Fabrizio Coscia
Un piccola scoperta di Adelphi

Le donne di Walser

Pubblicato per la prima volta un frammento dei diari di Walser nei quali disperazione e svagatezza assumo il tono di una digressione sugli "incidenti" della vita

Poco prima della sua reclusione in manicomio, a Berna nel 1929 e poi a Herisau per gli ultimi ventitré anni della sua vita, durante i quali smise di scrivere definitivamente, Robert Walser aveva cominciato a compilare i suoi microgrammi. Con una grafia illeggibile e a matita, talmente piccola che per anni, prima di essere decifrata, era stata confusa per dei semplici scarabocchi, lo scrittore svizzero riempiva migliaia di fogli volanti, buste di carta, pagine di taccuino, piccole tessere rettangolari, in una continua divagazione che assomigliava alle sue camminate senza meta: poesie, racconti, note, appunti. Tra questi, un frammento di diario datato 1926 (dunque tre anni prima della crisi psicotica che lo portò al ricovero), trovato da Carl Seelig, amico fedele fino agli ultimi giorni, tra le tante pagine postume. Un diario, però, alla maniera di Walser, la cui scrittura – adorata da Franz Kafka e Robert Musil, studiata da Walter Benjamin, celebrata da W. G. Sebald – è tra le più impenetrabili del Novecento e sfugge a qualsiasi catalogazione.

Sulle donne (Adelphi, pagg. 70, euro 10, traduzione di Margherita Belardetti) esce per la prima volta in Italia e conferma la vitalità artistica di un autore che pur avendo pubblicato capolavori come I fratelli Tanner, L’assistente e Jacob von Gunten, aveva trascorso fino ad allora una vita da scrittore «deriso e fallito», come si definiva lui stesso, solitaria e poverissima di eventi, durante la quale era stato, saltuariamente, commesso di libreria, impiegato di banca e in una fabbrica di macchine da cucire, segretario di un avvocato, aiuto contabile in una società di assicurazione, assistente di un ingegnere, e perfino domestico di un conte.

robert walser sulle donneIl libretto postumo, che Walser stesso definisce «libro dell’Io», più che diario, è in realtà un delizioso divertissement minore, ma imperdibile, dove l’ironica svagatezza e la gaia disperazione walseriane assumono un tono radicalmente digressivo. Di una digressione, cioè, che assurge allo stesso tempo a metodo compositivo e dichiarazione di poetica («in genere muovo in cuor mio dal presupposto che nell’universo etico esista un che di eccelso, di magnifico: i parallelismi»). Le donne del titolo – vedove affittacamere, seducenti cameriere, fantomatiche signorine, muse ispiratrici – sono così pretesto per una sarabanda tra reale e fantastico, dove il discorso dell’io narrante, che si ritaglia un ruolo volutamente marginale, da «inetto all’amore», prende ogni istante strade impreviste, in un onirico fluttuare, in cui il lettore si lascia catturare come in un incantesimo di parole. Tutto nasce da «un’inezia di passeggiatina» (La passeggiata è uno dei libri più celebri di Walser), e tutto pare reggersi su una ragnatela finissima di rimandi e associazioni mentali, ricordi e pensieri, solo apparentemente casuale, ma in realtà filata da una scrittura calibratissima che procede sempre, inesorabilmente, intrecciata alla vita, come lo stesso Walser confessa in uno dei passaggi più rivelatori di questo grazioso volumetto: «Io trovo per esempio che lo scrivere proceda, in certo senso, mano nella mano con la vita; che a essa sia intrecciato; a mio convincimento può e deve essere così».

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