Raoul Precht
Periscopio (globale)

Pubblicate Sebastian!

Il diario di Mihail Sebastian, ebreo rumeno travolto dai fascismi del Novecento, è uno strepitoso frammento del nostro immediato passato. Perché da noi, dopo settant'anni, è ancora inedito?

Oggi non parlerò di un libro, ma di un non-libro, di un libro che non esiste. Almeno in Italia, almeno per l’editoria nostrana, spesso miope. Un libro uscito con grande successo di pubblico e critica nei paesi anglofoni, francofoni, germanofoni, ispanofoni, che ha suscitato salutari dibattiti sul ruolo dell’intellettuale (o presunto tale) al momento della nascita e del rafforzarsi di una dittatura, che ha messo in luce debolezze e pavidità di pensatori e scrittori che da noi tutti incensano (da Eliade a Cioran a Ionesco) spesso senza averli davvero letti, che traccia la storia personale e quotidiana di uno scrittore ebreo in Romania dal 1935 al 1944, negli anni dell’affermarsi del fascismo e della seconda guerra mondiale. Un libro di cui Philip Roth, nella prefazione all’edizione americana, ha scritto: “it deserves to be on the same shelf as Anne Frank’s Diary and to find as huge a readership”.

Ecco: questa “readership” in Italia non l’ha trovata, semplicemente perché questo libro da noi non esiste. Ed è questo un piccolo scandalo, tra i tanti grandi scandali della nostra provincia culturale.

Parlo del diario (Jurnal) di Mihail Sebastian, pubblicato, oltre che in rumeno, in francese da Stock, in tedesco da List e in inglese da Pimlico e Heinemann. Nel registrare giorno dopo giorno quanto gli stava succedendo intorno, con la sensibilità di un sismografo (e una volta tanto questa metafora lo è meno di quel che sembri), Sebastian osserva l’avanzata delle destre, il progressivo estendersi dell’antisemitismo nella popolazione rumena, la vigliaccheria di amici intellettuali che, per garantirsi rendite di posizione, si allontanano da lui, ebreo e quindi appestato per antonomasia, e si avvicinano invece sempre di più agli squadristi della Guardia di Ferro e al dittatorucolo locale, Ion Antonescu. Il tutto sullo sfondo di una vita intellettuale e sentimentale tormentata, nella cui descrizione Sebastian non esita a mettere in luce anche le proprie debolezze di scrittore e di uomo, ma sempre con un’eleganza e un’autoironia che fanno di queste pagine una lettura godibilissima e perfino divertente.

Mihail SebastianMentre osserva il pulsare della vita dalle finestre del suo appartamento in Viale della Vittoria, nel pieno centro di una Bucarest che alla metà degli anni Trenta era culturalmente vivacissima, Sebastian dedica pagine tormentate e lucide al travaglio della scrittura: “Le giornate colme d’ispirazione,” scrive, “non esistono, ma ne esistono, purtroppo, di pessime, in cui tutto cio che si scrive, che ci si sforza di scrivere, è un fallimento, è grigio, inerte. Non se ne vede la continuazione, e tutto è, se non proprio falso, almeno insignificante, piatto, inutile.”

Altrettanto lucide e dolorose, ma pervase sempre da un pizzico di derisione nei confronti di se stesso, le osservazioni dedicate al grande mistero, la donna (e non è un caso che uno dei suoi libri migliori si intitoli Femei, ovvero Donne): “Ci sono tante cose che dovrebbero rendermi scettico nei confronti delle mie ‘sofferenze’ amorose. So bene che passeranno, so bene che le dimenticherò, so bene quanto tutto ciò sia ridicolo (…), ma questo non attenua per nulla la mia attuale depressione, il bisogno assurdo di vederla; il dolore fisico di pensare ininterrottamente a lei, di rivedere certi momenti che mi sembrano oggi enigmatici e che vorrei decifrare.” Quale innamorato non è passato attraverso una fase simile? E quale scrittore di grande insuccesso non ha fatto la seguente riflessione: “Ci sarebbe bisogno di un po’ di pubblicità, di sforzi, di tenacia – tutte cose di cui sono purtroppo incapace.” E ancora: “…non ho mai chiesto un articolo a nessuno, mai fatto politica letteraria, mai coltivato le simpatie né evitato le inimicizie. Tutto questo è forse legato alla mia vecchia pigrizia, ma anche, in certa misura, alla coscienza che il mio destino di scrittore – se mai ne ho uno – si decide più lontano, ben al di là di queste piccole ‘faccende’. Orgoglio o pigrizia, la mia indifferenza è la stessa…”

Il fascino del diario di Sebastian risiede proprio nell’implicita valorizzazione di tutto ciò che può sembrarci futile e minimo, e che invece nell’economia dell’esistenza finisce spesso per occupare un posto spropositato. Sebastian non ci parla quindi solo dei grandi sistemi, ma li illumina e li legge dialetticamente attraverso le conseguenze che hanno sulla vita quotidiana della gente, il gregge, spesso beota, dal quale però lo scrittore non si distanzia, la cui vita, anzi, condivide.

Nato nel 1907, Sebastian muore a soli trentott’anni, in circostanze tra l’altro tragicomiche, investito da un camion dell’armata sovietica che aveva appena “liberato” la Romania. E muore, cari editori italiani, grandi e piccini, nel 1945; in altri termini, non dovrebbero esserci ormai neanche più diritti d’autore da versare. Che ne dite: ce la facciamo a pubblicarlo e a renderlo accessibile al lettore italiano, dopo appena settant’anni?

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