Ilaria Palomba
«Ferite profonde forse guaribili»

Gli ultimi fratelli

Andrea Bocchia esordisce nel romanzo raccontando una periferia squassata dove la solidarietà tra derelitti è l'ultima frontiera. Con la musica dei Genesis sullo sfondo

Ferite profonde forse guaribili (Alter Ego, 2015, pp. 312, 15 euro), esordio di Andrea Bocchia, è un romanzo bukowskiano che parla dell’oggi senza esibizionismo giornalistico, i cui personaggi vivono la propria condizione di outsider in modo naturale, senza rendersi conto di esserlo. Scritto con un linguaggio moderno senza lirismi o ammiccamenti letterari, a metà strada tra Bukowski e Fante, è la storia di Amedeo e Sandro, padre e figlio abbandonati a se stessi, due facce della stessa medaglia che nella loro similitudine non riescono a incontrarsi. Simultaneamente nelle loro esistenze entra la presenza dell’alterità.

Per Sandro sarà inizialmente una compagna di classe, la classica bellissima inarrivabile di nome Rossella Baggiani, che il ragazzo noterà proprio in un momento in cui, impulsivo e casinista, si è inimicato la comitiva dei figli di papà, violenti e senza scrupoli. Ma poi le cose cambieranno, e i primi amori corrisponderanno al tema delle affinità elettive, come un ritrovarsi tra esuli. Per Amedeo, invece, si tratta di Maria, una misteriosa e affascinante transessuale, conosciuta in una sera di sbronze nel nuovo strano bar che fa tanto discutere i vecchietti del quartiere. Inizialmente la presenza di questa terza nel precario equilibrio famigliare sarà dissacrante e complicherà il rapporto padre-figlio, in primo luogo perché, nonostante l’incomunicabilità, i due sembrano essere l’uno lo specchio dell’altro e sopravvivono al mondo in virtù di questo strano legame che è insieme un peso e un tacito patto. Sandro ha come unico amico Osmar, un migrante di seconda generazione che ha da poco abbandonato gli studi per lavorare nel ristorante-kebab del padre, non fa che fumare hashish e frequenta cattive compagnie. Amedeo quasi non ha amici, lavora in un bar sull’autostrada che vende cibo immangiabile e i cui i capi trattano i dipendenti da schiavi. Entrambi i protagonisti si metteranno nei guai, entrando in conflitto con personaggi più forti e potenti di loro e sarà l’amore a portarli per un versante nel baratro, per l’altro verso una crescita interiore.

Si tratta indubbiamente di un romanzo di formazione per entrambi, anzi, forse, se si dovesse individuare tra i due il vero protagonista, questi sarebbe Amedeo, il padre, che da uno stato di apatia e rassegnazione metterà in discussione l’intera sua esistenza per Maria.

Bocchia copertinaLa tematica gender entra nel libro senza pomposità né desiderio di farne un vessillo, stessa cosa vale per le altre tematiche che hanno in comune l’interesse per la diversità, l’integrazione, la difficoltà di stare al mondo, caratterizzando questa città, di cui non viene mai fatto nome, come un microcosmo, specchio del macrocosmo sociale, dove a dominare sono i soliti prepotenti e senza scrupoli, mentre la fragilità e la differenza risulta strumentale alla forza di chi voglia vincere facile. Ci sono le periferie urbane, caratterizzate dalla medesima uniformità spersonalizzante, l’alienazione del lavoro, la perdita del desiderio di cambiamento e riscatto, ma ancora persiste una sorta di fraternità tra ultimi, che è poi la vera forza del romanzo. Là dove i vincenti a poco a poco si trasformano in squallidi ometti privi di midollo e coloro che sembravano perdenti assumono aspetti velatamente eroici.

Lo stile è cinematografico, diretto, tagliente, ironico, a tratti cinico ed esilarante, con un uso della metafora e della metonimia del tutto originale. L’ironia non sfocia mai nella banale comicità e non giustifica né previene l’esito tragico cui giunge, per forza di cose se si vuole restare nell’ambito del realismo, chi si mette contro il potere. I personaggi sono veri, vivi, si può immaginarli muoversi attorno a sé. La copertina richiama un tratto fondamentale che nel libro non manca mai: la musica, in primo luogo The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis, colonna sonora dell’intero romanzo.

«Da quando erano in quella città era l’unico locale che frequentava, ne aveva girati un po’, ma non aveva trovato nessuno dove si sentisse al suo posto. In quelli dove l’età media lui l’aveva passata da un pezzo si sentiva un fesso, e in quelli dove pareva giusta non si sentiva abbastanza stronzo. I suoi coetanei lo deprimevano, argomentavano cazzate come fossero filosofia: la nuova macchina, il nuovo cellulare, il nuovo computer portatile. Le gioie del nuovo senza pensare ai dolori del nuovo: cioè i nuovi tipi che si sbattono regolarmente le loro mogli mentre questi idioti si danno virili pacche sulle spalle dopo aver commentato il culo della barista dell’happy hour. Età di merda la sua, non era più abbastanza giovane per fare sano e irresponsabile casino e non abbastanza in là per starsene chiuso in casa a vedere programmi tv per cervelli fritti. Se, come dicevano, la vita cominciava a quarant’anni, aveva già sprecato qualche anno».

Facebooktwitterlinkedin