Pierre Chiartano
Nobel per la pace 2015 alla Tunisia

Il Quartetto della speranza

Premiata la coalizione di associazioni della società civile tunisina protagonista della primavera araba, impegnata nella costruzione della democrazia. Un segnale simbolico come auspicio di cambiamento per tutto il Medioriente

Un Nobel per la Pace che ha sorpreso molti, ma non tutti, quello annunciato per la Tunisia. Il cosiddetto “Quartetto per il dialogo democratico”, una ampia coalizione di associazioni della società civile, potrà fregiarsi della pergamena rilasciata su indicazione del comitato di Oslo. Il sindacato del lavoro Ugtt, l’associazione degli industriali Utuca, la Lega per i diritti civili e l’associazione degli avvocati ne sono il cuore. Un sodalizio nato nel 2013 dopo l’appello dell’allora presidente Moncef Marzuki per facilitare nel dialogo tra Ennadha e Nidha Tunis la transizione dei poteri e portare il paese verso nuove elezioni e una nuova Costituzione.

Qualche commento critico, off the record, si è anche sentito, fuori e dentro la Tunisia. Ma andiamo con ordine. Cosa significa per il paese maghrebino questo riconoscimento? Quanto ha influito il contesto di crisi internazionale, a cominciare dal caos siriano? È veramente meritato? Cominciamo dalla fine e non vogliamo dare pagelle o giudizi, specie a caldo. Prendiamo un commento che riteniamo giusto. A farlo è stata la direttrice di Human Right Watch, Amna Guellali. «Il Quartetto ha permesso che il processo democratico in Tunisia continuasse». È vero e spieghiamone l’importanza al di fuori della narrativa ufficiale.

Nobel pace 2Ci sono anche ombre, invidie politiche, vendette personali, intromissioni esterne. Ma accade non solo in Medioriente. Solo chi è digiuno della gestione del potere può confondere le scorie della politica per come è nella realtà, meno nobile di come ce la raccontano, per elementi “oscuri” e trame bizantine. E non è escluso che ci siano state anche quelle. Quando governava, non proprio brillantemente, la trojika e il partito islamista “moderato” Nahda, il clima del paese era molto teso. I due omicidi politici del 2013 avevano poi spinto oltre la tensione. La caduta del presidente Morsi in Egitto aveva aperto gli orizzonti della crisi delle post-primavere arabe a conseguenze imprevedibili. Si sentiva un clima di urgenza che, sappiamo, non sempre porta buoni consigli. Ma è vero come afferma la Guellali che si era arrivati a un passo dalla guerra civile. Non più una rivoluzione. E il Quartetto ha facilitato il dialogo, proprio perché rappresentava larghe fette della società attiva, certo non tutte.

Ma saremmo ingenerosi se non dessimo atto a Nahda e al suo leader Rashed Gannouchi di aver aiutato il paese a uscire da uno stallo pericoloso. Una scelta che il partito a ispirazione islamica ha pagato politicamente. Dall’altro fronte c’erano le forze poi confluite nel neopartito Nidha Tunis e Caid Essebsi, l’attuale presidente della Repubblica. Una sorta di garante di settori importanti del potere occidentale.

I critici affermano come il Quartetto avrebbe avuto un compito assai più difficile senza la regia d’Oltremare svolta da Parigi. Può darsi. Citiamo la Francia per vicinanza storica e geografica con la Tunisia, ma anche altri attori internazionali anno svolto un ruolo. Qualche osservatore esterno afferma che il comitato norvegese sia un po’ distante dalla realtà: diciamo si sia fatto un giro su Marte. E che non sia la prima volta. Qui interviene l’urgenza politica dettata dalla gravissima crisi siriana, dall’instabile situazione irachena e di tutta la regione, sullo sfondo di nuovo balance of power tra Usa e Cina, condito da una globalizzazione fuori controllo e una debolezza dei vecchi modelli basati sulle democrazie parlamentari. Dove il protagonismo, molto mediatico, di Putin è giusto un condimento geopolitico. Tanto per complicare ulteriormente le cose. Di fronte a un caos simile sottilizzare potrebbe sembrare un esercizio di sadismo dialettico. In questo quadro SI e sigle concorrenti, il radicalismo religioso e le masse migratorie svolgono ruoli chiave, ma diversi dalle apparenze. Ma non è questa l’occasione per approfondire.

Restiamo al Nobel tunisino. Serviva lanciare un segnale, creare un elemento simbolico nella speranza che si sostanzi in un processo concreto di cambiamento in Tunisia e serva come primo elemento di stabilità in un’area dove tutto sembra sfaldarsi. Chi scrive non è mai stato tenero riguardo alle finte narrative costruite nei paesi delle rivolte arabe, ma ritengo che i tempi siano cambiati e sia utile partire da quello che sia ha. Ben venga il Nobel se potrà servire a serrare le fila di comunità litigiose per natura; se servirà a risolvere il vero problema della Tunisia, la corruzione; se aiuterà a costruire uno spirito positivo nel paese, che possa diventare un esempio per tutta la regione. E che possa essere un futuro di pace per i tunisini che senz’altro lo meritano.

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