Paolo Bonari
Un piccolo gioiello editoriale

Parise ritorna a casa

In vista del trentennale della morte, Ronzani Editore propone i "Sillabari veneti" di Goffredo Parise. Un occasione per ritrovare quella "corda pazza" che La Capria identificava con la “venetità” dello scrittore

Bisogna resistere alla tentazione di adagiarsi sulla propria memoria e provare a rileggerle, queste tredici voci di ambientazione veneta dei Sillabari di Goffredo Parise, anche se pensiamo di conoscerle bene, affinché si rinnovi quel primo stupore ed emerga l’uso che di queste “poesie in prosa” va fatto: prontuario tascabile, disponibile e lampeggiante via d’uscita ai conformismi ideologici e letterari dei nostri giorni, che sono quelli di sempre, gli stessi del tempo dell’autore. Bisogna, poi, rendere merito a chi ha messo su questa nuova iniziativa editoriale, la vicentina Ronzani Editore, cioè questi bibliofili che hanno voluto verificare la propria passione e cominciare così a pubblicare volumetti di altissima qualità tipografica, senza troppe ansie, lentamente: fondata nel 2015, ha cominciato a stampare da pochi mesi, ha in catalogo due soli titoli, ma altri verranno, a partire da settembre. Oltre al direttore editoriale, avvocato civilista, altri redattori svolgono quella professione, compreso lo stesso Francesco Maino, autore dell’altro libro in catalogo, nonché direttore della collana in cui escono questi “Sillabari veneti” di Parise, riservata a scrittori originari della regione o i cui libri siano legati a quel territorio: dopo Parise, sarà la volta di Nico Naldini, per esempio.

Ma Parise, adesso: in occasione di questa pubblicazione e nell’avvicinarsi del trentennale della morte (agosto 1986), Ronzani Editore ha da poco voluto ricordarlo con la Parisiana, festa che si è svolta proprio presso la casetta che lo scrittore acquistò malmessa e ristrutturò per andare a ritirarsi o ritrarsi, all’inizio del decennio in cui avrebbe composto i Sillabari. La presente antologia, la cui tiratura è limitata a 1000 copie, è corredata dai disegni di Giosetta Fioroni, a lungo compagna di vita dello scrittore, mentre le prime 50 copie, numerate, contengono anche un’altra suite di tre opere dell’artista, riprodotte in calcografia e firmate. Per introdurre, uno scritto di Francesco Maino, al quale consiglierei meno corsivi e più virgolette, se potessi, perché quella sua scrittura altamente mimetica fa sì che non si possa capire dove cominci Parise e dove finisca Maino: lo so che era questo l’obiettivo dell’autore, ma non so, invece, quanto questa confusione sia corretta, deontologicamente. Io, poi, non ho rinvenuto alcuna traccia per la geolocalizzazione di una di queste voci, “Famiglia”, ma importa poco: forse, quel paesaggio è ancora più riconoscibile, quando non lo si nomina, quando ci si lascia avvolgere dai fumi silenziosi dell’ambiente e si capisce di essere in Veneto.

goffredo parise10Secondo Raffaele La Capria, era “la stessa corda pazza” a risuonare in Parise e nel suo amico Comisso, e quella corda era la loro comune “venetità”. “Sono felice come dovessi morire tra poco”, scriveva Parise a “Duddù” La Capria in quelle lettere che sembrano Sillabari miniaturizzati, spedite dalle rive del Piave, dopo il suo ritorno a casa. “Quelli che mi vogliono bene pensino a me come a una persona morta che però è viva e felicissima, tra i giorni che passano come il vento, che ha cambiato vita e non sa né come né perché”: allora, la “venetità” significa anche il paradossale scambio degli estremi, l’unione della massima presenza e della trascurabile quanto auspicabile sparizione per sempre. Nei Sillabari veneti, più che in quelli di altra ambientazione, mi sembrano portati a coincidenza lo zenit della vita e quello della morte, ed è un attimo non misurabile a distanziare la felicità terrestre dal nulla che arriva e toglie i nomi alle cose. Da Venezia e dal suo Lido allo spazio nero il passo è breve e basta mettere male il piede, o fermarsi a ripensare, come in “Dolcezza”: “Poi accese una sigaretta e anche il fumo gli diede piacere ma subito dopo il grande dispiacere che i suoi polmoni e bronchi ne avrebbero sofferto così tanto che gli anni sarebbero passati molto più in fretta per lui di quanto gli era dovuto (molto o poco): e presto si sarebbe trovato vecchio e malato. “Ma sono passati pochissimi anni da quando ero bambino” pensò con candore”.

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