Nicola Fano
Riflessioni dopo Brexit

È finita la festa

All'alba del 24 giugno è finita un'epoca lunga e tormentata che, nel nome della pace e della solidarietà sociale, aveva inseguito un'ipotesi di benessere e libertà. Quanto tempo dovrà passare perché la nostra storia e queste due parole, pace e solidarietà, possano tornare ad essere spendibili in pubblico?

È finita la festa. Il voto dei britannici che condanna l’Unione Europa – a pochi giorni dal trionfo del grillismo nell’importante tornata elettorale amministrativa in Italia – ha un enorme valore non solo (o non tanto) politico, ma anche culturale. Si chiude una stagione lunga, tormentata, feconda e contraddittoria durata dal Secondo Dopoguerra alla mattina del 24 giugno del 2016. Perché il progetto europeo nato sulla scorta del Manifesto di Ventotene (1944) non era solo un disegno statuale ma un’idea di nuova socialità che, appunto tra mille difficoltà, aveva finito per affermarsi in Europa. Non è solo questione di moneta unica o di Schengen, di (mancata) Costituzione europea o di federalismo: l’Europa, così come venne ripensata dopo la Seconda guerra e così come è stata stracciata ieri da un’esigua maggioranza degli elettori britannici, verteva su due principi fondamentali. Ossia la pace e la solidarietà sociale. Tutti gli altri pilastri dell’idea di Europa azzardata da Spinelli e Rossi e poi incardinata nei trattati da quello di Roma del 1952 in poi, discendono da quei due: che i cittadini d’Europa avessero il diritto/dovere di ripudiare la guerra al proprie interno e che, per ottenere questo, dovessero perseguire un’idea concreta di solidarietà sociale. La libertà, l’unione politica e monetaria, ossia la libera circolazione di idee, persone e beni all’interno dei confini europei sono conseguenze di quei due principi. Due principi che le elezioni italiane e il referendum britannico hanno messo definitivamente in soffitta.

Quel che è peggio è che, usata come una qualunque merce elettorale, quell’idea di Europa non è stata solo buttata a mare (capita ed è capitato a molte buone idee) ma anche calpestata e trasformata da valore naturalmente positivo in un principio negativo, dal quale guardarsi con orrore. Chissà quanto tempo sarà necessario perché qualcuno, qualche leader di spessore internazionale, possa consentirsi il lusso di affrontare un qualunque elettorato nel segno di quella vecchia utopia. Quanto tempo prima che pace e solidarietà sociale possano tornare ad essere merce politica spendibile.

Brexit3Perché questa è un’altra conseguenza culturale di non poco conto dell’uno-due consumato in Europa tra il 19 e il 23 giugno: le utopie restano tali. Non c’è alcuna possibilità che il benessere diffuso, che la democrazia (ancorché sbilenca), che il “progresso” possa trasformarle in realtà. Stante la propensione della società del capitalismo finanziario a premiare solo azioni utili, c’è da supporre che nuove utopie latiteranno per decenni: nessuno vorrà prendersi carico di diffondere idee così pesantemente bocciate dalla maggioranza degli individui adulti di questa parte di mondo (la fatica immane e sostanzialmente inutile che sta facendo il nuovo Papa per ripristinare tra i suoi il primato della misericordia sta lì a dimostrarlo).

E, dunque, addio solidarietà sociale. Addio pace. È da tempo, del resto, che le nostre società occidentali hanno smesso di essere solidali: la vittoria del capitalismo su qualunque palliativo sociale o socialista ha prodotto conflitti costanti sempre meno sotterranei. L’odio diffuso messo in campo dai social network non è la causa di questo fenomeno ma ne è l’effetto più plateale. Al punto che la stessa pace sociale non è più un valore acquisito e da perseguire: il voto “contro” espresso per l’ennesima volta dall’elettorato italiano lo dimostra. Si vince, oggi, odiando il nemico e additandolo sulla pubblica piazza. Come poteva resistere la “vecchia” idea d’Europa a tutto questo?

Appunto, improvvisamente siamo vecchi; vecchissimi e biasimati noi altri cresciuti nel Novecento all’ombra degli indiscutibili (allora) principi della pace e della solidarietà. Ma, certo, non si tratta di un fenomeno sociale e politico sorto all’improvviso dal nulla. Vent’anni di acuto lavoro dei cosiddetti liberisti (da Thatcher a Berlusconi) hanno certificato che molti di noi, anziché prospettare una società più giusta con tutti, avevano mangiato i bambini: ora abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti. Oltre ad aver mangiato bambini, abbiamo rubato. Rubato soldi, rubato futuro e lavoro a coloro i quali vogliono salvaguardare solo il personale diritto di coltivare l’albero del denaro nel proprio orto senza che nessuno si intraponga tra essi e l’accumulo di beni o capitali agitando lo spettro del disagio degli altri. La società del Novecento ha sostituito gli individui alla massa e in nome di questa trasformazione ha costruito orrori e meraviglie; la società del Duemila sancisce il definitivo ritorno indietro, dalla massa agli individui. Come in una grande restaurazione: l’orologio della storia ci riporta indietro di oltre un secolo, quando nell’orizzonte dei popoli d’Europa c’era solo la guerra. Chi di noi sopravvivrà vedrà stavolta come andrà a finire.

Certo, l’utopia europea non è scevra da colpe. Anche gravi. L’aver concepito l’Unione come una summa di tecnicalità economico-burocratiche ha allontanato dai cittadini l’idea che alla base ci fossero soprattutto quelle due paroline magnifiche: pace e solidarietà sociale. Ricordo ancora la rabbia del povero Giorgio Strehler, venticinque anni fa, che combatteva per imporre l’unione culturale, prima di quella economica… Salvo che oggi ci ritroviamo tutti immersi in questo pantano in cui gli interessi singoli, specifici, localistici, sovrastano qualunque altro valore. Al punto che un manipolo di profittatori oggi possono tranquillamente reclamare ovunque a gran voce l’addio all’Europa per un pugno di voti, per una poltrona in qualche parlamento, per un misero sottosegretariato. Gente che si accontenta delle briciole della storia. È naturale: naturale profittare di tutto e di tutti per ottenere qualcosa per sé. Questo è il mood occidentale, oramai.

E dunque, in conclusione, un ulteriore spavento tocca a chi come me si sente spazzato via dalla storia: perché ad affrontare questa crisi epocale che investe i popoli, la pace e le idee, noi altri europei abbiamo chiamato e chiameremo illustri leader il cui profilo di statisti si limita al loro essere ex cattivi comici, o ex broker falliti o ex figli d’arte di orrendi capetti razzisti. La festa è proprio finita, anche per questo.

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