Loretto Rafanelli
“Lezioni elementari” di Roberto Mussapi

Ode al Maestro

Una guida quasi paterna, centrale nel processo educativo e culturale del poeta. Che dedica alla figura di Gabriele Minardi, nel ricordo di tanti episodi tra i banchi della Scuola elementare di Cuneo, un poemetto

In un esile libretto edito da Stampa 2009, nella collana curata da Maurizio Cucchi, esce di Roberto Mussapi, Lezioni elementari. Monologo sul maestro Gabriele Minardi, un poemetto che riporta l’autore a momenti decisivi della sua vita, fissi nella sua memoria, che si fa stupefacente nel ricordo particolareggiato di tanti episodi tra i banchi della Scuola elementare di Cuneo, in Corso Soleri, a cavallo del ’60. Ma questo poemetto che data la diversità di scrittura, così confidenziale, rispetto alla propria produzione, non poteva rientrare in qualche raccolta, si presenta infine uno scritto necessario, una esigenza dello spirito, una manifestazione dell’anima. Già in varie occasioni Mussapi ha parlato di questo grande maestro che lo aveva indirizzato alle grandi letture (anche su Succedeoggi, proponendo ai lettori della sua rubrica “Every beat of my heart”, un’anticipazione del libro: https://www.succedeoggi.it/wordpress2015/07/nelleta-del-tempo-incessante/, ndr),, che aveva vissuto e raccontato la guerra partigiana, che aveva favorito negli allievi il lato fisico-sportivo, calcio o lotta che fosse, secondo i rigidi canoni della correttezza. Insomma, una figura centrale nel processo educativo e culturale del poeta. Perché quel maestro così diverso, così esemplare nel suo slancio educativo, laico ed equilibrato, faceva leggere ai suoi ragazzi Fenoglio, Montale, Hemingway, Ungaretti, Garcia Lorca, Steinbeck, Verga. Un insegnante che non solo aveva appreso, pensiamo, l’importante lezione di Maria Montessori, ma era andato sicuramente oltre, con quella sua volontà di fare della letteratura una parte essenziale della vita degli allievi.

Sono, credo, figure scomparse per sempre, e quel complesso di Telemaco, di cui scrive Massimo Recalcati, secondo cui nella società contemporanea urge la necessità del ritorno del padre che permetta la filiazione simbolica, si spiega anche, oltre che con la mancanza di una autorevole figura paterna, con l’assenza di figure di riferimento nel mondo educativo esterno alla famiglia. Mussapi in questo aureo poemetto non solo si rapporta a un decisivo ricordo, ma riporta fatti, sentimenti e personaggi di quel lontano mondo: le amicizie, i tanti nomi (Pintus, Dutto, Odasso, Silvano Calcagno, Boetti…), le lotte, le furibonde partite di calcio in piazza Martiri della Libertà (e non piazza Regina Elena, diceva Minardi), con quell’unico goal segnato, i negozi dei genitori dei ragazzi nel centro di Cuneo, le madri all’uscita della scuola. Mussapi evidenzia una memoria eccezionale, i ricordi esatti di tutti i suoi compagni di classe sono una cosa incredibile a tanti anni di distanza, anche questa memoria favorita dal maestro, che «aveva insegnato a ricordare, a ricordare sempre».

cop scuolaPoemetto confidenziale si è detto (perché si sviluppa in alcuni punti come un dialogo con la figlia del maestro, Maria Vittoria), dove però una parte cospicua viene pure riservata all’Universo e alla sua formazione, con un microcosmo «dentro la vastità del cosmo, un proiettarsi dell’uno nell’altro nel tempo dell’umana memoria» come dice Cucchi, perché Mussapi mai rinuncia a cercare i nessi decisivi del cosmo, della nostra formazione umana, antropologica e storica, del nostro divenire, del nostro essere, mai devia da quel connotato alto fatto di racconto e di intuizione, di emozione e di partecipazione. Così anche Lezioni elementari contiene un sapore magico e luminoso, un andamento ‘epico’ e d’incanto.

Il ricordo di un verso, letto dal Maestro Minardi, di Sbarbaro «Padre se tu non fossi mio padre/ per te stesso ugualmente t’amerei», diviene la traccia rovesciata del poemetto, perché lui che non fu suo padre comunque fu una parte essenziale dell’amore del poeta, che rimarrà inevitabilmente sempre nel suo cuore. Eppure colpisce che Mussapi dica nei suoi versi, quasi bruscamente, che quel Maestro non volle mai più rivederlo dopo l’esperienza scolastica. Fu brutale questa decisione? no, perché «l’età di quella iniziazione era trascorsa,/ quel tempo aveva esaudito la sua opera», e non si poteva allungare quel tempo, se non banalizzandolo, magari con un darsi del tu o con un caffè al bar, «no, passato l’ultimo giorno di scuola/ sotto il balcone a ponte che porta alla piazza e alla strada,/ ero salpato ormai, nell’Universo». Volendo in verità così riservare a Minardi, quell’alta immagine ricavata tra i banchi, nel suo ruolo di perfetta voce educativa. Però sapeva che avrebbe dovuto raccogliere quei sentimenti, conservarli, tenerli stretti per una intera vita, non tradire lo spirito di quell’insegnamento ancorato alla luce della giustizia e della libertà, questo era l’ordine, poi in fondo «il tempo passato rivive nel sogno/ del tempo passato, lo alimenta».

E fu, tale epilogo, come l’istante della poesia, che non ritorna, che si compie solo in quel momento. E solo per questo conserva stupore e una misteriosa profondità.

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