Alberto Fraccacreta
Tre santi bizantini secondo Hugo Ball

Cristianesimo dada

Giovanni Climaco, Dionigi l’Areopagita e Simeone Stilita. A loro sono dedicate le biografie redatte con acuta spiritualità dallo scrittore tedesco che recitò le sue poesie al Cabaret Voltaire di Zurigo vestito da missile aerospaziale

La parola “bizantino”ha un suono aureo, un tintinnio d’ottone. L’arzigogolo domina incontrastato. Una macchia scura di lontananza e filiforme memoria si imprime agli occhi. “Bizantino”. Mosaici, oro, ricerca del paradosso, restaurazione dell’Impero. È davvero singolare, oggigiorno, trovarsi dinanzi a un libro che illustra tre vite di santi e asceti – paradosso già forte per il mondo contemporaneo –, se il libro in questione è redatto con magistrale vigore da un dadaista, Hugo Ball, precisamente colui che scrisse il poema fonetico Karawane (eccone uno stralcio: «Zimzim urallala zimzim urullala zimzim zanzibar zimbella zam/ elifantolim brussala bulomen brussala bulomen tromtata/ veio da bang bang affalo purzamai affalo purzamai lengado tor/ gadjama bimbalo glandridi/ glassala zingtata impoalo ögrogööö»), e lo recitò nell’estate del 1916 al Cabaret Voltaire di Zurigo vestito da missile aerospaziale.

cop CristianesimoSi tratta di Cristianesimo bizantino (Adelphi, 316 pagine, 28 euro), mirabile esempio di riverbero e meditazione sul puro dato biografico, forte di una prosa mordente, specchiata, mai bugiarda. Il giudizio di Hermann Hesse sul testo non sgarra: «L’opera di Ball è pervasa dalla religiosità che anima l’innocente scritto di un agiografo, ma al tempo stesso da una spiritualità lucida, acuta, che spesso tende quasi all’ironia. Un’aria chiara e tersa spira intorno alle figure che egli descrive con misura, fedeltà, quasi in maniera impersonale – e aleggia un’atmosfera di purezza, come nelle opere dell’Alto Medioevo». Le biografie riguardano Giovanni Climaco, Dionigi l’Areopagita e Simeone Stilita. Nomi pregiati, dal sapore secco.

Giovanni Climaco -«Si può essere in odore di santità e al tempo stesso essere uno studioso modesto e un traduttore legnoso. Ma chissà quale immensa fatica sarà costata ad Angelo strappare al passato l’opera di un maestro allora completamente dimenticato, e richiamarla in vita almeno a uso del suo convento. All’Angelo da Cingoli un ringraziamento e un saluto, anche solo per il suo nome». Incanto e ironia sono le cifre dell’operato di Ball lungo il suo altero/alterno percorso. A un’ottima ricostruzione storica si associano perle dello spirito: «Non vi sono parole che possano descrivere appieno la grandezza dell’umiltà. Essa è la guarigione dai dissidi interiori e un sollievo per i pensieri. Ben presto appare la santa trinità della “volenterosa sopportazione dell’onta”, della “completa disfatta dell’ira”, della “inestinguibile convinzione di quanto sia insufficiente la propria virtù”. L’umiltà è la dolorosa epilessia dell’asceta, il senso e la meta del suo esercizio, che prevale sul “drago del corpo”». L’umiltà è il contrario della superbia, non sempre lo si capisce: Maria diviene dunque regina di umiltà, prima di essere regina del cielo e della terra. «Maria, madre della purificazione, fu chiamata Scala Coeli o Scala di Giacobbe. Leone, frate francescano, in stato di estasi vide addirittura due scale in pari tempo, una purpurea e una bianca. Su quella purpurea riconobbe Cristo in piedi, e sotto di lui Francesco il Serafino nell’atto di esortare i confratelli a raggiungerlo. Ma questi precipitavano dai più diversi punti di quell’impervia scala giudiziale, malgrado gli strenui sforzi, finché sull’altra teoria di gradini, che erano fatti di luce abbagliante, Maria l’Umiltà li trasse tutti insieme in cielo». Nel profilo stilato da Ball vien fuori un Climaco modello di vita, sagoma di perfezione, non distante da serie e inconfessate proposte di realismo: «Come dal mare viene la fonte, così dall’umiltà viene la capacità di discernere». Memorabile è la definizione di preghiera: «La preghiera è l’aristocrazia della povertà».

DionigiDionigi l’Areopagita -Controversa, per certi aspetti ardua, appare invece la ricostruzione della figura di Dionigi, legato a ricami dottrinali d’ispirazione gnostica. Il discorso si eleva nel campo della difficile contesa spirituale. La documentazione, approntata dallo scrittore tedesco, della Gnosi e del suo pervicace pessimismo assomiglia a un che di tempestivo e ammonitore: «Il prevalere del tormento e dei mali in un mondo sconvolto e tirannizzato, il desiderio che la pena abbia termine». Ancora: «Gnosi è in fondo la traduzione esatta della parola iranica zend. Sembra che si siano accese sul suolo iranico le prime lotte intorno al principio del Dio primordiale. Gli iranici (persiani) considerano demoni delle tenebre gli stessi deva, che i loro vicini indiani venerano come dèi buoni». La Gnosi è «un mondo dell’apparenza e un Dio del nulla», che si prefigge di far lotta a «Jahveh, il dio creatore “indulgente”». Contro la proposta gnostica di un Dio dalla duplice natura, l’Areopagita, pur subendone velatamente l’influsso, pone a sorveglio la più schietta tradizione teologica. «La malvagità è solo apparenza, derivante dalla prospettiva umana. Davanti a Dio essa non esiste, e nel progressivo avvicinamento all’Unità divina scompare. Il cattivo è solo una mancanza di luce, un “vuoto di propositi, bellezza, ragione, spirito, compiutezza”. Principio e fine di tutto il male è il Bene. Di conseguenza, il male non ha neppure sostanza». Qui si percepisce la presenza della mano intellettuale di Sant’Agostino, eroe dell’ortodossia di pensiero. E Ball commenta tonante: «La terra dello gnostico è il teatro sprofondato dell’astrazione divina, una dimora di maschere spaventose». A differenza della Gnosi, «in Paolo l’evento della croce diviene il punto centrale di ogni esperienza». Notevole è anche l’angelologia di Dionigi, ripresa poi da Dante nelle descrizioni strutturali del Paradiso.

Simeone Stilita -Con Simeone si lascia il terreno delle dispute per tornare nei luoghi del misticismo, nei viluppi estremi dell’arte anacoretica. Prendiamo come esempio il dono dell’ubiquità: «Un tale miracolo cherubico, come lo si potrebbe chiamare, l’essere uno e ovunque nello stato di preghiera estatica, non è un fatto isolato nelle agiografie». O la cosiddetta “conoscenza mistica”: «Con Genoveffa egli è stato probabilmente in rapporto per via estatica», vale a dire: si conoscevano e stimavano senza essersi mai visti, almeno dall’ottica della fisica che conosciamo. Per Ball la preghiera è scienza: «Noi oggi non crediamo più che la preghiera sia una scienza esatta. Genoveffa e Giovanna d’Arco dimostrano invece, ancora ai nostri giorni, dopo tanti secoli, che chi possiede i cuori dispone delle armi».

Sembra poi fondamentale, ai fini del superamento dell’abbaglio consumistico, questo microscopico breviario di trascendenza: «Abbiamo disimparato lo stile arcano». La poesia moderna spesso e volentieri disimpara tale promessa di solennità, acquartierandosi nella pianezza del sermo cotidianus accomodato – secondo la teoresi di qualcuno – dall’egida multiuso del sergente Semplice: d’accordo, ma il Semplice è un approdo della tensione al solenne, concesso a sparuti poeti come Leopardi o Luzi, i quali praticamente attingono alle sorgenti della lingua, non certo un ricettacolo di amenità giornaliere. Il Semplice consiste nel saper comunicare realmente, arrivare al cuore delle cose, essere arcani senza apparire arcaici: mettere su carta il parlato e inframmezzarlo di accapo per conferirgli una parvenza di poeticità non corrisponde alla via disagevole della lirica. Essere semplici e basta è un gioco da ragazzi. Essere semplici e saper dire qualcosa di inedito è, in poesia, la missione più complessa che si possa immaginare. Costa anni di perizia tecnica, fatica letteraria e spirituale. In questa operazione dell’animo, prima che della scrittura, riescono soltanto grandissimi poeti e grandissimi mistici. Come l’ex dadaista ci ha pienamente confermato.

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