Lidia Lombardi
Pablo Atchugarry ai Mercati Traianei

Preghiere di marmo

Sono invocazioni, ricerca dell’infinito le sculture dell’artista uruguayano esposte nel cuore di Roma. Alla cui classicità le opere rendono omaggio pur nella loro astrazione

Pablo Atchugarry, scultore uruguayano, ha fisico possente, mani grandi, faccia e sorriso larghi. Una stazza adatta a dominare i grandi blocchi di marmo di Carrara che modella di persona, senza usare macchine, issato su un carrello elevatore quando il pezzo di materia supera i due metri di altezza, come in certi suoi lavori monumentali. Ma opera anche di fino, con un piccolo scalpello, una lima, a rasare la materia, fino a renderla liscia, flessibile, pieghettata, aguzza. E realizza anche opere di piccolo formato, da camera, diremmo. Forme astratte tutte quante, che però nascondono un’“anima” figurativa e un’eco forte di classicità. Adesso sono esposte ai Mercati Traianei, nel cuore della Roma antica, e dialogano con altri marmi, colonne e trabeazioni di travertino vecchie duemila anni, opus spicatum, o reticulatum del grande complesso imperiale che di anno in anno restituisce ai turisti nuovi spazi: dalla Grande Aula alla via Biberatica, al Grande Emiciclo e al porticato del primo piano, da pochi mesi aperto al pubblico.

Atchugarry 3Si intitola Città eterna, eterni marmi l’antologica di Atchugarry che Letizia Ungaro – responsabile dei Traianei generosa a ospitare sullo sfondo dell’articolata costruzione imperiale opere di contemporanei, in un dialogo il più delle volte felice – ha voluto, in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina e con l’Istituto Italo-Latino Americano. Ed è ovviamente quel titolo, l’omaggio alla caput mundi e agli dei che Pablo,- nato nel 1954 a Montevideo da genitori con origini italiane (la madre si chiamava Maria Cristina Bonomi, il padre Pedro Atchugarry Rizzo) – pone nel proprio olimpo. Perché nelle quaranta opere che espone a Roma il richiamo alla classicità è frequente. Ma il rapporto con essa mai scontato. Piuttosto è come se questo artista dalla vocazione tanto forte da esprimersi fin dall’infanzia, tiri fuori dai precordi, con operazione maieutica, i semi del classico e della cultura mediterranea.

Pablo AtchugarryParadigmatica – e tra le più suggestive delle opere esposte – è la grande scultura (alta quasi tre metri) intitolata Le tre grazie. Qui le sembianze femminili si disvelano come sotto un velo, tra increspature di tessuto danzanti, una genesi muliebre o un sogno che le fa sbocciare. E una grazia vitalistica, un intreccio di forme – plissè, vuoti, pieni, punte, ellissi – sono in Vertumno e in Pomona, guizzanti divinità romane narrate da Ovidio nelle Metamorfosi e replicate in pittura dal Pontormo nella lunetta di una villa medicea a Poggio a Caiano. Alle forme rastremate, come quella di Fiore, che sboccia all’improvviso nella materia, lo sculture accosta altre verticali, eppure mai rigide, invece animate da scatti, da angoli e pieghe, come se il marmo sia un origami: ecco Cariatide, ecco la serie dei Senza titolo. E in Angelo le due tensioni, orizzontale e verticale, si mischiano in una scultura che svetta come il pinnacolo di una chiesa e insieme è pronta a dispiegarsi nelle metafisiche e pure ali.

Atchugarry 2Ragiona anche in piccolo, l’artista sudamericano: la sua cifra stilistica si esprime in opere “da camera” che ai Mercati Traianei sono intelligentemente collocate negli ambienti chiusi su tre lati del porticato mediano. Qui egli si esercita con il bronzo che colora di grigio azzurrato, di verde marino o nell’acciao inox nero lucido. Ma qui l’afflato vitalistico è meno evidente e suggestivo rispetto ai lavori in marmo, materia di per sé più duttile nell’evocazione della purezza, dell’afflato universale, della forza primigenia. Del resto è lo stesso Actchugarry a definire il proprio lavoro «preghiera, invocazione, ricerca dell’infinito». E ad aver confessato che la mostra nel cuore di Roma antica (durerà fino al 7 febbraio 2016) è un «sogno che si avvera dopo tante traversie ed è la più importante della mia carriera», che pure lo ha visto esporre a Palazzo Ducale di Genova, a Palazzo Isimbardi di Milano, in importanti gallerie di New York e di Londra.

Una notazione per concludere. Il fascino della classicità, il richiamo del Bel Paese non solo come meta di formazione ma anche di luogo nel quale mettere radici accomunano Atchugarry a un altro scultore venuto dalla parte opposta del Pianeta. È il sud coreano Park Sun Eun. Anche lui ha esposto qualche mese fa ai Mercati Traianei sculture di grande formato, spirali anelanti al cielo, in granito estratto dalle cave toscane. E se il sudamericano ha scelto Lecco per l’abitazione e l’atelier, l’asiatico ha eletto Pietrasanta come propria residenza principale. L’Ovest e l’Est convergono verso lo Stivale, ombelico del mondo. Riflettiamoci quando noi, di qui, lo calpestiamo, questo Stivale che ha fatto fare grandi passi all’intelletto universale.
(© foto: Aurelio Amendola – Bruno Cortese)

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