Andrea Carraro
Un racconto inedito

Il collega infartuato

Come si fa a scrivere senza che le ansie degli altri ti scivolino intorno? Tra incubo e rielaborazione della realtà, una storia di vita vissuta in versi di Andrea Carraro

Devi pur dirlo a qualcuno

Ch’eri a metà della storia

Cioè per te era finita

Prima che ti venisse l’idea

Quell’idea lì ch’era una svolta

Accidenti ma vai con ordine

Un passo alla volta

C’era una riunione sindacale

Quella mattina – che avevi disertato

Tanto per cambiare

E creavi in grazia di dio

Nella tua stanza sgombra di colleghi

Per due ore di seguito

Ah che pacchia che dono

Inaspettato proprio nessuno intorno

A far rumore a ficcare il naso

A molestare con istanze di lavoro

O peggio di socializzazione

E soprattutto senza le tue meschine

Messinscene per cambiare mappa

Quando qualcuno transitava vicino

Alla tua postazione

Un greve avanzo dell’universo produttivo

Ecco che eri un ingranaggio difettoso

Del sistema – ma non per questo lo narri

O almeno non solo – e perché allora?

 

E insomma era forse mezzogiorno

E una parvenza di sole

Era filtrata chissà come

Nei vostri scantinati tanto

Simili a plance di sottomarino

Per quei tubi pacchiani

Che incombevano dall’alto

Dai soffitti in una ragnatela

Di lamiera e materiali plastici

E per quei pavimenti sintetici

Neri e gommosi quasi da palestra

E tu eri in una specie di trans

Le mani rimbalzavano sui tasti

Quasi con vita propria

La testa assemblava immagini

Abbaglianti e violente

Un intero paese che stupra

Pagando in contanti un orco ottuso

Mezzo Lucifero e mezzo Caronte

Piantato davanti alla baracca

Regolando l’ingresso

A quel sancta santorum

Dell’orrore

Che doveva restare inviolato

All’occhio del lettore

Accidenti c’era di che narrare!

 

Quando i colleghi tornarono

Dopo la pausa pranzo

Tu ancora scrivevi

Febbrile mesmerizzato

E non riuscisti neppure

A staccare gli occhi dal video

E dissimulare un minimo di interesse

Per la loro riunione sindacale

Che doveva avere all’ordine del giorno

Che so una mancata indennità

O l’abolizione della pausa caffè

Nel nuovo contratto integrativo

Roba così di cui ti strafottevi

Fino all’anima e anche di più

Di più – sapete – fino a saturazione

E insomma eccoli giungere alla spicciolata

I colleghi freschi di stipendio

Belli sorridenti soddisfatti

Loro – parlottanti vocianti già dal corridoio

Fastidiosi all’orecchio sapete?

Facendo scricchiolare le scarpe

Sulle scanalature del pavimento sintetico

Era il ventisette fatidico

O il ventotto – raramente ritardavano

Di un giorno gli addetti delle Risorse Umane

Era giorno di busta paga insomma

E tu con tutta calma senza

Seguire liturgia alcuna

Appena ricevuto dal commesso il documento

Ne strappi il bordino inferiore

Dentato e sbirci il totale

E subito lo togli di torno

Come fai sempre

Sicuro al cento per cento

Di scandalizzare

Con quel gesto di sbadata noncuranza

I tre o quattro colleghi di stanza

E proprio quello volevi – offenderli

Urlargli in faccia il tuo disprezzo

Aristocratico per quanto invece

Si accingevano a fare loro

Ovvero aprire la busta paga

Bene attenti a non sciuparla

Staccando la pellicola scura di protezione

Con pazienza e precisione certosine

Quelle veline grigio scuro e quasi nere

Inventate in gloria della privacy

E nell’ora successiva fare il capello

A tutte le voci con scambio

Vivace di informazioni

Da una scrivania all’altra

Come uccelli canterini sulle fronde

O pettegole comari alle finestre

“T’hanno calcolato l’incremento ticket?

Ah no a me l’hanno tolto!

E lo 0,15 degli assegni familiari?”

Roba così facevano le pulci

Ad ogni voce della lista

Smanettando fitti sulla calcolatrice

Telefonando all’ufficio preposto

Del Personale  per qualunque

Questione gli balenasse in capo

A tal segno ci prendevano gusto

Mentre tu eri tornato a scrivere

Dopo la breve interruzione

Calandoti come un palombaro

Nelle atmosfere cupe del romanzo

Che d’un tratto s’era arricchito dell’idea

Di allungargli la nottata a quei balordi

Chiamando a raccolta tutto il paese

In un carosello spettacolare e cinico

In un polverone rutilante

Per il gioco dei fanali

Delle auto e delle motociclette

E per i raggi lunari

E forse per qualche lontano

Fuoco d’artificio

Già vedevi i notabili confusi

In mezzo agli altri maschi

Fra le macchine parcheggiate

Alla rinfusa nello spiazzo

Dello sfascio – volti burini

Accesi dall’alcol e dalla foia

Affratellati in quel gioco mortale

Dello stupro collettivo

Perché una delle due ragazze

Sarebbe morta ma sì

Ora lo vedevi chiaro

Doveva morire per forza in quella bolgia infernale

La poveretta con un cavetto in testa

O altro strumento acconcio

E l’ignudo cadavere portato via

Nella notte fra le campagne e i boschi

Tiburtini e tutto il resto

Che ancora non sapevi – forse l’arresto

Di tutta la banda

 

Un tempo qualcuno ti aveva chiesto

Spiegazioni del perché fossi

Così sbrigativo con lo stipendio

E tu avevi risposto olimpico

Che non ti interessavano i dettagli

Ti bastava conoscere il totale

Che veniva accreditato sul conto

Ma ormai s’erano dati pace

Tu per loro eri uno fuori di testa

Uno che faceva lo scrittore

E il cinema e andava in televisione

Uno che stava ancora lì con loro

Chissà per quale astrusa ragione

Forse solo per il gusto

Di rubare lo stipendio

Così già malignava qualcuno

Per viltà e paura invece

E forse anche un poco

Per senso di responsabilità

Stai a vedere

Ma anche questo non conta

O conta poco in rapporto

Al finale della storia

Che hai differito abbastanza

Un collega che crolla

Sul piano della scrivania

Sulla busta paga dunque

Fulminato da un infarto

E tu sei l’ultimo a capire

Tanto eri assorbito dal romanzo

Ci metti forse un minuto

O forse due a realizzare fino in fondo

Quando già s’è formato

Un capannello di persone

Che lo occultano in una siepe

E già qualcuno si pone il problema

Di cosa fare del morto

Se adagiarlo per terra

O lasciarlo dov’è tutto contorto

E gobbo abbracciato

Alla scrivania di lavoro

C’era già un viavai di gente

Nella stanza adesso

Un paio di medici

Gli infermieri dell’ambulanza

E frotte di colleghi

Provenienti da ogni divisione

Anche gli operai e gli uscieri

E tu intanto non potevi

Fare a meno di pensare

A quella faccenda strana

Che fra le due morti

Quella della tedesca violentata

Che avevi concepito

E quella del collega infartuato

Fosse passata appena qualche ora

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