Nicola Bottiglieri
La visita di Michelle Bachelet

El pueblo dimenticato

Metti una mattina a Roma a rendere omaggio al Cile in compagnia delle autorità e cantando le canzoni degli Inti Illimani... Il tempo passa, cancella le illusioni ma non i ricordi

Cosa si prova a rivedere dopo quaranta anni un vecchio amico? A riascoltare una canzone di quei tempi? Ma soprattutto a rivivere emozioni che in quegli anni ti cambiarono la vita? Questo è successo il 4 giugno dalle 9.30 del mattino fino alle 11.30 al mercato Testaccio di Roma, causa di questo sconforto dell’anima la visita di Stato del presidente della repubblica del Cile, Michelle Bachelet. Ora le visite di stato dei presidenti della repubblica in giro per il mondo sono prevedibili e silenziose (a parte gli squilli sonori degli inni nazionali) ma portare la primera dama del Cile al mercato del Testaccio di Roma, in piena mattina, facendo suonare le canzoni di lotta agli Inti Illimani in carne e ossa, non poteva che generare un vespaio di emozioni.

Il clima era felice: il popolo, il mercato, i pomodori, la frutta, il vino, il pesce, ecc.: tutti erano contenti di stare lì. Ognuno con il proprio vestito, la propria dignità di uomo, donna, poliziotto, politico, venditore, pensionato, guardia del corpo, vigile urbano, ecc. Ognuno con il proprio passato e il proprio presente. Ognuno con il tempo serrato dell’andare al lavoro. Tutti eravamo contenti di stare lì. Anche l’orologio era contento di segnare i minuti dalle 9.30 alle 11.30.

Dopo i saluti di rito del sindaco Marino e la risposta breve e cortese della Bachelet, gli Inti Illimani hanno attaccato il loro repertorio e mentre i capelli della maggior parte dei presenti da bianchi diventavano grigi e poi neri, del colore della gioventù, io mi chiedevo quanta gente ricordasse le parole delle antiche canzoni. In verità, la maggior parte del pubblico conosceva quelle antiche canzoni, anzi qualcuno accennava pure a battere il ritmo con le mani e sia Marino sia la Bachelet ma anche Massimo D’Alema, cantavano con piacere quei versi risaputi. Io, che ho poca memoria, mi chiedevo se avessero attaccato El pueblo unido, (l’unica canzone che ricordo di quei tempi) ma la cosa mi pareva tanto «operazione nostalgia», per cui pensavo avrebbero continuato fino alla fine con i ritmi andini, flauto, kena e charango, magari El condor pasa, lasciando da parte gli slogan canori più scontati.

Invece a un certo punto, più o meno verso le 10 e 10, hanno cominciato con questa strofa:

De pie, marchar que vamos a triunfar.
Avanzan ya banderas de unidad,
y tu vendras marchando junto a mi
y asi veras tu canto y tu bandera
al florecer la luz de un rojo amanecer
anuncia ya la vida que vendra.

inti illimaniDopo i primi versi, io ero in subbuglio, ma non solo io, bensì quasi tutti i presenti che dovevano essere varie centinaia. Erano in subbuglio davvero, agitandosi, ridendo, alzando il pugno chiuso creando un clima di complice e scontrosa allegria che ha coinvolto tutto il mercato. Inutile dire il rosario dei flash delle macchine fotografiche, la siepe delle mattonelle tecnologiche degli ipad levati in alto, le telecamere in fibrillazione, le occhiate ansiose degli operatori con le palpebre sbarrate e pungenti più degli obiettivi che avevano in mano, tutto questo è esploso in un trionfo della nostalgia quando abbiamo intonato il ritornello, El pueblo unido jamas serà vencido.

Cazzo! È vero! El pueblo unido, jamas serà vencido: è una verità lapalissiana. Come si fa a sconfiggere un popolo? Il popolo unito è la somma di tutti i desideri, le spirazioni e la bontà fatta persona. È così! Nessuno può sconfiggere un popolo, nemmeno Pinochet e la sua dittatura ventennale, nemmeno Nixon, Kissinger e tutta la banda americana che affossò Allende. Il pueblo unido è una cosa enorme, lo dicono tutti, lo diceva la nostra giovinezza, le speranze ed i sacrifici fatti quando scendevamo in piazza con venti chili in meno. El pueblo è fatto di uomini, fiumi, montagne, cielo, aria, vento…el pueblo è la vita che pulsa, l’estate e l’inverno riuniti insieme. Tutte queste cose sono el pueblo. El puelo! El pueblo!

Finito il ritornello, abbiamo continuato con questi versi:
De pie, luchar,
que el pueblo va a triunfar.
Sera mejor la vida que vendra
a conquistar nuestra felicidad
y en un clamor mil voces de combate
se alzaran, diran,
cancion de libertad,
con decision la patria vencera.
Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
con voz de gigante gritando: Adelante!
El pueblo unido jamas sera vencido,
el pueblo unido jamas sera vencido!

Finita la canzone, finita l’allegria, finite le emozioni il pubblico si è disperso. Ma la Bachelet è stata guidata dentro il mercato a salutare un piccolo stand di prodotti cileni, poi è stata fatta sedere ad un tavolino per un rinfresco. Che le sarà andato di traverso, perché è stata assediata da tutti i fotografi, giornalisti, diplomatici, perditempo e lavoratori che erano al mercato. Ognuno parlava, ognuno faceva domande, ognuno scattava foto. Io mi sono messo da un lato a ripensare ancora come el pueblo che grida con voce di gigante Adelante, perda facilmente la strada. Anche i giganti perdono la strada, succede più di quanto si creda. Anche i giganti debbono essere presi e accompagnati per mano, altrimenti inciampano e vanno per terra.Non bisogna essere arroganti quando si è giganti!

Poi la Bachelet è andata via, Marino ha inforcato la sua bici elettrica e si è lanciato verso il Comune, io sono andato a prendere un caffè. Ci sono donne che hanno sul volto un mare di emozioni e ci sono corpi femminili che catturano il futuro. Io questo ho visto nella ragazza che mi faceva lo scontrino. Poi sono andato via, salutando il Cile, gli Inti Illimani, el pueblo e le note delle canzoni ancora vive nel’aria. Sono ritornato alla realtà di tutti i giorni.

La vita non torna indietro, va sempre avanti! In questo cammino, a volte penoso, a volte entusiasmante, ci sono momenti che non si cancellano mai! Restano impressi per sempre! E fanno parte della nostra storia.

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