Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

L’anima in un calice

La poesia di Giuseppe Grattacaso è metafisica, un dialogo archetipico con le cose che rimanda al Barocco inglese, a Walt Disney e a quel tanto di surreale che alberga nella grande comicità. Leggerezza mercuriale, felice ispirazione...

Questi versi di Giuseppe Grattacaso costituiscono un esempio straordinario, certo originale, di poesia metafisica, dialogo tra corpo e anima, tra oggetti e archetipi. Tradizione medievale, portata a splendore nel Barocco, inglese soprattutto. Ma la divertente, felice originalità è nel fatto che questo dialogo si svolge in una moderna cucina, tra frullatori, piatti, lavastoviglie. Il dramma dell’anima che vorrebbe uscire dagli oggetti, in forma sontuosamente comica. Non è un abbassamento di livello poetico, di temperatura, come tanto, troppo minimalismo del secondo Novecento. No, Grattacaso, che sicuramente ha qualche gene di pazzia italica, penso a Cochi e Renato, Arbore, (Benigni no, quello è di un altro pianeta, sta ai propri colleghi come Luzi ai suoi), ha anche un pizzico di umore fascinosamente italico nella percezione tragica rigorosamente espressa in forma comica. Gassman, non quello di Brancaleone, ma quello che si interroga sulla vita, nella melanconica notte su sdraio, riviera centroitaliana ferragostana…
La vita dei bicchieri e delle stelle di Giuseppe Grattacaso, da cui è tratta questa poesia, è un libro da leggere, un libro felice. Se comuni bicchieri animano queste pagine, la sua ispirazione pare provenire da una coppa di champagne inebriante con le sue bollicine, come la musica di Mozart di cui parlava Kierkegaard appunto accostandola all’euforizzante panacea francese. Perché con leggerezza mercuriale Grattacaso con i suoi bicchieri mette in scena il dramma del vuoto e del pieno del mondo. Bisogna risalire alle celebri fiabe animate di Walt Disney, massime La Bella addormentata nel bosco e La Bella e la Bestia, per trovare il prototipo di una simile animazione delle cose: bicchieri, stoviglie, lampadine, hi-fi, lavatrice: con un movimento rossiniano, improvviso e insieme incantato, gli oggetti della casa manifestano il dilemma e lo stupore della vita del suo abitante: «La vita dei bicchieri e delle stelle,/ tutta gentile e tutta risplendente/ brillante di gas elio o detergente,/ è quello che noi siamo e non sappiamo,/ bagliore nello spazio quotidiano,/ l’immediato presente e il più lontano,/ è l’esistenza senza alcun confine/ nell’universo, il gesto luminoso/ della mano, il raggio che ci sfiora/ e che si apparta, il cielo che rivela/ la nostra carne terrena e siderale,/ lo scompiglio del fiato universale».
In realtà il mondo delle cose domestiche è il mondo delle stelle, degli astri, che Grattacaso osserva incantato. Guarda le costellazioni, si interroga sullo spessore dei corpi. Vuole sapere se il bicchiere è davvero mezzo pieno o solo mezzo vuoto. Il bicchiere è il calice contenente, come da archetipo, il mistero dell’universo.

 

 

Grattacaso

L’anima si incupisce se gli oggetti

di nessun conto, le lampade i bicchieri,

ci abbandonano, il corpo si protende

senza di loro sul ciglio dell’abisso,

il gesto si frantuma in reticenze.

Solo la mano cerca nella tasca

la moneta, la chiave, il punto fermo

che ci faccia sentire dentro casa

con la speranza che tazzine e brocche

non abbiano lasciato la credenza,

che siano al posto loro le ramine,

i calici in attesa delle bocche.

Giuseppe Grattacaso
(Da La vita dei bicchieri e delle stelle, Campanotto 2013)

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