Laura Novelli
All'Istituto di Studi Pirandelliani di Roma

Da Pirandello a Celine

Francesca Benedetti rende omaggio all'autore "Viaggio al termine della notte" nella casa di Pirandello. Un dialogo a distanza tra due colonne del Novecento

Inizierò da un ricordo. Durante gli anni dell’università e subito dopo la laurea, frequentavo il villino di Luigi Pirandello in via Bosio come collaboratrice della rivista quadrimestrale “Ariel”. La dirigeva il professor Alfredo Barbina e ci riuniva spesso in quella casa così silenziosa e fuori dal tempo per organizzare il lavoro redazionale e valutare le nostre proposte. Vi scrivevano studiosi di grande pregio e noi giovani appassionate di teatro (parlo al femminile includendo quelle colleghe e amiche che hanno condiviso con me l’esperienza) ci riservavamo soprattutto i contributi relativi alla rubrica “Rassegna bibliografica”. Ci andavo per lo più di mattina e, forse anche per la bella luce che attraversava gli ambienti, mi capitava spesso di soffermarmi a guardare con sincera curiosità i libri e i manoscritti custoditi nella biblioteca del grande scrittore siciliano, i quadri del figlio appesi alle pareti, il suo letto avvolto in una coperta color vinaccio chiaro, i mobili, le poltrone, le  lampade. Avvertivo un senso di profondo rispetto ma anche di condivisione vitale. Come se, cioè, quegli oggetti potessero ancora parlarmi e parlarci di Pirandello. Me lo figuravo seduto allo scrittorio del salone o muoversi liberamente tra i suoi libri o scendere le scale per dirigersi verso il giardino. E non potevo fare a meno di pensarlo vivo tra i vivi, presente, vicino.

Già allora (parlo dell’ultimo decennio del ‘900) la casa dove egli spese gli ultimi anni della sua esistenza e dove morì si chiamava “Istituto di Studi Pirandelliani e sul Teatro Italiano Contemporaneo”; aveva assunto quel nome nel ’61, quando gli eredi stessi del drammaturgo, d’accordo con la Soprintendenza, decisero di trasformare il villino in un archivio/museo aperto al pubblico che fosse al contempo luogo di memoria e luogo di riflessione, di studio; testimonianza di energia culturale passata e insieme ambiente propulsore di nuove ricerche aperte sul futuro.

Sono tornata a casa Pirandello qualche sera fa e ho provato la stessa emozione di sempre. Stavolta però ci sono tornata da spettatrice, insieme a un nutrito gruppo di persone che hanno sentito, come me, il desiderio di essere lì, di occupare quegli spazi importanti per ribadire che senza memoria non può esserci domani. Eravamo lì in tanti. Il salone silenzioso dove anni prima andavo a parlare di “Ariel” si era trasformato in una platea attraversata dal brusio e dall’energia vitale propri di tutte le platee di sempre. Eravamo lì per assistere al monologo di Francesca Benedetti Madame Céline o il ballo della Malora, scritto da Luca Scarlini e Massimo Verdastro a partire da testi di Céline, ma eravamo lì anche per Pirandello. Per ciò che la sua opera rappresenta come bagaglio di indagine drammaturgica spinta ad un livello altissimo. Per ciò che la sua letteratura ha insegnato – e continua ad insegnare – all’Uomo sull’Uomo. Un patrimonio che anche questo luogo contribuisce a custodire e diffondere. Ma l’Istituto, oggi presieduto da Paolo Petroni, rischia di non sopravvivere. Le sovvenzioni di cui gode non sono sufficienti a farne ciò che dovrebbe essere o che sarebbe in qualsiasi altra città europea: uno spazio culturale agito, amato, abitato, frequentato, vivace, segnalato nei percorsi turistici cittadini, affollato di giovani studenti di tutte le età. E allora le intelligenze che lo guidano e lo animano (il Cda innanzitutto composto con Petroni da Riccardo Caporossi, Umberto Croppi, Natalia Di Iorio, Stefano Geraci, Gilberto Scaramuzzo, Elio Testoni, e il Comitato scientifico  in cui figurano Matteo D’Amico, Carlo Cecchi, Mario Martone, Melania Mazzucco, Jean-Paul Manganaro) hanno fatto ciò che probabilmente Pirandello stesso avrebbe fatto nelle medesime condizioni: hanno messo insieme artisti e pubblico (i primi a titolo del tutto gratuito) per fornire soccorso a quella “memoria culturale” che in Italia sembra non interessare più nessuno.

Grazie a questi artisti e a questo pubblico è stato possibile immaginare un corpus di spettacoli e serate che proprio quest’anno, in occasione degli ottanta anni dalla morte dello scrittore di Agrigento e in vista delle celebrazioni del 2017 per i centocinquanta anni dalla nascita, intendono rilanciare l’Istituto e la sua mission favorendo una raccolta fondi ad hoc. D’altronde qui l’innesto tra spazio e parola è immediato, naturale, fisiologico. Sembra non esserci cesura tra queste pareti, questi arredi, e i corpi espressivi degli artisti. Un piccolo miracolo, per chi lo sa cogliere.

Dopo la suggestiva serata Céline (spettacolo che tra l’altro quest’estate era già passato per Roma nella programmazione de “I Solisti del Teatro”), nel corso della quale la Benedetti – su impianto sonoro a cura di Marco Bianco e con nota introduttiva di Filippo La Porta – ci ha trasportati in un vorticoso assolo che ricostruisce la fuga in Danimarca dell’autore di Viaggio al termine della notte e soprattutto dà voce alla ballerina Lucette Almanzor, sua moglie, altri due eventi importanti: Il figlio prigioniero, tratto dal carteggio tra Pirandello e il figlio Stefano durante la prima guerra (a firma di Riccardo Caporossi), e 1 2 3 6 9 L P dai Taccuini dello scrittore (regia di Gianluca Enria). In arrivo ci sono poi due serie di incontri – “Un autore a Casa Pirandello” e “Un attore a Casa Pirandello” – con grandi personaggi come Carlo Cecchi, Glauco Mauri, Emma Dante e Claudio Magris, una mostra di costumi storici, una rassegna cinematografica, letture sceniche dedicate alle novelle pirandelliane (informazioni: www.studiodiluigipirandello.it, 06/44291853).

Ho iniziato con un ricordo. Concluderò con un racconto odierno: parlo spesso di Pirandello a ragazzi di terza media che mi guardano un po’ imbambolati, storditi, disorientati. Spiego concetti come identità, umorismo, personaggio, teatro nel teatro. Leggo pagine e pagine de Il fu Mattia Pascal e dell’introduzione ai Sei personaggi in cerca d’autore. Cito parole come capolavori, invenzioni e intuizioni geniali. E loro annaspano. Ce la mettono tutta, ma niente. Pirandello resta ostico. Fino a qualche “generazione” fa, azzardavo anche la visione di alcuni dvd piuttosto impegnativi. Ormai non lo faccio più. A volte, anzi, penso addirittura di arrendermi. Poi però torno sui miei passi e mi convinco che in fondo qualcosa di lui resterà loro. Necessariamente. E sarà già tanto.

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