Adriano Mazzoletti
In memoria del grande bluesman

B.B. King e il Victrola di zia Mima

Tutto iniziò da un grammofono che gli svelò i segreti di quel genere musicale in cui avrebbe giganteggiato. Con inconsueta prolificità: 320 giorni di ingaggi l'anno, innumerevoli dischi, quindici figli da quindici madri diverse...

Nella notte fra il 13 e il 14 maggio nella sua casa di Las Vegas, se ne è andato nel sonno, a causa del diabete che lo aveva colpito dieci anni prima, anche l’ultimo grande del blues, il chitarrista e cantante Riley B. King conosciuto come B.B. King, che avrebbe compiuto 90 anni il 16 settembre. Aveva trascorso i primi ventiquattro anni nelle piantagioni di cotone e di mais nella zona del Delta del Mississippi e dell’Arkansas e i successivi sessantasei alla testa della sua blues band in cui debuttarono future stelle del blues e del jazz, il chitarrista Ike Turner, che in seguito formò con sua moglie Tina un celebre sodalizio, oltre al pianista Phineas Newborn jr. e al sassofonista George Coleman. Dal giugno 1949, quando B.B. King incise il suo primo disco Miss Martha King dedicato a sua moglie Martha Lee, sposata quando lui aveva diciasette e lei sedici anni, agli ultimi in duo con Diane Schuur, Bobby Bland, una sua scoperta, Gladys Knight, Ruth Brown, la sua discografia è immensa e numerosi sono i grandi successi, brani indimenticabili che hanno fatto di B.B. King uno dei maggiori esponenti del cosiddetto “blues del Delta” anche se come lui stesso ha dischiarato: «Agli studiosi piace parlare molto dei bluesmen del Delta, e del modo in cui si sono influenzati reciprocamente; suddividono il blues a seconda delle diverse zone del Mississippi dal quale proviene e dicono che ognuna di queste parti ha dato origine a uno stile. Be’, venendo anch’io dal Delta posso dirvi in tutta tranquillità che i miei idoli venivano da parecchio lontano rispetto al Mississippi: Blind Lemon Jefferson era di Dallas in Texas e Lonnie Johnson della Louisiana. In seguito venni a sapere che bluesman come Robert Johnson, Elmore James e Muddy Waters provenivano dal Delta, ma nessuno di loro modellò il mio stile come Blind Lemon Jefferson e Lonnie Johnson».

WetlandsSe Blind Lemon, le cui prime incisioni risalgono al dicembre 1925 e quelle di Lonnie Johnson a un mese prima, anche altri influenzarono il giovanissimo Riley King che mentre viveva con sua madre in una piantagione che si trovava fra Itta Bena e Indianola dove era nato, ebbe l’opportunità di scoprire a casa di una zia quella musica di cui sarebbe diventato, anni dopo, uno dei più importanti esponenenti: «La cosa di maggior pregio che c’era a casa della zia Mima – raccontava – era il suo grammofono Victrola a manovella, un apparecchio che mi cambiò letteralmente la vita. C’erano i dischi di Bessie Smith, di Mamie Smith, di Ma Rainey che cantavano in modo tale da farmi uscire di testa. Ma non furono solo i dischi di zia Mima e restarmi inpressi nella mente. Quando avevo sei anni, fui abbastanza fortunato da entrare in contatto con un vero bluesman, sto parlando di Bukka White un cugino di mia madre».

Se queste furono le influenze iniziali di B.B. King, altri musicisti contribuirono a creare il suo stile. Il chitarrista e cantante T. Bone Walker, anche lui texano di dieci anni più anziano, il sassofonista e cantante Louis Jordan, uno dei padri del “rhythm and blues”, ma anche i chitarristi jazz, Charlie Christian e Django Reinhardt le cui incisioni ebbe occasione di ascoltare nell’immediato dopoguerra quando un suo amico, che era stato militare in Francia, portò negli Stati Uniti i dischi di Django e Grappelli.

B.B. King 2Dopo aver formato, in giovanissima età con alcuni amici, un quartetto gospel amatoriale, i St. John Gospel Singers, aver rinunciato a diventare predicatore in una chiesa Battista, aver fatto la questua nelle strade cantando gospel e blues accompagnandosi con la prima chitarra compratagli da suo padre, aver distrutto per un incidente da lui causato un trattore utilizzato per i lavori agricoli, aver superato la balbuzie che lo afflisse negli anni della sua giovinezza, prese la grande decisione di lasciare la piantagione e la giovanissima moglie e trasferirsi a Memphis nel Tennesse, la città del blues e del “rhythm’n’blues” nella prima metà degli anni Quaranta. Arrivò a Beale Street, la strada della musica a Memphis, cambiò diversi nomi, prima “Beale Street Blues Boy”, poi siccome c’erano troppe B e anche troppo lungo fu accorciato in “Blues Boy”, in seguito “Bee Bee” e infine “B.B.” e con l’aiuto di suo cugino Bukka White iniziò quella carriera luninosa che lo portò per molti anni, anche alla soglia dei suoi ottant’anni ad accettare ingaggi per 320 giorni all’anno. Numero impressionante perché gli altri 45 giorni B.B. King li doveva utilizzare per i viaggi e gli spostamenti.

In sessant’anni di attività molti sono stati i musicisti che si sono alternati nella B.B. King Blues Band. L’unico nome però, che ricorreva sempre era quello di “Lucille”, come chiamava la sua chitarra. Anche se nel tempo di “lucille” B.B. ne ha cambiate diciasette, ma quel nome è sempre rimasto.

Blues«È l’inverno del 1949 – racconta – sto suonando a Twist nell’Arkansas dove fa un freddo tremendo. Il night dove mi esibisco non è un vero e proprio night-club, ma uno stanzone di una vecchia e gelida casa, nel quale il proprietario ha sistemato, nel bel mezzo del pavimento, un bidone riempito a metà di kerosene al quale quindi ha dato fuoco. Mentre sto suonando divertendomi e facendo divertire le coppie che ballano, a un certo punto, due tipi iniziano a insultarsi e quel che è peggio cominciano a riempirsi di cazzotti. Finiscono a terra dove cominciano a rotolarsi uno sull’altro, finché, come era prevedibile, finiscono nel rovesciare il bidone con il kerosene in fiamme. Fiamme dappertutto, urla, panico, gomitate in faccia. Siamo tutti fuori. Sono lieto di aver salvato la pelle, ma poi mi rendo conto di aver lasciato dentro la chitarra. L’edificio è ormai in fiamme, ma io mi butto dentro. Trovo la chitarra, l’afferro proprio nell’istante in cui una trave si schianta al suolo davanti a me. Mi butto a testa bassa e riesco a venir fuori con la mia preziosa chitarra, in tempo per sentire uno dei clienti dire a un altro: “Accidenti non avrei mai pensato che due tizi sarebbero arrivati al punto di cercare di ammazzarsi per una ragazza come Lucille”».

B.B. King non ha mai incontrato Lucille, ma in seguito venne a sapere che era una ragazza che lavorava nel locale.

Oggi B.B non è più fra noi. La musica ha perso un gigante che ha lasciato un ricordo indelebile anche in coloro che hanno avuto occasione di ascoltarlo nelle numerose volte che è venuto in Italia, fra l’altro a Umbria Jazz, ai Festival di Pompei e Lagomaggiore, all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Ha lasciato oltre ai suoi dischi che continuano a essere pubblicati, i suoi successi che sono sempre ascoltati da milioni di persone in tutto il mondo che li conoscono a memoria. Ma non solo, ha anche lasciato una sua autobiografia e quindici figli avuti da quindici donne diverse, perché B.B. King oltre a essere il Re del Blues ha amato ed è stato amato da moltissime donne.

 

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