Pier Mario Fasanotti
Un libro di straziante attualità

Il kamikaze letterario

C'è un romanzo che può aiutarci a capire che cosa si agita nella testa di un terrorista: è «L'attentato» di Yasmina Khadra. Storia dolorosa di una kamikaze e della sua rinuncia alla vita e alla civiltà

Può un romanzo illuminarci sul dramma che sta sconvolgendo una gran parte del mondo come il terrorismo? La risposta è sì, senza esitazione. Senza per questo sottovalutare le lucide analisi di alcuni studiosi e commentatori.  Entriamo nello specifico, ossia su cosa si muove nella testa dei kamikaze. Per questo conviene leggere il bellissimo L’attentato (Sellerio, 256 pag.; 14 euro) dell’algerino Yasmina Khadra (pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, classe 1956) finalmente alla ribalta come uno dei più profondi scrittori di oggi, tradotto in una quarantina di paesi. Se si tiene conto che è stato scritto nel 2004, queste pagine hanno una potenza profetica non indifferente.

La trama, di una inarrestabile suspense emotiva, è così riassumibile. Amin, arabo che vive a Tel Aviv, è stimatissimo medico chirurgo. Un giorno scopre che i diciassette morti provocati da un’esplosione sono da attribuire a sua moglie Sihem, che si è fatta kamikaze senza aver mai trapelato nulla a proposito della sua militanza a favore della causa palestinese. Il romanzo si svolge negli anni del premierato di Sharon, accusato di «leggere la Torah all’incontrario». Ossia, come dice un personaggio del romanzo: «Crede di difendere Israele dai suoi nemici e invece lo rinchiude in un altro ghetto, meno terribile, certo, ma altrettanto ingiusto…». Il dottor Amin viene fermato dalla polizia, interrogato e poi rilasciato dopo che è stata accertata la sua estraneità. Anzi: la sua dolorosissima ignoranza di ciò che era segretamente sua moglie, di quale fosse la disperata e folle missione di lei. Amin inizia un turbolento percorso alla ricerca della verità, rischiando la vita recandosi prima a Betlemme, dove viene picchiato, e poi nel cuore sanguinante della Palestina. Scruta se stesso, nella dolorosa convinzione di essere stato tradito come marito e come uomo che vede nel prossimo che soffre un paziente da curare. Si accorge di aver “sognato” più che vissuto la donna della sua vita, realmente impossibilitato di intuire il suo nucleo umano (e politico).

l'attentato di Yasmina KhadraPer questo è anche dilaniato dal senso di colpa: non ha avvertito alcun “segnale”. Gli diranno, in una Palestina calpestata dai blindati israeliani, umiliata ogni giorno, ridotta a rovina e popolata da “occhi pieni di ombra” e da persone che vivono come se fossero già morti, che Sihem “aveva scelto da che parte stare… la felicità che le offrivi puzzava di decomposizione. Le faceva schifo, sai? Non ne voleva sapere”. Eppure non ha mai dato un “segnale” davvero comprensibile. A proposito dei “martiri” kamikaze, credo sia meglio citare per intero certi passi del romanzo: «È gente che ha rinunciato a questo mondo…i martiri sono in attesa, aspettano il semaforo verde per andarsene in fumo». Qualcuno “ha usurpato la loro mente”. Nella mente di un militante scatta qualcosa di misterioso, forse anche banale, e allora s’imbottisce di esplosivo, voltando le spalle a una vita di agi che giudica indecente. Un Iman dirà al medico: «Un’ultima cosa, dottore. A furia di voler assomigliare ai tuoi fratelli adottivi (israeliani, ndr), non riconosci più quelli veri. Un islamista è un militante politico. Ha una sola ambizione: instaurare uno Stato teocratico nel proprio paese…un integralista è uno jihadista oltranzista. Non crede alla sovranità degli stati musulmani, né alla loro autonomia. Per lui sono solo stati vassalli che dovranno dissolversi a profitto di un unico califfato… dall’Indonesia al Marocco per assoggettare o distruggere l’Occidente, se non si converte all’Islam… noi siamo i figli di un popolo depredato e deriso…».  E ancora: «Quel che tua moglie ci ha regalato, con il suo sacrificio, è per noi di conforto e di esempio…non aveva niente da dirti, non doveva rendere conto a nessuno perché si rimetteva a Dio…non ti chiedo di perdonarla…cos’è mai il perdono di un marito quando si è ricevuta la grazia del Signore?».

kamikazeAmin, fedele alla sua missione umana e professionale, si oppone a questa follia. Prima di un’esplosione pubblica accade un’esplosione personale. Ma di che tipo? «Cosa risponderti, Amin? Credo che neanche i terroristi più incalliti sappiano davvero cosa capiti loro. E può capitare a chiunque. Qualcosa scatta nel subconscio, ed è fatta. Le motivazioni non hanno tutte la stessa consistenza, ma di solito sono cose che si prendono così… o ti cadono in testa come una tegola oppure si radicano in te come un verme solitario. Dopo non guardi più il mondo come prima. Hai solo un’idea fissa: sollevare questa cosa che ti tormenta corpo e anima per vedere cosa c’è sotto. Da quel momento non puoi più fare marcia indietro. D’altra parte non sei più tu a comandare. Pensi di fare di testa tua, ma non è vero. Sei solo lo strumento delle tue frustrazioni. Per te la vita e la morte sono la stessa cosa. In qualche modo hai rinunciato per sempre a tutto ciò che potrebbe farti tornare sulla terra. Fluttui. Sei un extraterrestre. Vivi nel limbo, a caccia di uri e liocorni… l’unico modo di diventare una leggenda è chiudere in bellezza, trasformarti in un fuoco d’artificio a bordo di uno scuolabus o in un siluro lanciato a rotta di collo contro un carro armato nemico. Bum! Il grande salto e, come premio, lo status di martire. Il giorno della soppressione del tuo corpo diventa così, ai tuoi occhi, il solo momento in cui cresi nella stima degli altri. Il resto, il giorno prima e il giorno dopo, non è più affare tuo: per te non c’è mai stato».

Sono parole, queste, che rendono impossibile una eventuale missione riconciliatoria. Esiste uno iato immenso tra i terroristi e gli altri. È molto triste ammetterlo, soprattutto dopo l’ultima strage, quella di Bruxelles. Un “kamikaze che fluttua” altera equilibri internazionali. Un misterioso morso si è incistato nella mente di alcuni. Anzi di molti. L’autore di questo romanzo-calvario, Khadra, spiega nella postfazione che L’attentato, appunto, doveva essere il suo addio alla letteratura a causa della “pervicace ostilità di un certo ambiente intellettuale parigino: avevo deciso di deporre la penna e tornare nel mio paese per sottrarmi alla condizione di paria che una stampa malevola cercava di impormi”. Khadra ci dice che L’attentato mandò in pezzi il muro dell’avversione. Le cose cambiarono velocemente: candidato al premio Goncourt, al premio Renaudot e a quello dell’Accadémie francaise, attirò l’attenzione di Hollywood. Khadra dice poi che questo romanzo «ha aperto gli occhi ai lettori (circa quattro milioni, ndr) mostrando l’assurdità dei rapporti umani e l’inettitudine di noi tutti, tutti quanti, ad accedere alla nostra parte di felicità, pronti come siamo a crocifiggere l’amore e la condivisione, lasciando che l’odio, il razzismo, la segregazione, la xenofobia e il misconoscimento dell’Altro ci rendano estranei a noi stessi per poi consegnarci ai vecchi demoni… il mio romanzo ha il solo scopo di puntare il dito contro la nostra immaturità. Come è possibile credere, anche per un istante, che il sacrificio più grande sia morire per un’ideologia, se il vero sacrificio è quello di continuare ad amare la vita, nonostante TUTTO?».

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