Vincenzo Nuzzo
Terrorismo e cervelli in fuga

Fuga dalla memoria

Viviamo nell’epoca febbrile dei jet e di un apolidismo che diviene sempre più naturale. Tanto più naturale che esso si manifesta nella sua forma negativa (emigrazione per necessità) così come nella sua forma positiva (emigrazione per voglia)

Che le bombe siano un motivo più che sufficiente per e-migrare, è cosa al di fuori di ogni dubbio. Ma che le bombe possano essere anche perfino motivo per im-migrare, questo è davvero sorprendente. L’evidenza è in realtà appena una boutade, ascoltata facendo la fila in farmacia. «Ah, ciao come stai? Bene e tu? Bene, e come sta tuo figlio? Il mio sta bene, vive a Parigi, e il tuo? Il mio sta a New York! Ah questi nostri figli che vanno dietro alle bombe!». Commento amaro, amarissimo. Che distrugge in un solo colpo la moderna febbre del trasferimento migratorio a qualsiasi costo. È chiaro che questo è un padre che cerca di elaborare il lutto del distacco. Ed è chiaro che comunque i figli se ne devono andare di casa. Ma è abbastanza diverso se restano nel luogo dove sono nati e cresciuti, o invece lo abbandonano. Anche quando restano comunque nello stesso paese.

Mi rendo perfettamente conto che per molti queste sono considerazioni difficili da condividere, e forse anche difficili da seguire. Viviamo nell’epoca febbrile dei jet e di un apolidismo che diviene sempre più naturale. Tanto più naturale che esso si manifesta nella sua forma negativa (emigrazione per necessità) così come nella sua forma positiva (emigrazione per voglia). Ma che una cosa sia divenuta naturale (condivisa), deve per forza significare che sia giusta?

Il fatto è che sotto sotto l’emigrazione «per voglia» è in qualche modo un’emigrazione «per gloria». Con questo termine estremizzo la necessità che spinge molti giovani ad emigrare in cerca di un lavoro. È certo però che altro è doversene andare dalla propria terra ed altro è invece doversene fuggire. Molto in assoluto ed a rigor di logica, infatti, deve davvero andarsene solo chi deve fuggire, e cioè chi è letteralmente costretto ad abbandonare la propria terra per poter nuovamente soddisfare esigenze elementari (cibo, integrità fisica, sicurezza personale, godimento di diritti fondamentali). Tutto il resto configura invece sempre una necessità appena relativa.

Le cose divengono però ben più chiare se ci si interroga sul fenomeno psicologico-spirituale di fondo che configura la necessità assoluta di andare via, laddove essa è invece di fatto solo relativa. E qui la «necessità di lavorare» si rivela allora fortemente sospetta di costituire in gran parte un paravento per la ben più reale «necessità di gloria».

Ebbene, in che cosa consiste oggi la maggior forma di gloria? Facile! Consiste nel trionfo assoluto dell’Io. Ed allora, alla luce di questo, tutto diviene abbastanza comprensibile. La verità è infatti che oggi tendiamo così fortemente ad andare via dalla nostra terra semplicemente perché ormai la nostra identità non viene più definita collettivamente, ma invece sempre più soltanto individualmente. E quindi al di fuori di qualunque vincolo. Naturalmente il più immediato dei vincoli è quello della località, ossia quello ciò che ci sta più vicino: – il luogo circoscritto in cui viviamo e le radici che affondiamo in esso (cultura, sangue, gens, stirpe, tradizione). Ebbene tutto questo non determina più ciò che siamo. E se ancora lo fa, questo viene considerato imbarazzante (se non vergognoso).

Insomma oggi non siamo davvero qualcuno quando occupiamo nel mondo il luogo che ci è stato assegnato dalla tradizione collettiva alla quale apparteniamo. Cosa che implica sempre il restare vincolati a determinazioni che in gran parte trascendono i nostri desideri e le nostre aspirazioni, facendo sì che essi restino in gran parte insoddisfatti. Ma implica anche il restare legati alla località che ci vincola.

Invece oggi siamo davvero qualcuno solo quando il nostro Io personale forgia sé stesso, raggiungendo così il suo massimo dispiegamento senza alcun vincolo e non sperimentando così alcuna frustrazione dovuta a limiti. E ciò può accadere solo se me vado dal luogo al quale appartengo. Cosa con la quale però la tradizione locale si interrompe e si estingue.

Andandomene, io non definisco più me stesso attraverso una definizione che mi trascende, ma solo attraverso quella che non mi trascende, ossia quella che dipende solo e soltanto da me. Questo significa chiaramente solitudine, ma almeno essa è trionfale. E noi possiamo anche apprezzare questo come libertà, ma, a guardare meglio, è invece titanismo. Ora, il titanismo sappiamo tutti che conseguenze comporta. Eppure nel popolare gergo psicologistico oggi in voga questo viene chiamato «prendere la vista nelle proprie mani». È la moderna psico-igiene nietzschiana della volontà di potenza. Io sono tanto migliore quanto più efficientemente, nell’affermarmi, faccio il vuoto intorno a me.

Con le dovute eccezioni, questi sono i significati profondi di un «andarsene» che è ormai autentico fiore all’occhiello. Guai a chi non lo fa! Disoccupato o meno, se hai un figlio che non vive almeno ad un migliaio di chilometri da casa tua, non lo andare a raccontare! Dunque l’amarezza per l’emigrazione è ammissibile semmai per il padre o la madre, ma mai per il figlio! Sarebbe uno sfigato!

E così, se prima si svuotavano solo le nostre campagne, ora si svuotano pure le nostre città. Ma senza più nenie strazianti e campane a morto. No! Se vanno contenti e baldanzosi, e guai se non lo fanno. Altro segno della festa orgiastica che ormai caratterizza tutti i momenti del nostro vivere intenso. Dunque senza riguardo, senza cuore, senza memoria, per ciò che resta, noi lasciamo quelle terre alle quali ci legano il sangue e le stesse linfe vitali del corpo e dell’anima.

Le lasciamo indietro come cani rognosi. Le abbandoniamo come morte cose, mentre esse non lo sono. O almeno non lo erano prima che ce ne andassimo. Ma sta di fatto che ce ne siamo andati. Dappertutto ce ne siamo andati, ogni luogo è stato lasciato. E quindi tutto ormai muore! Tanto che le bombe e la morte ormai rappresentano molto bene questa dionisiaca ebbrezza collettiva.

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