Tina Pane
Una novella inedita

Mi chiamo Eleonora

«Sono nata portoghese a Roma, ma ho vissuto a Napoli, e qui son morta, giustiziata in piazza. Vengo spesso su questo piazzale, ora che non ho più il peso del corpo ad affaticarmi la salita»

“Mi chiamo Eleonora – o Lenor, se preferite – e ho più di 260 anni. Ho percorso Napoli in lungo e in largo, quand’ero corpo e mente, ma ora che sono solo spirito devo accontentarmi di guardarla da questo piazzale, o dai camminamenti del Castello. Da quassù la città m’appare enorme e non riesco a sentirne gli odori, così mi accosto ai capannelli dei turisti e attraverso i loro commenti rivedo le fontane a cui mi abbeveravo, i caffè affollati d’incontri, le piazze rumorose, il cielo che trafiggeva i vicoli.

Certe notti che il sonno non arriva indugio tra i percorsi di guardia e le garitte e mi pare di vedere i miei amici, i miei compagni, ma il ricordo fa male, così volgo di nuovo lo sguardo avanti, verso le luci che scendono dal Vesuvio al mare. La città dove ho vissuto la maggior parte della mia breve vita non pare più il presepe che digrada al mare che m’accolse la sera dell’arrivo, ma mi da pace.

* * *

Sono nata portoghese a Roma, e con gli occhi neri. Ho sempre avuto un buon carattere e un’intelligenza curiosa, ho sempre chiesto il nome delle cose: la pupa vo’ sapè che vor dì ‘pulentara’… Ma quando, a dieci anni, ho varcato il confine del Regno, dopo ’no viaggio ’nfame, la parlata dei Napoletani mi è sembrata subito chiarissima, e nobile il saluto: statte bbuono. Mi ero figurata che Napoli fosse grande e bianca, con mille cupole verdi di ceramica, ma è bastato il tragitto in carrozza dal posto di dogana alla casa ai Quartieri per capire che quell’immagine era posticcia come una quinta teatrale mal decorata.

Fa ampresso, mannaggia. Fa ampresso, gridavano i soldati al postiglione e noi – benché protetti dalla sudicia carrozza – abbiamo attraversato terrorizzati i luoghi della festa, osservando una popolazione indemoniata, che gridava e ballava, beveva e mangiava occupando ogni metro di strada. Era Piedigrotta, e Napoli impazziva di rumori, di suoni, di trombette di carta che facevano perepepe, di fanali e fiaccole, dell’odore di certi maccheroni lunghi, cotti e conditi in mezzo alla strada con magica abilità da un uomo sporco e malvestito.

Verso la fine del viaggio avevamo visto la Reggia, con la cascata e le vasche – capricci di re – e ora il postiglione ci mostrava Capo de Monte, la reggia nuova de tata nostro. Ma ero stanca e ogni tanto m’assopivo, anche per far tacere la girandola di emozioni che s’agitava nello stomaco. Ma che spettacolo, que lugar maravilhoso, quando arrivammo al cuore della festa, a una piazza bellissima con due straordinari palazzi illuminati da mille torce, attorniati da palme, magnolie, pini, e nel mezzo una statua che indicava il mare. I miei occhi non poterono contenere tutta quella bellezza che il vetturino elencava come una litania: Lo San Carlo. Lo Palazzo Reale. Santa Lucia. Lo Gigante. Lo San Carlo…

Poi la carrozza era riuscita a districarsi dalla folla e a inerpicarsi per certe strade strette, dove s’aprivano terranei adibiti a case, dove pendevano panni dai balconi, dove il selciato era lurido di ogni genere d’immondizia, e i muri sporchi d’orina e d’escrementi. Alla fine di questa estenuante salita avevo intravisto mio padre che agitava una lanterna, sotto il portone di un fosco palazzo nel vicolo di Santa Teresella. Lontano lontano, se alzavo lo sguardo verso la montagna, tremavo per un lucore rosso in fondo al cielo.

* * *

Sono nata portoghese a Roma, ma ho vissuto a Napoli, e qui son morta, giustiziata in piazza. Vengo spesso su questo piazzale, ora che non ho più il peso del corpo ad affaticarmi la salita. Vengo per nutrire l’anima di ricordi e di voci, di luoghi e di incontri, di dolori ed entusiasmi. Vengo perché non mi è rimasto il resto di niente, solo quella voce che mi carezza l’anima, statte bbuono.

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(Il racconto è un omaggio al romanzo storico “Il resto di niente” di Enzo Striano. Le frasi in corsivo sono tratte dal capitolo I, che descrive il primo incontro di Eleonora Pimentel Fonseca con Napoli).

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