Pier Mario Fasanotti
A proposito di “Dall’ultimo banco”

La Chiesa ignorante

Lucetta Scaraffia ha scritto un pamphlet durissimo contro la Chiesa e la sua disattenzione alla questione femminile nella storia. Un'accusa che mira molto in alto

L’accusa è forte: gran parte della gerarchia della Chiesa Cattolica è ignorante. Non tiene in conto della propria storia, malgrado sia un formidabile serbatoio narrativo in grado di facilitare l’apertura non solo alle nuove istanza e di rivalutare in profondità l’eredità verbale di Gesù. A formulare l’accusa non è un laico convinto e nemmeno un ateo. È una donna cattolica dotata di una vasta cultura. Si chiama Lucetta Scaraffia. Ha potuto partecipare al sinodo dei vescovi sulla famiglia nell’ottobre 2015. Da poco in libreria il suo libro intitolato Dall’ultimo banco, edito da Marsilio (106 pag., 12,50 euro). Questo, in sintesi, il giudizio cui è arrivata: «L’immagine che personalmente ne ho avuta è stata di una Chiesa che crede di poter andare avanti così, senza un rapporto vivo con la sua storia, senza confronto con il mondo esterno. E soprattutto senza donne».

L’autrice rileva che le gerarchie ecclesiastiche persistono a guardare con sospetto il genere femminile, anzi provano fastidio le “pretese” delle donne. Ciò si spiega perché fanno coincidere le istanze delle donne con la questione del sacerdozio. E ancora: non riescono a cogliere «la profonda essenza cristiana, anche perché pochi danno la netta sensazione «di leggere ciò che le donne scrivono». Peggio ancora: «Pochi sembrano convinti che ascoltare una missionaria possa aprire loro un mondo spirituale profondo e nuovo», evitando così di «imparare molto dalle sue parole». Accantonata o addirittura non udita la richiesta rivolta ai vescovi d papa Francesco, nel novembre ’15, di aprirsi per rinnovarsi. Il pontefice, nella sua apparente bonarietà, è stato duro nel condannare chi preferisce «il rifugio di qualche porto sicuro», rinunciando in questo modo di «prendere il largo sulla parola di Gesù». Francesco ha infine ribadito: «la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare».

Indubbiamente forte il suo intervento perché va direttamente “in corpore” di una questione basilare. Scaraffia definisce «disinvolta» l’ignoranza degli alti prelati verso la storia. Il punto dolente è che il loro ignorare si allarga alla storia dello stesso cristianesimo, che a volta pare sia «un inutile fardello mnemonico». Il ché significa «non sapere chi si è». Quanto poi alla teologia l’autrice rileva che se separata dalla storia diventa «un feticcio», con il pericolo che si arrivi a una ideologizzazione estrema. Come mai? Dal 1873 vennero soppresse nelle università statali italiane le facoltà teologiche, a differenza dei paesi di lingua tedesca e inglese. Il risultato? In tal maniera la teologia «è rimasta chiusa nel ristretto perimetro cattolico, controllata rigidamente dall’autorità ecclesiastica. In questo contesto appare evidente che i teologi sono stati sottratti al confronto con la cultura laica. Insomma: una chiusura autoreferenziale, un mondo asfittico. Da parte scientifica si sono levati forti avvertimenti. Venne sottovalutato uno studioso del calibro di Claude Lévi-Strauss il quale (soprattutto in Tristi tropici) cambiò il modo di pensare e di sentire il rapporto con le culture “altre”. Grazie a lui, rammenta Lucetta Scaraffia, «il mondo occidentale non è più una norma assoluta, ma solo una maniera, fra le altre, di percepire il mondo o di entrare in contatto con esso».

L’antropologo francese René Girard ha più volte sottolineato «il ruolo risolutivo e innovativo della figura di Gesù. La Chiesa, se si percorre il suo cammino, è l’unica istituzione a tenere le donne relegate in ruoli marginali e subordinati, senza mai aprirsi a loro, o ascoltarle, in momenti decisivi. A questo riguardo chi scrive ha un’obiezione all’autrice di Dall’ultimo banco: il mondo islamico fornisce sulla questione femminile esempi più che brutali. Siamo in ogni caso in regime di arretratezza, di “ginecofobia”. Qualcuno ricorda Ildegarda di Bingen che attorno all’anno Mille predicava nel duomo di Colonia? Oppure ci si dimentica anche di Caterina da Siena, che parlava, ed era ascoltata, addirittura in un sinodo? Eppure la figura di Caterina dovrebbe essere nota ed emblematica. Annota Scaraffia: la santa di Siena è riuscita a farsi ascoltare solo a condizione di dare per scontato che proprio per la sua ignoranza, per il suo essere povera donna, Dio la scelse per inviare un messaggio ai potenti. «Come dire che così» annota Scaraffia «il messaggio sarebbe arrivato puro, senza manipolazioni dovute alla cultura del testimone». Sta di fatto che nelle lettere ai leader dell’epoca Caterina fu capace di delineare lucidamente il contesto politico. Tra le sue acutissime righe si può leggere che in mano sua la Chiesa sarebbe stata governata meglio. Gli interventi di Caterina hanno come perno la sua straordinaria intelligenza. Lo stesso dicasi della tedesca Ildegarda.

scaraffia dall'ultimo bancoAnche la spagnola Teresa d’Avila anticipò, per così dire, le istanze femministe, invitando i preti ad accorgersi davvero della presenza «nuova e decisiva» delle donne nel Vangelo. Dinanzi all’obiezione per cui San Paolo proibì alle donne di parlare in chiesa riducendole quindi alla più stretta clausura, Teresa replicò:«Vagli a dire che non stiamo solo a una parte della Scrittura, che guardino alle altre, e che si possono per caso permettere di legarmi le mani». A proposito del Nuovo Testamento ci sarebbe da meditare, di più e meglio, sulla predicazione di Gesù rivolta sia agli uomini che alle donne. La rivista internazionale di teologia Concilium nel 1976 contenne l’autorevole intervento della studiosa Elisabeth Schssler Fiorenza, in cui si affermava che «nel primo cristianesimo le donne svolgevano ruoli molto più significativi e liberi, forse uguali perfino a quelli degli apostoli». Detto a margine: le donne ebbero un ruolo primario anche nelle eresie.

Esistono poi donne meno note, come Margherita Maria Alacoque che, nel Seicento “inventò” il simbolo religioso di maggior successo nella storia della Chiesa: il Sacro Cuore. Come suggerisce il filosofo Massimo Cacciari, a impedire la parità uomini-donne, fu un freno, un katékon (linguaggio di Paolo nella  seconda lettera ai tessalonicesi), così da guardare al sacerdozio femminile proprio in funzione di questa funzione di freno al disordine e al caos. Va da sé immaginare che la tanto agognata parità tra i sessi si realizzerà “alla fine dei tempi.

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