticamente presa, venga eseguita. Per quanto agguerriti possano essere. Le immagini dei fatti di Charlottesville atterriscono non tanto per gli scontri violenti, ma soprattutto per quello che evocano. Le fiaccole, i cappucci del Ku Klux Klan, le loro parole e i loro atteggiamenti evocano infatti un clima di terrore che forse la mia generazione non ha vissuto, ma quella che mi ha preceduto certamente ricorda. Quello che spaventa sono l’arroganza e la sfrontatezza dei suprematisti bianchi del Ku Klux Klan e del partito neonazista che non si vedevano sfilare ormai da anni in quanto, pur continuando a esistere, avevano il pudore di non manifestarsi in luoghi pubblici ormai dai lontani anni ’60.

A Charlottesville erano in tanti e tutti molto violenti con slogan che facevano accapponare la pelle per quello che a noi europei ricordano. Le parole del presidente, che non prende le distanze dai neonazisti e dai suprematisti bianchi, hanno incassato i ringraziamenti del capo del KuKlux Klan e le feroci reprimende di molti repubblicani e ovviamente dei rappresentanti della comunità ebraica e nera che, come si sente sempre più frequentemente in televisione, sono terrorizzati da un Commander in Chief da cui non si sentono salvaguardati e tantomeno protetti.

Inoltre questo relativismo trumpiano, come è stato definito, apre un dibattito mai davvero affrontato sulla storia di un paese che alle sue radici ha la segregazione e il razzismo e da cui non si è mai davvero purificato e mondato. Nonostante l’elezione del primo presidente nero. Anzi forse proprio in conseguenza di ciò. Il razzismo strisciante, infatti, rimane una macchia indelebile nella sua storia e nel suo immaginario collettivo con cui bisogna fare i conti per poterlo superare. Il paese è diviso, polarizzato, estremamente confuso. Insomma c’è un clima diverso, più cupo del solito, che non ricordo di avere mai avvertito prima.

Cosi sono andata per le strade di Chicago a chiedere alla gente cosa pensa della situazione. A quello che segue devo premettere tuttavia che Chicago – come tutto l’Illinois – è un’isola democratica, relativamente politicizzata, con una estesa minoranza nera e con una forte comunità ebraica. Inoltre, la realtà metropolitana è certamente più avanzata e progressista di quella rurale. È quella stessa da cui provengono Barack Obama, Hillary Clinton, Jessie Jackson (il quale dopo i fatti della Virginia, parlando di quello che ha definito unfinished business a proposito della guerra civile, ha recentemente affermato che non ci sono statue di Hitler in Germania). Dunque, è più difficile trovare qualcuno disposto a sostenere Trump di quanto non possa accadere nel Sud degli Stati Uniti, soprattutto in quegli stati confederati che, durante la guerra civile, lottarono per il mantenimento della schiavitù e che mantengono una presenza sotterranea (da oggi, grazie a Trump non essa sarà più tanto sotterranea…) delle forze del Ku Klux Klan e dei suprematisti bianchi.

«È inconcepibile che Trump non prenda le distanze dal Ku Klux Klan e lo metta sullo stesso piano del movimento per i diritti civili – mi dice Lisa Logan, infermiera nera quarantenne all’Ospedale di Evanston (un sobborgo a nord di Chicago) –. Mi sento gelare il sangue, ho paura per me per i miei figli al pensiero che possano riacquistare visibilità e potere i razzisti del Ku Klux Klan. Mi ritornano in mente le storie di mia nonna che nel sud non tanti anni fa mi raccontava dei linciaggi a cielo aperto di neri colpevoli soltanto di avere dato una risposta non rispettosa nei confronti di qualche bianco. E ricordava tremando lo stato di terrore in cui vivevano i neri in quelle zone».

«Non credo proprio che ci sia alcun dubbio: Trump non può fare il presidente di questo Paese. Non ne conosce la storia, non sa cosa batte nelle sue vene, non ha mai dovuto lottare per niente nella sua vita. Persone come me – mi dice Martha Bettany, impiegata di mezz’età in un’azienda farmaceutica di Chicago – che hanno sempre dovuto guadagnarsi tutto quello che hanno ottenuto, sentono la fatica di una vita fatta di sacrifici e di rinunce e non possono tollerare che la nostra storia sia cosi oltraggiata. Vuol fare l’America grande? Elimini il razzismo, prima di tutto dal suo cuore, dalle sue parole e da questo paese!.

Certo, queste persone non hanno votato per Trump. Ma anche chi l’ha fatto oggi se ne pente amaramente. «Ho creduto che potesse riportare il lavoro che dopo la crisi del 2008 tardava così tanto ad arrivare. Ma non avrei mai pensato che potesse fare affermazioni del genere. Non lo rivoterei per nessun motivo. Sono repubblicana, ma mi vergogno delle parole del presidente che non hanno scuse o attenuanti – afferma Joanna Malakris pensionata di Chicago –. Il Ku Klux Klan e i suprematisti bianchi sono un cancro da eliminare, qualcosa che mina alle radici la nostra secolare democrazia. Sono loro a dover essere eliminati. E il presidente dovrebbe esprimersi in questo senso subito e chiaramente. E non tergiversare come sta facendo».

David Steinberg, professore di storia alla Northwestern University afferma: «Sono ebreo. Discendo da persone sopravvissute all’olocausto. Non posso assolutamente tollerare l’atteggiamento di Trump. Ricorda le affermazioni di Hitler all’inizio degli anni ’30 proprio prima di prendere il potere. Accusava sempre la fasce dell’estremismo di sinistra di causare disordini e caos, quando in realtà erano proprio le camice brune a creare le violenze di strada contro ebrei e socialisti. Capisco perfettamente che c’è un processo storico su cui fare maggiore chiarezza e soprattutto su cui riflettere per dichiararlo superato. Capisco anche che il generale Robert E. Lee fa parte della nostra storia. Per nostra fortuna era dal lato sbagliato e ha perso. Dunque, come accade in molte città degli Stati Uniti che già hanno abolito le bandiere confederate e i simboli di quell’esercito, questo è qualcosa che dovrà scomparire».

Infine un giovane studente di scienze politiche all’università di Chicago, sostenitore di Bernie Sanders, Noah Daniel, manifesta tutta la propria rabbia innanzi tutto per il fatto che non sia stato scelto il suo candidato alla presidenza degli Stati Uniti e poi perché Trump è cosi ignorante e in malafede da mettere in pericolo la democrazia di questo paese. «Forse Sanders avrebbe vinto e adesso non saremmo in queste condizioni con un presidente per cui questa è una “notte in cui tutte le vacche sono nere”. E in questa confusione chi ne trae vantaggio sono proprio quelli che pescano nel torbido. Così, secondo Trump, nel Ku Klux Klan ci sono anche brave persone che erano lì a manifestare solo perché la statua di Lee fa parte della nostra storia e dovrebbe rimanere a ricordarla e non invece perché sapevano perfettamente che ci sarebbero stati anche i rappresentanti dei movimenti per i diritti civili con cui venire alle mani, mentre questi ultimi sono i violenti che si presentano alle manifestazioni con mazze ed elmetti, pronti allo scontro. Quando invece sono rimasti gli unici garanti, al posto delle istituzioni preposte a questo compito (polizia inclusa), di una democrazia che già da lungo tempo avrebbe dovuto eliminare alle radici l’intolleranza, il razzismo e le divisioni di classe che ammorbano questo paese, rendendolo, per certi versi, simile ad una repubblica delle banane».

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