Erminia Pellecchia
Al Festival di Ravello

Sciantosa Ute Lemper

La “mitica” Ute Lemper inciampa su Paolo Coelho e la sua spiritualità da baci perugina. E solo alla fine si riscatta tornando a Kurt Weill e riscoprendo Nino Rota

Il lamento del bandoneon riempie la notte di malinconia, note tristi, struggenti, riprese dal pianoforte. Un accordo dolce e disperato. Von der kaserme… la melodia si fa canto, vibra nell’aria, un sussurro raccolto dal vento che si posa leggera sull’anima svuotata dal corpo, avvolta solo da quella musica nota eppure nuova, sospesa come il tempo fermo di quella canzone-racconto che ci parla di un ieri che è anche oggi. Wie einst, Lili Marleen… un inno contro la guerra che prende il volto, la voce di Ute Lemper. Teatralissima, la figura statuaria, i biondi capelli che scivolano sulle spalle ad accentuare la somiglianza con Marlene Dietrich, trasporta il pubblico del Ravello Festival in un viaggio emozionale di luogo in luogo, di parola in parola, di storia in storia. Dal lampione che illumina di speranza i sogni perduti ai bassifondi dove anche tra il fango spuntano i fiori. Eccola trasformarsi camaleonticamente nella ragazza del porto, un’ombra della strada ma con un cuore che pulsa.

Ute Lemper - Ravello Festival - ph Pino Izzo 6«Allez, venez, Milord… Regardez-moi Milord». Un graffio nella gola, aggressiva e dolce, invitante, è la rediviva Edith Piaf di cui incarna sapientemente il mito. Senza cambi di scena o abiti ci ritroviamo, basta l’illusione di un gesto, di un tono, di una sfumatura, nei fumosi e decadenti cabaret di Berlino. Ute si muta in sciantosa caustica e trasgressiva, avvenente sirena, il lungo abito appena sollevato a mostrare la slanciata linea delle gambe da “angelo azzurro” mentre intona il suo omaggio a Kurt Weill con la ballata di Mackie Messer. Si avvicina alla platea, flirta col pubblico, tantissimi i tedeschi in prima fila, fischietta il ritornello, porge il microfono alla platea che risponde con entusiasmo in un duetto complice. È standing ovation, lei da esperta navigatrice di palcoscenici usa l’ultima arma seduttiva. «Ho cantato in molte lingue, mai in italiano, malgrado siano trent’anni che faccio concerti in Italia – ammicca – Lo parlo male, mi vergogno, però alla fine mi sono lasciata corrompere da un amico speciale, Nino Rota. È un esperimento, perdonatemi». Riuscito, perché l’ironica, disinvolta, appassionata interpretazione di Mia malinconia, dalla colonna sonora del felliniano Amarcord conquista definitivamente tutti.

Solo mezz’ora, esaltante e sconcertante, che ti lascia l’amaro in bocca per quello che poteva essere e che non è stato. Perché, e lo diciamo con profondo dispiacere, lo spettacolo di Ute Lemper The 9 Secrets, prima italiana a Ravello il 3 luglio, con replica l’indomani a Roma per i Concerti nel Parco di villa Pamphilj, è stato una grande delusione, un’occasione sprecata. Un’ora e mezza di noia mortale, salvo qualche raro guizzo, con l’unica consolazione delle quattro immortali songs regalate al finale. È comprensibile il desiderio di cambiare e di non immobilizzarsi in codificati cliché da parte di un’artista come la cantante-attrice-autrice-ballerina tedesca versatile, curiosa, colta, preparata e dall’innato talento coltivato e affinato con anni di studio. Ed è apprezzabile per lei che ripete continuamente che «ogni canzone è una piéce» la sfida di impaginare un progetto musicale in forma teatrale, avvalendosi della letteratura. Qualche accenno positivo c’è già stato in passato quando ha tradotto in musica undici poemi d’amore di Neruda o quando ha cantato Bukowski, ma stavolta ha deciso di confrontarsi con Paolo Coelho e, i suoi innumerevoli fan mi perdonino, non c’è al mondo nulla di peggio per le orecchie e per gli occhi delle stucchevoli pagine, intrise di banale e spicciola filosofia, dello scrittore brasiliano osannato da pubblico e critica come il messaggero della pace.

Il recente lavoro della Lemper è totalmente ispirato a Il manoscritto ritrovato ad Accra pubblicato nel 2012. È candida Ute Lemper quando rivela l’improvvisa folgorazione-conversione; fuga qualsiasi dubbio di un’operazione commerciale costruita a tavolino. «Dopo aver letto il libro di Paulo Coelho verso la fine dell’estate durante il mio tour in Australia – confessa – fui avvolta da una sensazione di pace e serenità, come se mi fossi ricongiunta con la parte più profonda della mia anima». Entra in contatto con lui – «scoprii che conosceva la mia musica» –  sceglie di comune accordo le frasi che ritiene «più affascinanti e significative» su cui poi costruisce la partitura musicale. La fase creativa è immediata, sei mesi poi li dedica, da quella perfezionista che è, alla cura meticolosa degli arrangiamenti e alla scelta dei musicisti, tutti virtuosi: il duo Henri (chitarre arabe e percussioni) e Idriss Agnes (strumenti arabi e percussioni); Romain Lecuyer al basso, Philippe Botta al ney, flauti e sassofoni, i vecchi, affiatati compagni di tournée Vana Gierig al pianoforte e Victor Villena al bandoneon, strumento che Ute Lemper predilige in particolare. Ad impreziosire The 9 Secrets le immagini che il regista tedesco Volker Schlöndorff (Oscar e Palma d’Oro a Cannes per Il Tamburo di Latta) ha girato tra antiche rovine palestinesi. Praticamente tutti i numeri per un successo annunciato dal debutto lo scorso maggio a Recklinghausen in Germania.

Ute Lemper - Ravello Festival - ph Pino Izzo 1Ma la macchina non ha funzionato, e non solo per i testi sermone. Uno per tutti: «Tieni salde le tre virtù: coraggio, gentilezza e amore e amicizia in questo difficile viaggio di lacrime e dolore. L’arma più terribile è la parola». È il prologo dei nove capitoli, dei nove segreti che dovrebbero svelare le risposte agli interrogativi sulla vita e l’umanità: la solitudine, perché «senza la solitudine l’amore non dura a lungo, la solitudine non è l’assenza dell’amore, ma il suo completamento»; la bellezza, «guarda l’alba e le nuvole che riflettono i colori dei nostri sogni e dei versi che i poeti scrivono»; il cambiamento, «non evitare l’avventura, è meno pericolosa di una routine che annienta»; il fuoco, «ricorda la tua infanzia e i momenti di entusiasmo, ritorna là e troverai il tuo intuito»; il sesso, «abbandonati con coraggio al fluire della vita e il tempo smetterà di esistere»; l’amore, «è il fine più importante, il resto è silenzio». Nel decalogo anche consigli utili di sopravvivenza del tipo «stai con coloro che raccontano storie, che ridono e cantano e si godono la vita; la felicità è contagiosa» o «tieni duro, è sempre l’ultima chiave del mazzo, quella che spesso dimentichi, quella che avevi perso, che apre la porta dell’amore». Da sfinimento. Da gridare basta! Aforismi da Baci Perugina. Insinceri come insincera appare la Ute Lemper che li enuncia senza carisma, senza pathos, senza personalità né appeal. Statica, forzata, algida, a volte perfino legnosa sulla scena, malgrado il gioco di veli – splendida la copriveste nera ad intarsi argentati di preziosa manifattura araba – che lascia cadere poco alla volta rivelando il corpo scultoreo, nonostante i 52 anni che ha compiuto proprio sul palco di villa Rufolo. Non c’è mistero, non c’è emozionalità… Solo il tecnicismo di una performer straordinaria dalla voce pura usata come uno strumento, capace di mille invenzioni e mille variazioni di toni, lingue e registri, che rimarcano la sua cifra distintiva di eclettismo e contaminazione. E a cui si aggrappa, affidandosi a una stesura di musiche originali che non sono altro che citazioni autobiografiche del suo repertorio classico, di quel background mixato da jazz, pop, cabaret (lo ha nel dna) e musical, condito da armonie folk. Il meglio di sé, va detto, lo dà proprio nelle due incursioni nella musica popolare tra sonorità arabe e yiddish, le uniche a strappare applausi, a convincere. Perfino il video autoriale risulta piatto di fronte allo splendore del paesaggio naturale di una Ravello incoronata dalla luna piena, rossa come un occhio di bue nel cielo. Così, alla fine, Ute Lemper cambia registro e si lascia ammaliare: «Come è bella la luna di Ravello». L’algida creatura si trasforma in una ninfa, languida e sensuale. Ute ritrova la sua magia e il suo pubblico e il pubblico ritrova la sua musa.

Le foto sono di Pino Izzo

Clicca qui per vedere il video del concerto

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