Erminia Pellecchia
Un autore da ricordare/1

Quarant’anni senza Gatto

Poeta e prosatore tra i più autentici e acuti del Novecento, critico letterario, d'arte, d'architettura e di costume, giornalista, pittore, autore di teatro... Omaggio a un grande: Alfonso Gatto

«…Il tuo libro mi è venuto a bollire nel calderone dei miei pensieri e del mio non saper dove sbattere il capo di questi anni tra la sfiducia nel dire e la presenza là delle cose sempre da dire». Italo Calvino scrive ad Alfonso Gatto sull’onda emotiva della lettura delle liriche raccolte ne Il Capo sulla neve, uscito per la prima volta nel 1947. «Un fascicolo scritto su carta povera, semplice, ma contenente la più alta testimonianza della Resistenza che la nostra poesia ci abbia mai dato», sottolineerà Andrea Camilleri nell’introduzione alla ristampa (a cura della Fondazione Gatto) di quel quaderno raro, che aveva rinvenuto, miracolosamente, tra gli scaffali del suo libraio di Caltanisetta. «Cavaliere della memoria, del dovere di inchiodarla al tempo corrente della coscienza», dirà di Gatto l’intellettuale dell’impegno civile Calvino. «Aveva il coraggio delle proprie opinioni e di esprimerle», affermerà il “compagno” Camilleri, ricordando «un congresso del Pci in cui Alfonso infiammò gli animi, al grido di Liberate l’Italia»: «…E fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi piena la mano nel suo pugno: il cuore d’improvviso ci apparve in mezzo al petto»(25 aprile daLa storia delle vittime, 1966).

Poeta di endecasillibi e d’azione, Alfonso Gatto; poeta eretico e militante, coinvolto e calato integralmente nel tumulto della vita. Si faceva carico della propria contemporaneità col suo canto alto e popolare, perché viveva tra, con e dentro il popolo ed il suo sentimento dell’esistere era espressione delle ansie, dei dolori, delle aspirazioni, dei sogni della gente comune che traduceva in accordi di melodiche cromie. Come le azzurre marine e i cieli della sua Costiera. Come la luna di Milano che riscalda le notti di San Vittore. Come “il piccolo sole d’inverno” che illumina il duomo meneghino. Col candore di “povero poeta”, come gli piaceva definirsi. Con la coscienza morale a far da guida. Con l’esempio della sua vita da picaro indipendente e ribelle – «quello che ho fatto io, quello che sono io» – sempre sulle barricate, la dignità valore primario, nomade inquieto che affronta fame, freddo, esilio, carcere, persecuzioni, di dire no alla sirena dei soldi facili e delle entrate di favore. Con il sorriso e l’ironia di un meridionale che sa essere profondo con la leggerezza e la sincerità di uno sguardo “bambino” sospeso sull’orizzonte che non ha confini. Con le incazzature, terribili, quel suo partire in quarta contro gli intellettuali soloni, i politici bugiardi, il suo stesso partito: un marxista partigiano deluso, che vedeva scivolare il Pci nel totalitarismo e nel fascismo. E che pure riteneva essere l’unica forza d’opposizione all’Italietta del boom che, inconsapevole, precipitava nel baratro della perdita di idee e di identità, quel Belpaese oltraggiato, i cui paesaggi stavano per essere gradualmente scempiati dall’assalto del cemento.

Poeta d’amore Gatto: «Il bacio che cerco è l’anima». Dell’eloquenza solitaria, dei ricordi in sottovoce, degli affetti familiari, della morte come destino che incombe su tutti. Dei silenzi, perché solo il silenzio può combattere il rumore delle parole vuote e fasulle della malafede e della prepotenza, quel silenzio che «lascia tacere chi ascolta». Poeta degli addii e, nello stesso tempo, di una vitalità ansiosa e costruttiva. Poeta degli ultimi, che lui, con quel «nome povero e di tutti i paesi» è portavoce e bandiera; poeta degli eroi semplici e genuini che racconta nelle sue cronache sportive: Coppi e Bartali in corsa sulle ali del sogno, Rivera che con i suoi gol segna il riscatto. Gatto, poeta del tempo circolare che scorre come una ballata, un almanacco in cui tutto si rincorre e tutto tornerà tra flash black e work in progress.

alfonso-gattoGuarda al passato: «Tutto si colma di memoria e resta il confine più dolce della terra, una lontana cupola di festa». E sprona al futuro, «passo a passo, seguendo l’alba», prendendo «tutte le nubi per mano». Pianta nei ragazzi il «seme della verità» per rovesciare e ricreare il mondo, educa all’«ansia della meraviglia» sul vento dell’anarchia, in un girotondo-fanfara di innocente follia: «Un Giamburrasca – annota il critico letterario Francesco D’Episcopo nella prefazione alla ristampa de Il Vaporetto – che trascina con sé i bambini di ogni età, additando nel non sapere la chiave del conoscere a patto di saper sbagliare sempre da soli». Poeta ateo e spirituale, infine, Gatto, che vede in Gesù, «che non mandò un altro a morire sulla croce, ci andò a morire e questa è la verità che conta», la religione da seguire.

Poeta e prosatore tra i più autentici e acuti del Novecento, critico letterario, d’arte, d’architettura e di costume, giornalista, pittore, autore di teatro e anche attore, complice il suo sguardo visionario di limpida acquamarina, per Pasolini nel Vangelo secondo Matteo e Teorema. Quarant’anni senza Gatto. Un incidente d’auto, l’8 marzo del 1976, recise l’esistenza di quell’uomo per cui, come recita l’epitaffio sulla tomba a firma di Montale, «vita e poesia furono un’unica testimonianza d’amore».  Quarant’anni in cui, lamenta il vecchio amico Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, «ha finito per non essere abbastanza evocato». Nel semivuoto di celebrazioni sembrano quasi una profezia i versi gattiani pubblicati postumi in Desinenze: «Ora è tempo di giungere al ricordo che di me stesso va facendo oblio». Li evoca Francesco de Core, che ha condotto una lunga battaglia per far sì che «il suo lascito raro come un tesoro» sia «gelosamente e con affetto custodito per sempre». Lo scrittore e capo redattore del Mattino si è messo dalla prima ora al fianco della famiglia di Gatto, della fondazione omonima e della galleria Il Catalogo, voluta dal poeta-critico nel 1968 a Salerno e affidata a Lelio Schiavone, oggi tra i più strenui difensori della memoria di quell’«amorevole papà di tanti giovani assetati di cultura». Città strana Salerno, cui Gatto era stretto da un contraddittorio «voler restare e voler partire». Di tutte le città gattiane – Milano, Firenze, Roma – è forse la più ingrata, malgrado il pensatore europeo, nato tra i vicoli all’ombra di San Matteo, abbia traghettata la «Salerno rima d’eterno» in Europa. Oggi si commemora Gatto. Lo fa Schiavone con la bella mostra di fotografie che fermano gli otto anni trascorsi insieme, la felice stagione del Catalogo con le esposizioni del fior fiore della pittura italiana, da Guttuso a Maccari, da Guidi a Zigaina, da Cagli a Bueno, e gli incontri con grandi della letteratura come Luzi, Sereni, Parronchi, Petrocchi, Prisco, Pratolini. Scatti anche intimi, come le passeggiate sul corso, l’eterna sigaretta tra le labbra, avvolto nel fumo come un’aureola di sogni. Scatti ufficiali, come il mitico comizio del ’75 a piazza Portanova, sul palco del Pci con Eduardo Sanguineti, o il funerale, la stessa folla dell’anno prima ammutolita e commossa.

Lo fa la Fondazione Gatto con i murales di versi e colori nel quartiere delle Fornelle, la pubblicazione dei manoscritti inediti a cura di Federico Sanguineti per Lettere, la monografia su Sinestesia e l’omaggio della rivista Poesia di Crocetti. Il presidente Filippo Trotta è in contatto con le Università di Salerno, Firenze e Pavia per organizzare un convegno su «Gatto del terzo millennio», relatori giovanissimi critici e ricercatori. L’Istituto di Cultura a Parigi si vestirà dei graffiti di Caccavale ispirati alle poesie d’amore di Gatto. E il Comune di Salerno? Un po’ in ritardo e, dopo infinite polemiche sull’intitolazione di un nuovo teatro a Pasolini e sui contributi dati al quarantennale della morte di PPP e non al quarantennale di Gatto, corre ai ripari. Ha chiamato Toni Servillo a leggere il poeta nello spazio istituzionale del Teatro Verdi e ripubblicherà con l’ateneo salernitano la raccolta del 1963 Il poeta e la città. Poco, pochissimo. Ma c’è una promessa del sindaco Enzo Napoli che ci piace e a cui vogliamo credere: riordinare il disordinato spartito della vita e delle opere di Gatto in un archivio e creare un museo virtuale, a che la sua passione, la sua energia, la sua creatività, la sua lungimiranza, la sua tenerezza, il suo impegno siano «il vero monumento da consegnare alle future generazioni».

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