Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

La sfida Trump/Bush

Il nuovo scontro tra i candidati repubblicani alla nomination in vista delle elezioni del prossimo anno ha concentrato l'attenzione sulle due star. Lasciando in ombra l'unico vero politico del gruppo, John Kasich

Ha potuto contare su una media di 22,9 milioni di spettatori il secondo dibattito repubblicano apparso sugli schermi di CNN mercoledì scorso e tenutosi alla biblioteca presidenziale Ronald Reagan a Simi Valley in California poco lontano da Los Angeles. Moderato da due giornalisti della CNN, Jake Tapper e Dana Bash, e da un radio host conservatore come Hugh Hewitt, il dibattito tra gli 11 candidati è stato una vera e propria maratona andata in onda dalle 20,15 eastern time alle 23,15. Più che illustrare lo sviluppo del dibattito, che è apparso anche questa volta piuttosto ripetitivo rispetto al primo, mi sembra importante dare un quadro generale della situazione evidenziando i candidati più significativi.

Tra di essi senz’altro Carly Fiorina, unica donna presente accanto ai dieci sfidanti uomini è stata, come tutti quanti i media sia della carta stampata che della televisione hanno rilevato, la candidata vincente che in maniera ferma è riuscita a tenere testa ad alcune affermazioni di  Donald Trump. Salvo poi essere stata vittima di uno scivolone di basso livello. Infatti, quando ha parlato di un video su un feto abortito a cui viene prelevata materia cerebrale per esperimenti attributi a Planned Parenthood contro cui, e non è la sola tra i repubblicani, si è schierata con il proposito di impedire all’associazione di usufruire di fondi governativi, non solo ha parlato di un documento inesistente, ma ha inoltre affrontato un argomento così complesso con la delicatezza di un ippopotamo. E non è la prima volta che Fiorina mostra un lato rozzo della sua personalità e della sua strategia politica. Nel precedente dibattito infatti, parlando dell’accordo firmato da Obama con l’Iran, non solo ha immediatamente rivendicato con superbia la sua personale amicizia con Netanyahu e la priorità dell’alleanza con Israele rispetto ad altri paesi dell’area, ma ha anche ostentato un’arroganza dovuta alla sua ingenuità politica quando ha affermato che obbligherà (sic!) le istituzioni iraniane a mostrare in ogni momento e in ogni occasione lo ritenga necessario i siti nucleari, bloccando i fondi a loro destinati. Come se questa fosse una decisione unilaterale e presa autonomamente dagli Stati Uniti e non invece di concerto con altri paesi.

Non mi soffermerò a parlare di alcuni candidati come Ted Cruz, Mike Huckabee, Rand Paul o Scott Walker le cui posizioni politiche appaiono “povere” di contenuti, infarcite di credenze religiose o forse sarebbe meglio definirle frutto di leggende metropolitane e di pregiudizi molto pericolosi perché fatti passare per oggettivi. Una menzione particolare nei confronti di Ben Carson solo per dire che è l’unico nero tra i candidati e che, tuttavia, politicamente al di là della sua gentilezza e del suo savoir faire non ha alcuna chance di vincere la nomination a causa di un’inesperienza politica imbarazzante. Tutti quanti questi candidati sono accomunati dal trovarsi su posizioni che si possono, senza difficoltà, definire retrive. Alcuni tra di loro troppo presi a combattere Trump piuttosto che a presentare le proprie piattaforme politiche per risolvere i problemi di politica nazionale ed estera.

Decisamente protagonisti del dibattito invece Donald Trump che seppure in una china discendente conferma tuttavia il suo carisma, Jeb Bush che questa volta, come ha affermato anche Trump, è stato un po’ più vivace specie quando ha difeso il fratello, Chris Christie che, accusato di essere troppo liberal, ha brandito la spada contro Hillary a proposito dell’aborto e ha accusato sia Trump che Fiorina di parlare troppo di se stessi e delle loro carriere e di non preoccuparsi abbastanza di quelle dei lavoratori. Poi c’è stato Marco Rubio che, non avendo mai attaccato direttamente Trump, ha avuto modo di illustrare alcune delle sue posizioni soprattutto in politica estera di cui sembra avere una conoscenza meno approssimativa degli altri e più fondata su informazioni reali.

John KasichInfine last ma decisamente not least John Kasich, governatore dell’Ohio, il quale ha rivendicato la sua esperienza di politico; che forse può anche giocare a sfavore, visto l’odio per i politici professionisti, ma che nel suo caso sembra invece costituire un elemento di conoscenza necessario alla ragione politica e non invece semplicemente dare corso alle emozioni del momento che ascoltano solo la pancia popolare. Kasich ha infatti affermato che cancellare l’accordo con l’Iran sarebbe semplicemente una prova di inesperienza politica e che togliere i fondi governativi a Planned Parenthood sarebbe sbagliato. Come sbagliato sarebbe cancellare la riforma sanitaria di Obama. Si conoscono infine le sue posizioni sulla tassazione, sulla scuola, sul problema dell’immigrazione e su quello della povertà. Se ottenesse la nomination, darebbe davvero del filo da torcere a Hillary. E riporterebbe l’immagine del partito repubblicano nell’alveo di una tradizione bipartisan che è sempre stata una sua caratteristica.

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