Angela Di Maso
Ritratto d'artista

Ascoltare la materia

Paola Manfredi: «Il processo creativo del teatro comporta sempre un incontro tra l’estetica del regista e le forme e i contenuti che la materia suggerisce»

Nome e cognome: Paola Manfredi.

Professione: Regista teatrale e maestra di teatro.

Età: sessant’anni.

Quando e come hai capito di volere diventare una regista teatrale? Negli Anni Novanta. All’epoca era difficilissimo trovare un regista. Ci dirigevamo da soli. Per disperazione. Con risultati non sempre apprezzabili. Allora ho pensato di farlo seriamente.

Cosa significa costruire regie e dirigere gli attori?  Avere pazienza. Ascoltare la materia. Il processo comporta sempre un incontro tra l’estetica del regista e le forme e i contenuti che la materia suggerisce. Qualche volta il rapporto è difficile, critico. Per mettere in scena un testo accade di doverlo fare a pezzi. Una buona regia rifuggire l’effetto, il virtuosismo fine a se stesso. Crea percorsi che permettano agli attori di essere vivi in scena. E con la giusta naturalezza. La regia è un disegno che appare piano.

Il tuo film preferito? Tutti i film di Haneke, ma anche Truffaut.

Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da lei o da altri) Impossibile sceglierne uno. Ne ho visti di formidabili: La classe morta, Cafè Muller, Il Milione e il Brecht dell’Odin, gli spettacoli di Remondi e Caporossi Ho amato Al presente di Danio Manfredini. Ma anche Romeo Castelucci o di recente i Rimini Protokoll. Cose diverse tra loro e diverse da ciò che faccio. Mi piace vedere ciò che non mi somiglia. Ho la possibilità di guardare, ascoltare e imparare.

Hai lavorato con tanti attori. Cosa t’hanno dato e chi ricordi con più affetto? In realtà tendo a lavorare sempre con gli stessi. Mi piace la vita di compagnia. Ma ricordo con affetto Danio Manfredini e Luisella del Mar con cui ho cominciato molti anni fa e gli altri: Pepe Robledo, Cesar Brie, Dolly Albertin e Pippo del Bono. Tutte persone che hanno fatto parte della mia giovinezza.

SONY DSCQual è il regista da cui hai imparato di più? Danio, anche se non credo che lui si definirebbe un regista. Da lui ho imparato ad avere disciplina. A non accontentarmi. A fare e disfare. A guardare il lavoro da diversi punti di vista E poi ho visto moltissimo teatro. Ho sessant’anni. Ho avuto la fortuna di vedere i grandi.

Il libro sul comodino: Gli anni di Annie Ernaux

La canzone che ti rappresenta: Non c’è una canzone in particolare, il blues in genere direi. Mi piace pensare che Teatro periferico non sia rock, ma blues.

Prosecco o champagne? Vino rosso.

Shakespeare, Eduardo o Beckett? Beckett anche se è jazz.

Il primo bacio: rivelazione o delusione? Divertimento.

Strategia di conquista: qual è la tua? La conquista, se implica una gara, non fa per me. Io vengo fuori dopo. Sulla lunga distanza.

Categorie umane che non ti piacciono? Le maestrine che te la spiegano giusta, come se non avessi capito, e le persone che si lamentano di continuo addossando tutte le responsabilità dei loro problemi agli altri.

Il tuo teatro è ricerca sociale o azione sociale? Inizialmente più ricerca sociale, ma negli ultimi anni azione sociale.

Il sesso nobilita l’amore o viceversa? Il sesso è passione. La passione scema. L’amore resta.

Paola Manfredi9Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Credo nelle affinità elettive, ma ho sempre condiviso la mia vita con persone molto diverse da me. Deve essere il mio karma.

Costretta a scegliere: regista di prosa, cinema o lirica? Prosa.

Com’è cambiato il teatro dai tuoi esordi ad oggi?  E’ cambiato moltissimo. Io ho cominciato negli anni settanta: una generazione che cercava nel teatro una definizione di se stessa. Molta serietà, ma anche scarsissima organizzazione e grande ingenuità.

L’ultima volta che sei andata a teatro, cos’ha visto?  Be Normal di Teatro Sotterraneo.

Racconta il tuo ultimo lavoro: Ho diretto tre spettacoli quasi contemporaneamente. Tutti di nuova drammarturgia: Combattenti di Renato Gabrielli e Boccaperta e Mai nate di Tommaso Urselli. E poi c’è Mombello, scritto da Loredana Troschel, lo spettacolo sull’ex manicomio Antonini, che continua a girare. E’ uscito proprio in questi giorni un libro che racconta la storia dello spettacolo e del viaggio che ne è seguito.

Perché il pubblico dovrebbe vederlo? Perché sono testi nuovi. Ben scritti. Perché parlano di fragilità, di umanità, di solitudini. Mombello perché racconta una storia, quella dell’internamento psichiatrico, di cui ancora si sa troppo poco.

Paola Manfredi7Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice?  Non c’è un solo mondo del teatro. Ci sono piccole compagnie che cercano di sopravvivere, con passione e determinazione. Ci sono esperienze teatrali coraggiose, che aprono nuove strade. E poi certo ci sono ambienti corrotti… Quando ci sono meno soldi i pescecani si fanno meno scrupoli.

La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Mio figlio e il mio lavoro. In quest’ordine.

Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora).  Che mi chiamo Mariapaola (attaccato).

Piatto preferito: Spaghetti con le vongole. Vengo dal mare.

La morte: paura o liberazione?   La vita mi piace, vorrei non finisse mai, ho un sacco di cose da fare, ma invecchiando ci si allena all’idea della morte.

C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Non credo che ci siano condizioni di parità, come nel resto del mondo del lavoro. Però ci sono molte registe donne. Forti. Brave.

Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Se sì, perché? No. Non riesco tanto a dire di no.

Paola Manfredi6Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? No, per la stessa ragione.

Cos’è un attore?  All’inizio sulla scena c’è solo lui, l’attore, con il suo corpo, che conserva la memoria di molteplici esperienze. Poi arriva il personaggio. E l’attore si fa da parte, generosamente. Si sottrae. Ma resta lì nell’ombra. Non scompare perché ogni sera deve entrare in scena anche lui, per portare linfa nuova. L’attore condiziona il personaggio, ma anche il personaggio può condizionare l’attore.

Meglio essere: felice, serena o contenta? La felicità è meravigliosa. Ma non dura. La serenità la pratico pochissimo. Ma sono spesso contenta. L’allegria mi sta addosso bene.

Gli attori dimenticano le battute: condannati o graziati? Mi fanno arrabbiare tantissimo, ma li perdono velocemente.

Cosa rappresenta per te il pubblico? L’amico immaginario a cui parlo.

Tre pregi e tre difetti che bisogna avere e non avere per poter fare il regista. Pregi: pazienza, apertura mentale, coraggio. Difetti: non porsi mai dubbi, non ascoltare gli attori, lavorare poco in sala.

SONY DSCCosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Perderebbe una grande possibilità di riflettere su se stessa.

Gli alieni ti rapiscono e puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Di poter portare con me un amico.

La frase più romantica che tu abbia mai ascoltato in scena. Ne Le beatitudini di Fibre Parallele ho trovato molto romantica la scena in cui l’attrice più anziana danza per l’attore giovane. C’era grazia.

La frase più triste che ti sia toccato di sentire in scena. Anche in questo caso mi viene in mente un’azione teatrale: il cambio del pannolone al padre, ripetuto tante volte dal figlio, nello spettacolo Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, di Romeo Castellucci.

Gli attori vanno guidati o lasciati ai loro istinti? Guidati e valorizzati nei loro istinti.

Cosa vorresti che la gente ricordasse di te? Non saprei. Le persone più intime vorrei che mi pensassero con la stessa tenerezza con cui le ho pensate io.

Hai mai litigato con un attore/trice per una questione di interpretazione del personaggio? Molte volte. Alcuni attori mettono in campo resistenze. Qualche volta hanno solo paura oppure si abituano ad una forma e non vogliono lasciarla.

Hai mai litigato con un produttore per una questione di soldi?  Ah i soldi questi sconosciuti!

SONY DSCSe potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? Vorrei saper parlare inglese bene. Sono un disastro.

Se potessi scoprire il tuo futuro, cosa vorresti sapere? Nulla. Preferisco concentrarmi sul presente.

Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Il dolore degli altri.

Qual è il tuo ricordo più caro? La nascita di mio figlio.

E il ricordo più terribile? Il suicidio di un’amica. Sono passati trent’anni, ma è ancora lì.

Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Il sistema teatro forse è peggiorato, ma ci sono tanti buoni lavori, gruppi che lavorano seriamente, spettacoli interessanti. Di natura sono ottimista.

Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? La interrogo.

Cosa pensi delle nuove generazioni di attori che, a volte, passano direttamente dai talent al palcoscenico? Il teatro non è un’arte che si improvvisa.

Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Non è il mio mestiere. Chiamerei qualcuno più preparato di me.

Paola Manfredi4Cosa è necessario per un attore: memoria storica o physique du rôle? Il physique du rôle non mi interessa. Recitare solo ciò che è adatto al proprio aspetto non è recitare. Ci sono attori che ti sorprendono. Nella vita appaiono insignificanti, ma sulla scena si trasformano.

Perché si sente spesso dire che il teatro di regia sia morto? Io non so se è davvero morto. Forse il teatro di regia in senso classico, dove l’interpretazione del testo era affidata solo al regista che ne era garante. Oggi il teatro abbraccia un panorama più vasto, tante esperienze che prima non erano definite teatro sono entrate a farne parte, ci sono nuovi protagonisti, nuove figure. E gli attori hanno riconquistato un ruolo più importante e più autonomo.

I soldi fanno la felicità? No.

Qual è il tuo rapporto con i social network? Buono.

Il tuo rapporto con la critica. Quale quella che più ti ha ferita in questi anni. Ho buoni rapporti con i critici. Alcuni sono amici. Si discute di teatro. Talvolta abbiamo gli stessi pareri, altre volte siamo in disaccordo. Accetto le loro critiche. Buone o cattive che siano. Quando ho cominciato a lavorare c’erano critici che seguivano il lavoro di alcuni gruppi. Questo creava una sorta di protezionismo, ma era anche molto utile perché una compagnia aveva la possibilità di avviare un dialogo costruttivo con qualcuno che le restituiva una visione obbiettiva del suo lavoro. Questo lo trovavo interessante.

Poco prima dell’inizio e poi della fine di un tuo spettacolo, a cosa, o a chi, pensi? In genere non vedo gli spettacoli, li ascolto solo. Capisco se funzionano a occhi chiusi. Non penso ad altro che a quello che accade in scena.

Paola Manfredi2Il teatro riesce ancora a catalizzare la passione civile del pubblico in modo attivo? Oh sì moltissimo. Ci sono esperienze teatrali in Europa fortissime. Con Case Matte abbiamo incontrato persone che si battono con una passione e una forza incredibile.

Con i tagli economici alla cultura, il teatro diventerà un’arte di nicchia oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Il teatro è già un’arte di nicchia. Quello di ricerca poi… Speriamo di non sparire.

C’è un autore teatrale che credi sia poco considerato e che andrebbe rivalutato e rappresentato? In generale, gli autori contemporanei italiani.

Progetti futuri? Con me in paradiso, scritto da Mario Bianchi con un gruppo di giovani richiedenti asilo e il ritorno di Case Matte a Milano, nel prossimo autunno, un progetto con mostre, dibattiti, film, spettacoli, incontri sul tema della memoria degli ex manicomi.

Un consiglio a un giovane che voglia fare questo mestiere. Studiare, vedere tanto teatro, provare, provare, provare…

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