Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

De Angelis: l’assoluto al binario 22

Un incontro che è un agguato, abbraccio e lacerazione, un paradosso straziante. Roberto Mussapi commenta uno dei maggiori poeti contemporanei: versi tratti dal suo libro più recente dove si realizza la forza cieca e veggente della poesia

Massimamente rappresentativa del titolo del libro, Incontri e agguati, il più recente, di Milo De Angelis, uno dei nostri maggiori poeti contemporanei. È un incontro, quello che avviene, di notte, Stazione Centrale, fioca insegna luminosa Polfer, binario 22 (quello più buio, verso il muro, dove vivono i clochard). Una voce lo chiama, lo riconosce: il compagno di liceo, infallibile nel greco, memorabile in quella terza dove affrontava la lingua della nostra origine mentale con la sapienza di un chimico e di un astronomo. È un incontro, ed è un agguato, quello con l’amico che era stato «la gloria e il sacrificio umano», e aveva scelto poi «di non avere più nulla».
Un derelitto, nel buio della Stazione Centrale, Milano, tra altri accampati miseramente, e in quella voce il poeta riconosce il talento irraggiungibile del compagno di classe. Incontro e agguato, abbraccio e lacerazione, il paradosso straziante (il paradosso lo è sempre, se è tale, la vita stessa e la poesia ne sono gli esempi più lampanti) che anima questa poesia di disperazione e resistenza alla disperazione stessa. Qui, come e più che altrove, si manifesta massimamente quell’assoluto strano che De Angelis formulò realizzandolo, negli anni Settanta, un assoluto non metafisico o religioso, e nemmeno formale, estetico, letterario, quasi una forza cieca e veggente e furente della poesia. E in questo incontro terribile e caldo sentiamo l’eco di quello del Luzi leggendario nella poesia Nel caffè, il poeta e l’antico compagno di scuola, dalla voce roca per l’operazione di tumore alla gola. Roca, raschiante, come fredda e persa nella notte milanese della Centrale quella del piccolo genio della lingua greca. Agguati, non disfatte.

 

 

milo_deangelis

Una lama di fosforo ti distingueva
e ti minacciava, in classe terza,
ti chiedeva ogni volta il voto più alto, l’esempio
perfetto del condottiero: sei stato tra la gloria
e il sacrificio umano
e hai scelto di non avere più nulla.

Ma oggi ti è riuscito
l’antico affondo, il pezzo di bravura,
chiamandomi per nome tra la Polfer e i sonnambuli
del binario ventidue: “Ti ricordi di me?
Io abito qui”. Ricordo quella versione
di Tucidide difficilissima. Solo tu…solo tu”.
“Toiòsde men o tàfos eghéneto…”.

Hai ancora il guizzo
dello studente strepitoso, l’aggettivo
che si posa sul foglio e svetta, la frase
di una lingua canonica e nuova, quel tuo
tradurre all’istante a occhi socchiusi. Dove sei,
ti chiedo silenzioso. Dove siamo? I frutti
restano dentro e bruciano segreti
in un tempo lontano dalla luce,
in una giostra di libellule o in un sasso.

Milo De Angelis
(Da Incontri e agguati, Mondadori)

Facebooktwitterlinkedin