Domenico Calcaterra
Un libro pubblicato da Pendragon

Il padre probabile

Con «Vita di Lidia Sobakevič», Giovanni Maccari prosegue sulla feconda strada del "romanzo biografico". Questa volta raccontando una vicenda di identità perdute intorno a uno scrittore russo (inventato ma non troppo)

Al di là di certi deliri agostani circa lo stato di salute del romanzo italiano, un dato non trascurabile sembra essere il fatto che esso tenda sempre più spesso a ibridarsi con il genere della biografia: più o meno documentata, più o meno disposta a concedere spazio alla ricostruzione dell’autore. Né biografie pure, né asettiche biografie romanzate, piuttosto romanzi autentici con l’ambizione di sondare i cortocircuiti tra vita e possibilità dell’invenzione letteraria.

Si tratta di un raccontare «sostanzialmente veritiero e al tempo stesso inaffidabile» – come scriveva bene, già nel 2011, nell’«Avvertenza al lettore», a proposito del suo Gli occhiali sul naso (Sellerio), Giovanni Maccari, restituendoci il racconto dell’enigmatico caso dello scrittore russo Isaak Babel’ e dei suoi anni tempestosi. L’anno dopo sarà la volta delle «biografie infedeli» di Davide Orecchio che con Città distrutte (Gaffi, 2012), muovendosi sul terreno della verosimiglianza manzoniana, costruisce una topografia del naufragio esistenziale articolata in sei capitoli, scrutando laddove l’onnipotenza della storia ha prodotto, inesorabile, il trauma. E che dire della «vita segreta» di Ignazio Silone raccontata da Renzo Paris in Il fenicottero (Elliot, 2014) o del Curzio di Osvaldo Guerrieri (Neri Pozza, 2015), che ripercorre la romanzesca e contraddittoria avventura umana dell’autore di Kaputt e La pelle? O ancora, si prenda l’ultimo libro di Scurati, Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani, 2015), nel quale giustappone alla ricostruzione della parabola di Leone Ginzburg oppositore del regime fascista, ancora una volta sotto il comune cielo di un divenire storico schiacciasassi, la vicenda semplice dei suoi nonni.

Cover Maccari ok:Layout 1Adesso, con il sorprendente Vita di Lidia Sobakevič (Pendragon, 2015), il saggista e scrittore Giovanni Maccari, ritorna, epperò per spingersi oltre, a declinare il romanzo attraverso la narrazione biografica (questa volta di un personaggio d’invenzione).

Lidia è figlia di Michele Sobakevič, uno scrittore minore (celebrato dalla critica ma non noto al grande pubblico), appartenente a una famiglia di russi emigrati in Italia dopo la rivoluzione d’ottobre, e la cui opera ha tratto linfa e dal grande senso di libertà totale da cui è agitato e dai suoi vizi (fra tutti il demone del gioco d’azzardo). A un certo punto Lidia si converte al «culto» di quel padre che, proprio per via della sua bambina, aveva scelto di privarsi d’ogni autonomia e abbracciare le «ragioni della vita»: si rivolta contro la madre e la sorella (che si erano alleate per distruggerlo). Il progetto di Lidia, da questo momento in poi, ricalcando il destino paterno («mettersi in condizione di salvarsi»), sarà quello di «dare vita a un governo in esilio della repubblica dei Sobakevič». Nella duplice veste di figlia e di storica e filologa del padre, con metodo quasi saintebeuviano, Lidia, tra dinamica freudiana e paradigma dell’esilio, si occupa di tutto ciò che era entrato in contatto con suo padre.

Maccari cesella questo romanzo sull’identità incentrandolo sul peso e il senso dell’ossessione di Lidia per il padre; tutto giocato sull’ambiguo intrecciarsi di piani, tra percezione delle cose e convinzioni radicate, abbagli e cruda realtà; tra biografia e letteratura, vita e romanzo della vita. La stessa doppia esistenza di Lidia – protagonista della vicenda e personaggio della biografia di Sobakevič («chiamava suo padre Sobakevič e se stessa la figlia dell’autore») –, è il simbolo più diretto di tale ambiguità. Ma è anche questo un libro costruito attorno a dei nuclei tematici forti: il germe inestirpabile della disgregazione che reca in sé la famiglia (che Michele considera nulla più che «una favola per coglioni» e Lidia vive come luogo della «assenza programmatica della felicità»), la scelta di un destino di autoesclusione e solitudine, il drammatico rapporto tra libertà ed esilio (spia tematica quest’ultima, insieme alla rievocazione di un certo mondo russo, già presente nel libro su Babel’, e che, personalmente, mi ha rimandato a un libro per certi aspetti affine come Rapsodia su un tema solo di Claudio Morandini).

La lezione tuttavia più importante che possiamo ricavare dalla misura naturale e quasi svagata della prosa del Giovanni Maccari di Vita di Lidia Sobakevič, con il quale peraltro lo scrittore senese riscrive e trasfigura la storia del legame tra la figlia e il più grande forse tra i minori del Novecento italiano (al lettore il compito di compiere la facile scoperta), è che a tramontare sono le forme in cui il romanzo s’invera, non il suo essere privilegiato strumento di cognizione (personale e storica).

domenico.calcaterra@gmail.com

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