Ilaria Palomba
Catalogo del Novecento

La femminilità ferita

«Una donna spezzata», il racconto che dà il titolo alla celebre racconta di Simone de Beauvoir, affonda la lama in una società che scrive in anticipo il destino delle donne

Una donna spezzata di Simone de Beauvoir è l’altra faccia della femminilità ferita, rispetto a Una donna di Sibilla Aleramo diametralmente l’opposto (clicca qui per leggere l’articolo su Una donna). È un romanzo del 1967, pubblicato all’interno dell’omonima raccolta (di racconti) che racchiude tre storie di donne, di cui il primo è il racconto lungo o romanzo breve (sono circa 130 pagine) di cui parleremo qui. Il secondo è un racconto su una feroce rottura tra una madre tradizionalista e socialista e un figlio che sceglie di non terminare gli studi e trasgredire al rigore materno. Il terzo è un potente quanto violentissimo flusso di coscienza di una madre che ha perduto la propria figlia, morta forse suicida con un’overdose di eroina.

Il primo episodio, che dà il titolo alla raccolta, è quello che prenderemo in considerazione. Si tratta di un diario di una donna di quarantaquattro anni di nome Monique, cui il marito Maurice, intraprendente medico e intellettuale, sempre in viaggio per lavoro, comincia a poco a poco ad allontanarsi, invaghito e mano a mano sempre più innamorato, se non addirittura perduto, per una donna molto diversa da Monique, ambiziosa, intraprendente, scaltra, di nome Noellie.

Il romanzo è costruito come un diario che va da settembre a marzo, ed è racchiuso al suo interno tutto il senso dell’amore, del disamore e dell’illusione, quell’illusione che le donne sanno costruirsi benissimo, di essere comunque la prima, la più importante, l’unica destinataria dell’amore dell’uomo che amano. Monique e Maurice hanno due figlie, di cui una, Lucienne, è a New York, e quasi per una sorta di reazione nei confronti del sentimentalismo della madre, è diventata una persona arida, non che sia infelice, ma neppure felice, risucchiata in una promiscuità di relazioni, rinuncia all’amore, all’abbandono emozionale. L’altra è Colette, che all’inizio sembra essere quella più fragile, Monique è preoccupata per le sue condizioni di salute, perché ha sempre la febbre, in realtà si è sposata, come dirà più tardi la sorella, con il primo uomo che le è capitato a tiro.

Nessuno in questo scenario famigliare ha davvero scelto qualcosa. A questo punto la più forte di tutte è proprio Monique, che sceglie, in qualche modo sceglie di restare, sceglie di non lottare contro il proprio dolore, di non lottare contro l’abbandono, lento e inesorabile, di un marito a sua volta smarrito nell’illusoria convinzione di mantenere entrambe le relazioni.

15 gennaio. Dovrei aprire un barattolo di conserva o far scendere l’acqua nel bagno. Ma continuerei a rimuginare i miei pensieri. Scrivere, invece, mi occupa, mi permette di evadere. Da quante ore non mangio? Da quanti giorni non mi lavo? Ho dato un permesso alla donna, mi sono rinchiusa qui dentro; hanno suonato due volte alla porta, telefonato parecchie volte: non rispondo mai, salvo alle otto di sera, a Maurice. Mi chiama tutti i giorni, puntualmente:
– Che cos’hai fatto, oggi? – dice con voce ansiosa.
Rispondo che ho visto Isabelle, Diana, o Colette, che sono stata al concerto, al cinema.
– E stasera, che cosa fai?
Dico che vado a trovare Diana o Isabelle, che andrò a teatro.
Insiste:
– Stai bene? Dormi bene?
Lo rassicuro, e gli domando com’è la neve: non straordinaria; e neanche il tempo è un granché. Dice queste cose con voce imbronciata, come se a Courchevel stesse compiendo un dovere abbastanza gravoso. E so benissimo che, appena riagganciato, se ne torna tutto sorridente al bar dove Noellie lo sta aspettando, e si rimettono a bere dei dry e a parlare dei fatti del giorno.
È quello che ho voluto?
(Simone de Beauvoir, Una donna spezzata, Einaudi, 2014, p.107)

A un certo punto, a poco più di metà del racconto, Maurice torna da Monique dopo una vacanza con Noeille. Le dice «Come se l’amassi!», e chissà perché lo fa, se lo fa perché ancora spera di poter stare con entrambe o perché semplicemente vuole convincersene per non sgretolarsi egli stesso. Le amiche di Monique sembrano insincere, o forse è lei a percepirle tali. Nei diari funziona così, i personaggi sono fagocitati dalla psicologia del protagonista e quindi, come nei monologhi, siamo completamente proiettati nello sguardo di Monique. Uno sguardo devastante, disperato, a tratti paranoico, dove tutti sono crudeli, tutti privi di tatto, o tutti menzogneri. Le era stato detto all’inizio di assecondare il marito in questa crisi di mezz’età, di lasciar fare, e lei ci prova, con tutta se stessa, soffre in silenzio, si lascia spezzare, frantumare. Dopo la telefonata però di Noeille a casa, Monique si rende conto come Maurice sia ormai completamente in suo potere, se permette alla sua amante di chiamarlo a casa, sapendo della presenza di Monique. Così si lascia andare del tutto, smette di mangiare, assume tranquillanti, si sveglia tardi al mattino, spesso all’ora di pranzo, comincia a bere, si trascura, dimagrisce, invecchia.

Il viaggio infernale prosegue sino a quando raggiunge il proprio apice con Maurice che decide di prendere un appartamento. Le dice che non la sta lasciando, che continueranno a vedersi ma farà bene a entrambi interrompere questa coabitazione. A questo punto, Monique prende un treno e raggiunge la figlia con cui non era mai andata d’accordo, Colette. In un dialogo con Colette comprende che esista solo una scelta: abbandonarsi all’amore, come lei stessa ha fatto, lasciandosi spezzare, o non permettere ai sentimenti di stravolgere l’esistenza, come ha fatto invece l’atra figlia, Lucienne. Tornerà e la casa sarà vuota. Sa che è una fine, una fine assoluta, ma intravede anche un barlume di possibilità di ricominciare. Deve ricominciare, anche se la paura sovrasta ogni cosa.

I romanzi della Aleramo e della de Beauvoir, affrontano l’epicentro della questione femminile, dalla violenza fisica all’indipendenza sofferta, dalla liberazione dal senso di colpa alla difficile scelta dell’abbandono del tetto coniugale. La Aleramo si costruisce un’immagine davvero sofferta di donna opera d’arte di sé stessa, che sacrifica il privato per la letteratura, che sacrifica qualcosa di importante come un figlio per seguire il bisogno di vivere una vita degna di questo nome. C’è l’allontanamento da un uomo possessivo, crudele, da una relazione iniziata con uno stupro, allontanamento che le costa caro, anche in termini di reputazione, e che viene giudicato spietato, narcisistico, autoreferenziale, e invece è proprio l’inizio della presa di coscienza, del percorso di consapevolezza. Dall’altro lato abbiamo la tematica dell’abbandono, del matrimonio infelice, del disamore, dell’illusione, della donna debole, fragile, che ama troppo, dona se stessa senza mediazioni, continua a illudersi e si lascia inabissare lentamente nell’ossessione della perdita. Entrambe queste figure rappresentano a pieno la donna, ieri come oggi, la drammaticità della condizione femminile, il fragile equilibrio tra desiderio e società, tra amore e libertà.

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