Valentina Mezzacappa
Visto al Teatro India di Roma

Il berretto di Malosti

Valer Malosti ha messo in scena un "Berretto a sonagli” di Pirandello in chiave tradizionale, dove la follia di Ciampa assume una dimensione molto realista

È andato in scena al Teatro India Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello. L’adattamento e la regia sono di Valter Malosti, attore, regista e direttore artistico del Teatro di Dioniso. Ricordo ancora la prima volta che andai a teatro a vedere una rappresentazione diretta da Malosti. Era il 1999, il testo Death and Dancing di Claire Dowie con Michela Cescon e Vito Di Bella, quest’ultimo presente anche nel cast de Il berretto a sonagli. Quella rappresentazione così generosa, essenziale, intelligente e dinamica sulla ricerca di un’identità mi colpì profondamente perché arrivava in un periodo in cui ero impegnata a pormi molte domande sul mezzo teatro, perché involontariamente rispondeva a quelle mie stesse domande e perché mi restituiva l’idea che il teatro fosse più che un mezzo espressivo artistico una vera e propria entità, creatura viva, sempre in divenire, ricettiva, critica, capace di assimilare idee, metabolizzarle e riproporle in maniera attiva.

C’era il tutto esaurito sabato sera all’India e la cosa non può che farmi molto piacere. Benché il regista abbia scelto la via della farsa nera per tessere la rete nelle quale cade la protagonista, di questa produzione colpisce la profonda umanità e la capacità, cosa per nulla semplice, di interpretare l’universo pirandelliano. Alla base di questo risultato non si può non riconoscere una profonda comprensione dei meccanismi di quell’universo, i quali, come una back story, conferiscono alla rappresentazione innumerevoli spunti interpretativi.

Colpisce sin dalla sua prima entrata in scena il personaggio di Ciampa, interpretato dallo stesso Valter Malosti. Ma non è solo la profonda comprensione dei meccanismi che regolano le interazioni sociali e il modo in cui il personaggio sa descriverli ricorrendo all’intelligente quanto saggia metafora delle corde a colpire, c’è anche il lavoro attoriale svolto da Malosti che tutto sembra fuorché un lavoro data la naturalezza e la totale mancanza di fatica che egli trasmette nel dare vita al suo ruolo. Incanta quel misto di talento e tecnica con la quale egli dimentica se stesso per diventare totalmente il suo personaggio.

il berretto a sonagli valter malostiL’ambientazione dello spettacolo è storica, la scenografia propone un salotto di inizio secolo e questo inizio secolo torna anche nella scelta dei costumi. Eppure all’uscita non si può fare a meno di rendersi conto dell’inquietante modernità che permea l’intera farsa, di ammettere che forse certi aspetti inerenti alle interazioni sociali fra individui e fra i sessi, sono cambiate poco o, per dirla tutta, non sono cambiate per nulla. E sono aspetti che nel raggiungere la climax drammatica dello spettacolo finiscono col fare più paura della morte perché agiscono da livella, perché ribaltano la piramide sociale, mettono a tacere i padroni e danno potere a chi prima potere non ne aveva. Da donna non posso fare a meno di notare e anche con una certa amarezza che, alla fine, a rimetterci è ancora una volta quello che per convenzione si è soliti chiamare il gentil sesso. La caduta nell’abisso di Beatrice Florica è rovinosa quanto vorticosa. La interpreta Roberta Caronia, avvolta e intrappolata dagli incessanti ragionamenti della sua dignità ferita, del rispetto a lei negato, in perenne guerra con la propria fisicità. La sua è una Beatrice scissa, uno specchio frantumatosi a terra in mille pezzi che riflette la verità solo come può fare uno specchio in mille pezzi, alle volte restituendola con fedeltà e altre distorcendola confondendo irrimediabilmente le acque.

Il berretto a sonagli di Valter Malosti ci ricorda la grande tradizione teatrale del nostro paese e lo fa proponendo con grande sensibilità anche le chiavi di lettura più nascoste, legandola al presente, mettendo lo spettatore alle strette perché non possa fare a meno, una volta calato il sipario, di rileggere a sua volta ciò che gli è stato proposto. Ed è di questo che ha bisogno oggi il teatro italiano, di liberarsi di quel sottile strato di polvere che lo ricopre, di accettare la propria identità di creatura viva, sempre in divenire, ricettiva, critica.

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