Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

Rokko e i suoi fratelli

Presentato in concorso “A Bigger Splash" di Luca Guadagnino (con Corrado Guzzanti nel finale a sorpresa): è un film che gira a vuoto. Troppo insensato per essere vero!

E dire che per un po’ c’eravamo quasi convinti che A Bigger Splash fosse almeno sopportabile. Invece, puntuale come un luogo comune del nostro Presidente del Consiglio, è arrivata la mazzata. Diretto da Luca Guadagnino e presente in concorso qui a Venezia, A Bigger Splash racconta la storia di un ex produttore musicale, della figlia appena conosciuta, della sua ex compagna grande diva rock e del suo attuale compagno. Harry, il produttore, cerca di recuperare il rapporto con Marianne, la diva rock. Finirà malissimo. Tutto qua. Ma in fondo le storie migliori si raccontano con due parole, e pare che il soggetto de La vita è meravigliosa fosse scritto su di un biglietto di auguri natalizi. Certo, poi occorre realizzare il film.

Guadagnino descrive bene l’iperattività di Harry, la compostezza anche se solo apparente di Paul, suo amico e marito di Marianne, che per un crudele scherzo del destino non riesce nemmeno a parlare causa un problema alle corde vocali. Più approssimativa la figura di Penelope, affascinante creatura scaturita dai lombi di Harry. Appena appena ispirato a La piscina di Jacques Deray, il film racconta una breve vacanza a Pantelleria, dove Harry piomba come una bomba in continua deflagrazione. In realtà la sua apparente e scoordinata vitalità è uno stratagemma per far tornare Marianne da lui. Come vedete il soggetto ci può anche stare. Ciò che invece funziona meno, molto meno, è il modo di fare cinema di Guadagnino. Siccome siamo a Pantelleria e il momento è quello che è, non si può ignorare il problema dei profughi che dunque ogni tanto fanno capolino, dai notiziari o durante le passeggiate dei nostri levigatissimi interpreti. Poi serve anche far capire che siamo sempre dalla parte socialmente giusta, e allora cosa c’è di meglio che far cantare alla domestica Bella ciao che neanche Michele Santoro?

corrado guzzantiPrima di passare al finale, autentico (futuro) oggetto di culto, ci preme far notare come questi aspetti così rilevanti del vivere quotidiano vengano trattati dal regista. E cioè come chi questi problemi non li ha mai vissuti. Ma questa non è certo una colpa. Ciò che disturba è l’assoluta, evidente, mancanza di empatia con quell’intollerabile mondo parallelo che va di pari passo con chi vive in case con piscina e non ha problemi a pagare le bollette. Ma pure questo va bene, magari noi. Però poi non ci si deve lamentare se si viene accusati di superficialità, e di essersi voluti in qualche maniera emancipare da responsabilità rispetto alla superficialità stessa con cui certi temi vengono trattati. D’altra parte si parla meglio di ciò che si conosce. Poi, la lunghezza eccessiva di certe scene, l’inutilità di certi dettagli, sono tutte considerazioni che lasciano il tempo che trovano, come tutto quello che può piacere o meno. A parte il finale. Eh sì. Fare interpretare la parte di un maresciallo dei Carabinieri a Corrado Guzzanti è un autentico suicidio. Come tutta la scena che si svolge in piscina, che però non possiamo raccontare (il film dovrebbe uscire a novembre). Oddio, la scena finale è forse destinata ad entrare nella leggenda. Ci viene comunque un dubbio. Luca Guadagnino tutto è fuorché uno sprovveduto, per questo ci sorprenderemmo non poco se non avesse tenuto conto dei rischi che una produzione così costosa si sarebbe esposta affidando a Corrado Guzzanti quel ruolo.

Per cui delle due l’una: o non ci ha pensato davvero, oppure ci ha pensato e lo ha fatto lo stesso. In questo caso: per dimostrare cosa? Come rovinare un film già in debito di ossigeno? Non ci pare ce ne fosse bisogno. Poi si può parlare della metafora, la grande metafora del mondo dello spettacolo, della corruzione che vi alberga, dalla dipendenza della droga, dell’alcol, del successo. Dei compromessi dell’amore, della difficile fedeltà, del tradimento fatto perché tanto si verrà traditi. Una metafora appunto. E allora noi vorremmo sapere perché, mentre guardavamo il film, la parola “metafora” non ci veniva in mente. Pensavamo, invece, a Rokko Smitherson, al suo cinema, ai suoi titoli storpiati. Chissà cosa avrebbe combinato con un titolo come A Bigger Splash. Meglio non pensarci, in fondo il cinema è solo una grande metafa, pardon, metafora. Perfino quello che più o meno legittimamente (chissà) non ci piace.

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