Nicola Bottiglieri
I migranti e la memoria

Rammendare il mare

Il Mediterraneo è un tessuto strappato e i bordi dello strappo (o della ferita) si sono sfilacciati. Se non vi poniamo rimedio, continueranno a logorarsi sempre di più

Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee… I centri storici ce li hanno consegnati i nostri antenati, la nostra generazione ha fatto un po’ di disastri, ma i giovani sono quelli che devono salvare le periferie. Spesso alla parola «periferia» si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. Diventeranno o no pezzi di città? Diventeranno o no urbane, nel senso anche di civili?

Queste parole scriveva il grande architetto Renzo Piano il 26 gennaio 2014 sul Sole 24 ore. Parole profetiche per il futuro delle città, ma anche disponibili ad essere adottate per altre aree del pianeta. Per esempio, se alla parole periferia sostituissimo la parola Africa, questa riflessione acquisterebbe ancora più forza. Facciamo la prova.

L’Africa è un paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e danaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie dell’Africa le città del futuro, quelle dove si concentra l’energia umana e quelle che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo del continente africano e ci vogliono delle idee…I confini storici ce li hanno consegnati i nostri antenati, la nostra generazione ha fatto un po’ di disastri, ma i giovani sono quelli che devono salvare l’Africa e le sue periferie. Spesso alla parola «periferia» si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. Diventeranno o no pezzi di città? Diventeranno o no urbane, nel senso anche di civili?

migranti africaCosa significa rammendare? Rammendare viene da ammenda che significa riparare una colpa, ma menda è anche vizio, bugia. Infatti mendace è riferito a chi non dice la verità. Rammendare è quindi sanare la colpa ma per sanarla bisogna riconoscerla e per un po’ anche convivere con essa. Rammendare vuol dire, quindi, avere pazienza quando si è nella colpa, ma allo steso tempo avere abilità per uscire da essa, percorrendo con leggerezza i bordi del tessuto strappato. Rammendare perciò è il contrario di buttare via: significa valorizzare e far durare quello che c’è.

Le nonne erano brave nel rammendo ma in epoca di crisi si è riscoperta l’arte del rammendo e siccome non vi è più tempo per farlo in casa, sono sorte piccole botteghe artigiane che fanno rammendi di vestiti che una volta si buttavano: un maglione, un pantalone o una camicia. Rammendare è quindi una filosofia di vita, un modo di stare al mondo, una strada per conoscere la qualità delle cose, imparare a vedere lontano. Comunque contrario al consumismo e alla discarica della storia e delle cose.

Noi ci sentiamo vicini all’America Latina che è lontana migliaia di chilometri, ma ci sentiamo estranei all’Africa che dista poche centinaia di chilometri. Perché mai? Perché le lingue che parlano nel continente nero non derivano dal latino, (come italiano e spagnolo)? Per la religione mussulmana antagonista a quella Cristiana? Per il colore della pelle? Per la cronica miseria che divide i due mondi? Conosciamo poco l’Africa perché l’Italia nei secoli passati non ha vissuto in prima persona la tratta degli schiavi che si svolgeva sull’Atlantico oppure per il colonialismo feroce e frettoloso che è stato praticato? Per quale altre ragioni il mare è divenuto un muro contro il quale vanno a sbattere i barconi e il mare nostrum è divenuto mare monstruum?

Oggi il Mediterraneo è un tessuto strappato, perché i bordi dello strappo (o della ferita) si sono sfilacciati. E se non vi poniamo rimedio, continueranno a logorarsi sempre di più. Gli aghi che devono rammendare gli orli, non possono essere i barconi degli scafisti, ma come dice Renzo Piano «c’è bisogno di un gigantesco lavoro di rammendo e ci vogliono delle idee». Alcune di esse sono già in atto, quali la cooperazione, l’azione missionaria, gli interventi di qualificazione sociale ma forse è ancora poco di fronte alle convulsioni del continente. Bisogna anche capire che le periferie delle città africane non si trovano solo nel continente nero ma nella “bianca” e democratica Europa.

Rammendare significa quindi conoscere il tessuto strappato. Sul piano letterario significa rileggere la letteratura sull’Africa e perfino la (brutta) letteratura coloniale, certo non per amore del razzismo ma per capire la storia del nostro rapporto con il continente. Un film mi aiuta a chiarire questo concetto: Lo squadrone bianco di Augusto Genina del 1936. È la storia del giovane Ludovici che, per una delusione d’amore con Cristiana, si arruola nello squadrone dei meharisti (soldati sui cammelli) nella guerra contro la Libia. Fra tirate retoriche e combattimenti nel deserto, il giovane italiano diventa un guerriero. Quando la donna amata lo raggiunge per riconquistarlo, egli non vuole più seguirla, perché ora ha trovato il suo posto nel mondo. Che cosa voglio salvare di questo film? Non la guerra contro la Libia, ma la descrizione del deserto fatta da un italiano, lo stupore nei confronti del mondo dei cammelli, il fascino di una geografia da sempre sconosciuta. Non credo che bellezza salverà il mondo, ma potrà almeno svegliare la curiosità per tutto quello che è diverso da noi. Il rammendo può iniziare fra il presente ed il passato della nostra storia.

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