Pierluigi Pietricola
Dopo l'elezione di Trump

Politici senza parole

Non si argomenta più, le frasi sono ridotte al minimo, si procede per slogan che attecchiscano nell’immediato colpendo e discreditando l’avversario: un saggio di Mark Thompson spiega il nuovo populismo. Non solo negli Usa

Si vive in un‘epoca fortemente dominata dall’immagine. Non solo la TV ne veicola quantità inverosimili, ma perfino le ultime frontiere della tecnologia digitale privilegiano l’aspetto visivo piuttosto che quello scritto o orale. Per di più, questo modo di comunicare di forte, quasi violento, impatto sulle persone, costringe ad una ricezione delle informazioni o estremamente dinamica oppure giocoforza distratta: il tutto a scapito di un’attenzione che si renderebbe necessaria quando ci si predispone a tentare di comprendere il significato di un messaggio comunicato dai mass-media. Specie in politica. Ma è effettivamente così? Si è proprio sicuri che sia solo l’aspetto visivo a prevalere in questo momento storico-culturale della nostra epoca oppure, riflettendo meglio, le cose stanno diversamente?

Anch’io ero convinto che fosse ormai l’immagine ad aver prevalso sulla parola, e che quest’ultima avesse del tutto perso un suo ruolo dignitoso, e non solo a livello comunicativo. Mi è bastato leggere l’interessantissimo libro di Mark Thompson, Enough said. What’s gone wrong with the language of politics?, per rivedere un punto di vista adottato con fin troppa facilità. Per ora il testo è disponibile solo in lingua inglese, ma l’augurio è che qualche editore italiano, colto e lungimirante, possa acquisirne i diritti e provvedere a tradurlo. Ce n’è davvero bisogno.

mark-thompsonThompson possiede il dono di una prosa diretta, levigata, controllata, dal ritmo rapido che però non pone mai in secondo piano la precisione dell’analisi e la capacità di saper rendere evidenti i nodi cruciali di una riflessione che poggia su solide basi filosofiche, in primis, ma anche storiche e di teoria della comunicazione – aspetto, quest’ultimo, consequenziale, se si pensa che Thompson è Presidente e Direttore della New York Times Company. Tutto questo non deve far pensare che Enough said si conceda a una lettura distratta o altamente disinvolta. Sia per gli argomenti trattati che per il modo con cui certe vicende, nel corso della storia, sono accadute, l’attenzione del lettore è obbligata a rimanere vigile ed a con-partecipare, sul piano interpretativo e valutativo, a quanto l’autore man mano afferma ed analizza.

Di cosa parla il libro? Dell’involuzione tremendamente catastrofica che il linguaggio – quello utilizzato dalla politica e dai politici, naturalmente – ha avuto negli ultimi decenni. Per correttezza storica, Thompson inizia la trattazione con un accenno a quanto avvenuto nell’epoca immediatamente successiva alla fine del Secondo Conflitto Mondiale, ma poi concentra la sua attenzione su uno scorcio temporale che, per comodità, sintetizzerei con due nomi: il periodo Thatcher/Reagan e quello dei nostri giorni dominato da Donald Trump, passando per le ère di Berlusconi e Tony Blair.

Negli ultimi decenni è accaduto che il linguaggio sia andato lentamente sgretolandosi. Come sottolinea Thompson in apertura del saggio, l’aspetto linguistico oggi solo apparentemente parrebbe messo in disparte, ma in realtà è dominato – nelle sue articolazioni retoriche – da quello visivo, ne è determinato e del tutto causato. Ma in che modo? Al tempo dei regimi totalitari si utilizzavano formule retoriche di grande impatto sugli animi della popolazione. Nel secondo dopoguerra si badò, invece, ad una meticolosa precisione, soprattutto dei contenuti veicolati – ciò avvenne anche grazie ai contestuali progressi avuti in ambito scientifico. Dagli anni Settanta – epoca di grande crisi e di importanti cambiamenti sul piano sociale e culturale – attraverso la parola si badò più a persuadere che ad argomentare; tutto ciò non a scapito di una precisione nei contenuti ma, certamente, con un’attenzione maggiore all’aspetto retorico stricto sensu. L’avvento dell’era digitale insieme con l’eccesso di utilizzo delle immagini, hanno stravolto l’uso della lingua parlata. Poiché a livello visivo la comunicazione è divenuta rapida ed istantanea, altrettanto rapido deve essere l’uso comunicativo del linguaggio, ponendo – in tal modo – a margini sempre più distanti il significato.

Non si argomenta più. Le frasi sono ridotte al minimo. Si procede per slogan che attecchiscano nell’immediato e – qui la novità assoluta del linguaggio usato da Trump, ma del nostro tempo in generale – che colpiscano l’avversario da un lato aggredendolo, dall’altro inducendo il sentimento del sospetto in chi ascolta. È il trionfo della retorica o, per meglio dire: della persuasione ottenuta attraverso un uso particolare dell’arte della retorica.

trump-selfieNon si potrebbe spiegare diversamente la legittimazione, sul piano comunicativo, di un candidato come Trump, che si è posto come qualcosa di diverso rispetto a chi gli si opponeva – Hilary Clinton nella fattispecie – e, implicitamente, anche a chi ha precedentemente ricoperto il ruolo per cui concorre: quello di Presidente degli Usa. Trump promette autenticità? Attenzione! sembra dirci Thompson: nulla di più falso di un politico che afferma di esser autentico. Rispetto a chi? E a quale situazione specifica? E riguardo a che cosa?

Domande, queste, che il linguaggio politico dei nostri giorni non prevede nelle sue costruzioni, e alle quali non può né vuole rispondere. Se tutto deve essere immediato, occorre decontestualizzare, bandire il contenuto e procedere per paratassi: figura retorica usata per tenere sempre desta l’attenzione dell’uditore – “I-tell-it-like-it-is” è un tipico esempio di uso paratattico del linguaggio posto in atto da Trump.

Come difendersi? Afferma Thompson: recuperando l’arte della discrezione, della valutazione di ciò che ci viene detto, tacitando l’eccesso di rumore che ci distoglie da ciò che conta prendere in esame del linguaggio usato dai politici contemporanei. Di sicuro, Enough said è un ottimo strumento d’inizio per dare il via a un’inversione di tendenza.

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