Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Novalis, il mago

I grandi autori del romanticismo hanno svelato una categoria antropologica che esisteva, non riconosciuta, dagli albori dell’umanità. Tra questi, il pensatore mistico tedesco è quello che più radicalmente l’ha realizzata. Attraverso la figura di Cristo…

Il romanticismo è stato un movimento spirituale, filosofico, poetico. Ma non è stato solo questo, bensì la scoperta di una costante dell’animo umano, un archetipo. Dopo i romantici e grazie ai romantici noi scopriamo che erano romantici Omero, Dante e Shakespeare, vale a dire i tre più grandi di sempre, i tre che, con encomiabile ottusità e coerenza, gli illuministi misero al bando come primitivi, ingenui, rozzi e fanciulleschi. Romantico è una categoria dell’anima: indica avventura, racconto, ebbrezza lirica, estasi, vertigine, tutto concentrato nella poesia, nella parola che non si ritrova più puro mezzo di comunicazione, ma realtà conoscente e svelante.
Romantica è la caverna di Platone, come la sua visione delle sirene che cantano quasi al pari delle muse: filosofia espressa in forma di mito, di fiaba. Romantica è l’opera di Giovanbattista Vico; l’avventura dei paleoantropologi che scendono nelle caverne per cercare, accanto alle ossa dei primi uomini e ai cavalli e bisonti dipinti, il senso ultimo e primo dell’esperienza umana nel mondo. Romantica è la competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica che cercano, negli anni Sessanta, di giungere per primi sulla luna, realizzando il sogno di Leopardi.
I grandi autori del romanticismo svelano una categoria antropologica che esisteva, fervida quanto non riconosciuta, dagli albori dell’umanità. Novalis, oltre che grande poeta, è il pensatore mistico tedesco che più radicalmente fonda e realizza il romanticismo. E i suoi Inni alla notte sono un punto fermo della realtà romantica. «Mi ripiego verso la sacra notte, impronunciabile, colma di misteri. (…) voglio precipitare in gocce di rugiada, mischiandomi con la cenere». Siamo all’inizio dell’opera, che si prefigura come un viaggio verso la notte, i misteri del buio, la culla del mondo, il regno in cui il sogno prende forma piena e la natura umana si libera. «Deve il mattino sempre ritornare? (…) Fu misurato alla luce il suo tempo; ma la signoria notturna è senza tempo e senza spazio. Eterna è la durata del sonno».
E nel cuore animico della Notte, oltre agli Inni, si levano i Canti spirituali, potenza dello spirito che si fa musica e parola. Come sentiamo, rapiti, in questo inno alla Vergine Maria. Come sempre accade, le poesie religiose più potenti non sorgono da intenzioni confessionali ma dallo scatenamento dello spirito. Scatenamento che la poesia si permette di convogliare, come acqua, e forgiare, come metallo incandescente.
Per Novalis, con una lucidità perentoria, lampante, felicemente “posseduta” quanto inconfutabile con argomentazioni logiche, il poeta deve esasperare la propria opera di conoscenza e creazione. Creare e fare coincidono e significano conoscere, il poeta deve essere cosciente della natura magica congenita al suo compito: «il vero pensatore appare come un fare, ed è davvero tale», «il vero poeta è onnisciente, è un microcosmo», «il mago è poeta».
In un fastoso squadrone (Goethe, Foscolo, Byron, Shelley, Keats, Hölderlin) di poeti ispirati da una sorta di religioso fuoco dell’“anima mundi”, un’energia vulcanica e panteista, Novalis, come Coleridge, trova invece il culmine della poesia e del romanticismo nella figura e nella realtà di Cristo. Cristianesimo e poesia convergono. L’immaginazione santifica il presente incorporando il passato. La morte e la resurrezione, come la compresenza di uomo e Dio, sono il mito supremo della poesia.

 

Novalis

Chi anche una sola volta ti ha adocchiata

non può cadere in perdizione, o Madre.

Dividersi da te, lo affliggerebbe,

per sempre ti amerà d’ardente amore,

e la memoria in lui della tua grazia

sarà il più alato slancio del suo spirito.

 

A te fervidamente mi rivolgo,

tu che discerni in me cosa mi manca.

Sii tenera con me, Madre soave,

fammi felice, adesso, con un segno.

Tutta la mia esistenza in te s’acquieta,

stammi vicino un attimo soltanto.

 

Spesso, quando ho sognato, mi sei apparsa

bellissima, intimissima al tuo cuore.

Il dio piccino che tenevi in braccio

voleva aver pietà del suo compagno;

ma tu hai levato il tuo sublime sguardo,

tornando oltre il fulgore delle nuvole.

 

Povero me! Che cosa mai ti ho fatto?

Pieno di nostalgia, ti prego ancora;

le tue cappelle sante sono o no

il luogo che dà pace alla mia vita?

Regina benedetta,

prendi di me sia il cuore che la vita.

 

Tu sai, regina amata,

che ti appartengo tutto, per intero.

Non ho da lungo tempo avuto il dono

della tua grazia mentre mi allattavi?

Ancora inconsapevole di me

bevevo il succo del tuo lieto seno.

 

Mi fosti accanto più di mille volte,

guardavo a te con brama fanciullesca;

il tuo bimbetto prese le mie mani

così da ritrovarmi anche in futuro.

Tu sorridesti piena di dolcezza

e mi baciasti, oh tempo in paradiso!

 

Ora è lontano quel beato mondo,

il lutto mi accompagna ormai da tempo,

turbato, andai su e giù vagabondando:

dunque ho peccato in modo molto grave?

Bimbo, mi aggrappo all’orlo del tuo manto,

svegliami tu da questo duro sogno.

 

Solo un bambino può guardarti in viso,

e con fiducia attendere il tuo aiuto;

allora sciogli il fascio dei miei anni,

fammi tornare ad essere il tuo bimbo.

La fedeltà e l’amore dei bambini

vivono in me da quell’età dell’oro.

Novalis
(Dai Canti sprituali, traduzione di Massimo Morasso)

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