Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Orfeo e le Sirene

Un incanto che cancella memoria e identità si cela nella voce ammaliante degli esseri alati, donne e uccelli. Ma tutto, anche quel canto, discende dal mitico progenitore di tutti i poeti, che con la sua lira scioglie le corde del cuore…

Circe, la maga incantatrice, gli predice il primo pericolo a cui andrà incontro nel suo viaggio di ritorno verso Itaca: le Sirene, esseri magici che appaiono in mare, dalla voce che genera un irresistibile incanto. Ma quell’incanto cancella memoria e identità, trascinerà il navigatore in fondo al mare, dissolvendolo. Ulisse conosce quindi in anticipo il supremo inganno del mare, il mistero di una voce ammaliante che proviene dal canto di esseri alati, donne e uccelli, che in mare appaiono. Uccello, voce, acqua oceanica, i tre elementi si fondono nel mistero supremo e nel pericolo della perdita totale di sé, il naufragio assoluto.
L’Odissea, il poema in cui l’umanità si riconosce in una ciurma, salpata da un porto e diretta a un altro porto, e in cui nasce la letteratura di viaggio e d’avventura, ci presenta un viaggiatore naufrago e in lotta col mare. Poiché è Posidone, il signore delle onde, il suo vero nemico, e il mare è il regno dell’ignoto.
Ulisse deve sfuggire a Polifemo e ai Ciclopi, esseri giganteschi che hanno un solo occhio, e quindi una visione fissa, incapace di orizzonti laterali, e rappresentanti di un’umanità pregressa, belve umane, per dirla con Foscolo, ominidi, secondo i paleoantropologi. Esseri che rimandano a un’età antica dell’uomo, alla primigenia angoscia dell’abisso.
E, in mare, ecco apparire l’isola dei Lotofagi, i mangiatori del fiore che reca oblio, fino a farti smemorare la tua origine, la tua meta, lo scopo per cui stai viaggiando e sei partito, e quindi il tuo nome, la tua stirpe, la tua stessa significanza nel mondo. Dal mistero marino appaiono quindi i giganti preumani, prereligiosi, prememoriali, e gli incantanti nemici dell’uomo Ulisse, il quale si riconosce in coscienza, storia, identità, agonismo col tempo: i valori della Grecia nascente e di cui l’eroe di Itaca è il simbolo.
I veri nemici dell’uomo in mare, di isola in isola, di sponda in sponda, ossesso volontà del ritorno, non sono soltanto i miraggi che cercano di impedirlo, non sono quindi gli allettamenti di Calipso e di Circe, ma esseri che negano civiltà e memoria, cancellando il tempo: i bestiali Ciclopi, i mangiatori di loto.
Non la sospensione del tempo nel canto di Calipso, che reca Ulisse in un altro mondo di voce e sogno, nella grotta subacquea, ma il terribile regno del nulla: quando alla domanda di Polifemo sul suo nome Ulisse risponde «Nessuno, ti ha accecato Nessuno», non sta solo offrendo un’ennesima prova della propria astuzia, ma esprime un moto sincero, un’angosciosa quanto subitanea paura d’essere davvero nulla e nessuno.
Ma il primo di tutti questi nemici è un essere mostruoso, in parte donna in parte uccello, che appare su un’isola nel mare baluginante, nelle ore di bonaccia, ore dall’incanto malefico e paralizzante, un essere dal fascino irresistibile il cui canto trascina i naviganti verso l’abisso.Sull’isola rivelatasi d’incanto come un miraggio, distesa sul prato, e nell’attimo stesso della visione cessa ogni vento, mentre il canto irresistibile trascina a lei il viaggiatore. La sua voce che ammalia è in realtà un grido inumano che ti trascina nell’abisso, che ti cancella da te stesso, dalla tua navigazione, mentre la rotta sulla superficie dell’acqua dilegua e svanisce.
Gli orecchi dei compagni di Ulisse devono essere riempiti di cera, mentre a lui, il capo, il nocchiero, il re della piccola petrosa Itaca, il marito della tessente Penelope, è concesso udirne il canto, come si concede a un eletto. Ulisse è un iniziato in perenne iniziazione, incarna lo spirito dell’esplorazione e della sete di conoscenza, e quindi “deve” udire quel canto. Ma a patto che si faccia legare all’albero: altrimenti sarebbe trascinato alle Sirene, non resisterebbe.
Chi è, Sirena? Un essere alato, che con gli alati condivide il dono del canto, da sempre associato al cielo, alla felicità beata di chi si libra in volo allontanandosi dalla terra. Gli angeli cantano, i poeti, Shelley, Keats, Whitman, ascoltano rapiti nel canto degli uccelli, le armonie del cielo: il canto è un dono divino, e le sirene appartengono a quel regno, come le Muse, a cui solo sono musicalmente inferiori. Il loro canto irresistibile è simile a un grido, simile al suono dell’aulos, il flauto, e in qualche misura si oppone a un altro canto, anch’esso rapinoso ma del tutto diverso. È il canto di Orfeo, il poeta, la cui voce evoca e ricrea armonia, accompagnata non dal grido o dal sibilo dell’aulos, ma dalle dolci corde della lira. La poesia lirica, che scioglie le corde del cuore, è filiazione del canto e delle corde di Orfeo, l’archetipo stesso della poesia, il mitico progenitore di tutti i poeti, Orfeo che con la sua voce inteneriva le rocce e le rupi, Orfeo che muoveva al suo seguito gli alberi e le fiere, commosse e intenerite. La voce di Orfeo non annichilisce, ma ricongiunge.

 

ulisse e sirene

Verrai alle Sirene, che stregano

qualunque umano a loro si avvicini.

Chi approda ignaro e ascolta la voce delle Sirene,

mai più ritroverà la casa, la sposa festante, e i piccoli,

perché esse col loro canto armonioso lo stregano

sedute sul prato, come evanescenti:

attorno la riva è piena di scheletri,

uomini marcescenti e carni che disfanno sulle ossa.

Tu fuggi, tura le orecchie ai compagni,

sciogliendo cera dal profumo di miele,

sì che nessuno di loro possa udirle, ma se tu volessi

se ti piacesse ascoltare, fatti legare piedi e mani,

bloccato saldamente con le corde all’albero,

lì a godere in paceil canto delle Sirene.

Ma ordina ai compagni che se ordinerai di scioglierti,

disobbediscano e con nodi più duri ti stringano.

Omero
(Da Odissea, traduzione di Roberto Mussapi)

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