Lidia Lombardi
La Domenica: itinerari per un giorno di festa

L’aura della Sibilla

In vista del week end del Fai di Primavera il 19 e il 20 marzo prossimi, prepararsi a una gita a Tivoli per passeggiare a Villa Gregoriana, luogo simbolo recuperato grazie al Fondo Ambiente Italiano. Il frutto di una conquista ingegneristica, che trasuda storia tra cascate e percorsi boscosi

Torna, sabato 19 e domenica 20 marzo, il week end Fai di Primavera. E tornano le apertura straordinarie di palazzi e siti non altrimenti accessibili. Riflettori si accendono su beni culturali dimenticati e in rovina e ne può derivare l’input per un recupero. Come è avvenuto nel 2005 per un luogo diventato simbolo del fare del Fondo Ambiente Italiano, ora presieduto da Andrea Carandini. Parliamo della storia esemplare di Villa Gregoriana a Tivoli, incantevole seppur meno frequentata di Villa d’Este con il richiamo delle sue fontane rinascimentali e di Villa Adriana, densa di suggestioni e di “ruine”.

Villa GregorianaMa Villa Gregoriana è davvero speciale. Perché non è legata a un solo periodo artistico. E perché è insieme natura, storia, architettura, ingegneristica all’ennesima potenza, stratificate, quasi misteriose nel loro intreccio. Intanto, perché si chiama così? Perché Papa Gregorio XVI a metà dell’Ottocento a seguito di una rovinosa piena dell’Aniene, che attraversa Tivoli, fece sistemare definitivamente il letto del fiume, deviandolo. E la fossa profonda nella quale l’affluente del Tevere compiva un salto di oltre cento metri è diventato il discrimine che taglia i due versanti di un parco in cui coesistono cascate naturali e artificiali, anfratti, caverne, orridi e passeggiate fra mirti e lecci, tra querce e pungitopo, tra pioppi, cipressi, salici. Sicché questo luogo, dominato da rovine classiche come il tempio di Vesta e di Tiburno, è il paradigma dell’estetica del sublime che ispirò la cultura romantica. E l’escursione odierna reifica i paesaggi visti nei dipinti, negli schizzi, negli acquarelli scaturiti dal Grand Tour. Insomma, è un tuffo nel passato, uno scatto alla Zemeckis di due secoli indietro, invece che di cinquant’anni.

Ma torniamo alla conquista ingegneristica che Villa Gregoriana testimonia. L’Aniene è sempre stato qui difficilmente governabile e già in età romana, per difendere la città dagli allagamenti, vennero costruite tre chiuse ancora oggi visibili ai piedi del ponte Gregoriano. Un’altra chiusa fu realizzata nel 1489, dopo un’alluvione: doveva stabilizzare il livello dell’acqua a monte del salto e irrobustire il ciglio della cascata. Resse, con interventi di manutenzione, fino al 1826. Ma le piogge del novembre di quell’anno furono tanto torrenziali che il fiume ruppe le rive, devastando il territorio. La deviazione si rese necessaria. Cambiò l’aspetto della zona alta della città, creò la grande diga ora dell’Enel e fece di Tivoli anche una città industriale grazie allo sfruttamento dell’energia delle acque. Ma papa Gregorio volle anche creare un parco là dove regnava solo l’impeto dell’Aniene. I lavori furono effettuati tra il 1832 e il 1835. Mente dell’intervento, l’ingegner Clemente Folchi, che escogitò un’avveniristica e insieme artistica soluzione. Il corso del fiume fu deviato mediante la realizzazione di un doppio traforo scavato nel monte Catillo. Le acque, così incanalate, divennero docili e poi, ingrossate artificialmente, dettero vita alla nuova Cascata Grande, alta 120 metri.

TivoliÈ il primo “effetto speciale” che si incontra dopo aver percorso il camminamento iniziale di Villa Gregoriana. Ma poi il percorso dell’acqua, ora sotterraneo ora all’aperto, si segue scendendo giù e giù, attraverso ponticelli e sentieri. E in fondo alla valle la visione è di una laguna che sparisce tra le rocce, simili all’ingresso nell’Averno; mentre se alzi lo sguardo le colonne del Tempio di Vesta e i resti della villa del console romano Manlio Vopisco, tanto sontuosa da essere celebrata da Orazio, datano assai all’indietro, al II secolo avanti Cristo, l’alfa di questo sito. L’omega è stato appunto il recupero effettuato dal Fai di un parco abbandonato subito dopo la seconda guerra mondiale e diventato anche discarica. La Villa, appartenente al Demanio e chiusa al pubblico, fu affidata nel 2002 al Fondo Ambiente Italiano che ha elaborato un progetto di recupero articolato in diverse fasi. Si è cominciato con lo studio documentario, bibliografico, iconografico di tutti gli elementi della Villa, che sono di diversa natura e che per esempio uniscono ai resti dei templi e della dimora di Manlio Vopisco anche 56 fra cippi, frammenti di statue, lapidi e 2100 elementi botanici differenti. Dopo il censimento si è passati al restauro conservativo non solo dei resti archeologici ma di gradonate, parapetti, recinzioni, sistema smaltimento acque. Soltanto la bonifica dell’alveo del fiume ha comportato la rimozione, senza l’uso di mezzi meccanici data la fragilità del territorio, di 350 tonnellate di rami e foglie, 5 tonnellate di rifiuti di ogni tipo, 1200 tonnellate di sassi e terra, l’impiego di rocciatori esperti nella pulizia delle pareti naturali. Dal 2005 i sentieri sono tutti praticabili, le acque di ruscelli e cascatelle limpidi, i due ingressi monumentali smaglianti, il vecchio istituto scolastico adiacente al complesso trasformato in caffetteria e punto Fai da Gae Aulenti.

Tutto questo – insieme con le leggende di Villa Gregoriana che rimandano alla Sibilla Tiburtina prediletta da Venere e che secondo Svetonio avrebbe addirittura profetizzato la nascita di Cristo a Ottaviano Augusto – verrà narrato e spiegato anche in lingua straniera nelle due Giornate Fai di Primavera sabato 19 e domenica 20 marzo (10-18,30, ultimo ingresso alle 17,30) dagli Apprendisti Ciceroni del liceo classico “Amedeo di Savoia” e dell’Ipias “O. Olivieri”. Un bel modo di essere giovani italiani.

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