Pier Mario Fasanotti 
Tre racconti inediti di J.D. Salinger

Gli anti Holden

Anagraficamente vicini al protagonista del suo capolavoro, “I giovani” narrati dallo scrittore americano in questa raccolta appena pubblicata dal Saggiatore, sono “stilisticamente” molto diversi. Votati al silenzio più che al monologo logorroico...

Le pagine de I giovani, pubblicate ora da Il Saggiatore (68 pagine, 12 euro) sono inedite. Ma siamo davvero sicuri che in qualche cassetto o baule di J.D. Salinger (1919-2010), l’autore di un solo romanzo, ossia Il giovane Holden, non ci siano magari altri fogli se non addirittura un romanzo? Nel formulare questa domanda – legittimata dal fatto che altri grandi scrittori, come Fernando Pessoa, selezionarono quello, e solo quello che volevano fosse reso noto, lasciando interrogativi aperti sul resto – tendo a pensare che sì, forse c’è, tra le carte del narratore newyorchese, qualcosa che finora non conosciamo, e magari è anche sorprendente. Salinger, lasciata la “Grande Mela” nel ’53 per rifugiarsi nel silenzio di Cormish (New Hampshire) e per scegliere la condizione di misantropo dal 1980, continuò a scrivere con regolarità, sedendosi a tavolino per qualche ora tutte le mattine, secondo la testimonianza di Joyce Maynard, sua amante per poco tempo; sul finire del 1972 aveva già completato due nuovi romanzi. In una delle rare interviste, concessa al The New York Times nel ’74, lo scrittore spiegò: «Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità… Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere». Si dice che diverse volte, durante gli anni Settanta sia stato sul punto di pubblicare uno dei suoi nuovi scritti, ma che abbia cambiato idea all’ultimo momento.

Nel ’78, il periodico Newsweek scrisse che Salinger, mentre partecipava a una festa in onore di un vecchio commilitone, annunciò di aver da poco completato un «libro lungo e romantico» ambientato durante la seconda guerra mondiale. Non ci deve sorprendere il tema scelto da Salinger, vista la sua esperienza militare. Fu sorteggiato per servire sotto le armi nel 1942 e, con il 12º reggimento di fanteria degli Stati Uniti, partecipò ad alcune delle più dure battaglie, tra cui lo sbarco a Utah Beach nel famoso “D-Day” e la battaglia delle Ardenne. Durante l’avanzata dalla Normandia verso la Germania conobbe Ernest Hemingway (che diventò suo modello letterario), allora corrispondente di guerra da Parigi, e rimase in contatto epistolare con lui. Dopo aver letto gli scritti di Salinger, Hemingway commentò: «Gesù! Ha un talento straordinario!». Fu assegnato al servizio di controspionaggio, nell’ambito del quale interrogò i prigionieri di guerra, mettendo a frutto la propria conoscenza delle lingue. Fu tra i primi soldati a entrare in un campo di concentramento appena liberato dagli alleati, forse uno dei sottocampi di Dachau. Anni dopo confessò alla figlia: «È impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva».

Questa esperienza, forse, lo segnò duramente sotto il profilo emotivo (dopo la sconfitta della Germania fu ricoverato per alcune settimane in ospedale per curare una sindrome da reazione allo stress del combattimento) ed è probabile che si sia servito dei propri ricordi di guerra in molti dei suoi racconti, come For Esmé with Love and Squalor, narrato in prima persona da un soldato rimasto traumatizzato. Sia nel corso della sua esperienza di guerra che quando questa ebbe termine, continuò a pubblicare racconti su riviste di alto profilo come Collier’s Weekly e Saturday Evening Post. Dopo la fine della guerra, Salinger si offrì per trascorrere un periodo di sei mesi dedicato all’attività di de-nazificazione della Germania, nel corso del quale incontrò una donna tedesca, Sylvia, che poi sposò nel ‘45 La portò con sé negli Stati Uniti, ma il matrimonio fallì dopo appena otto mesi e Sylvia tornò in Germania. Nel ‘72, mentre era assieme a sua figlia Margaret, avuta dalla seconda moglie Claire, ricevette una lettera di Sylvia. Guardò la busta, la stracciò e la gettò via. Disse che era la prima volta che riceveva sue notizie da quando l’aveva lasciato, ma «quando aveva chiuso con una persona, aveva chiuso per sempre». Nulla però in seguito si seppe di quell’opera ispirata dal conflitto mondiale e dagli orrori concentrazionari tedeschi. Forse da qualche parte esiste, chissà.

cop salingerNella sua biografia, la figlia Margaret ha descritto l’accurato sistema di archiviazione che suo padre usava per i manoscritti che non pubblicava: «Un contrassegno rosso significa, se muoio prima di averlo finito pubblicatelo così com’è, uno blu significa pubblicatelo ma prima sottoponetelo a revisione, e così via». Ma torniamo a I giovani. L’inedito, appunto. Sono tre racconti, ambientati tra i giovani dell’upper class americana. Domina il silenzio, anzi l’incomunicabilità, anche se questi giovani fanno uscire dalla bocca frasi brevi, parole che dovrebbero fare da cerniera tra frasi compiute: «senti»; «cioè»; «voglio dire»; «e tutto il resto». Quello descritto da Salinger sembra davvero il mondo adolescenziale di oggi più che quello di trenta, quaranta anni fa. Salinger, sulla scia di Hemingway ma ancora più elusivo e scarnificato, dà il suono a qualcosa che è soltanto silenzio. Questi personaggi sostanzialmente afasici non sono come Holden Caulfield, il protagonista de Il giovane Holden, un logorroico monologo. Procedono senza sosta nel grande «oceano delle chiacchiere», come annota acutamente Giorgio Vasta nella postfazione. Questo elemento è più che vistoso nel primo racconto che dà il titolo alla raccolta. Nel secondo, Va’ da Eddie, due fratelli si scambiano parole poco decisive nella camera da letto di lei. Bobby cerca invano di convincere la sorella ad accettare un posto da ballerina. Lo fa con tono perentorio, cui Edna risponde bamboleggiando, tutta presa dalla toilette e da un amore da raccontare con fastidiosa abbondanza di punti esclamativi.

Nel terzo e ultimo racconto, Una volta la settimana, giganteggia la solitudine. Una giovane moglie, Virginia, suggerisce di andare a salutare la cinquantenne zia dalla mente confusa. È tempo di reclutamento militare. Entrambi armeggiano con la radio in attesa di ascoltare del «jazz decente». Virginia alza il tono della voce a seconda delle parole pronunciate. E qui Salinger precisa: «Erano passati tre anni e non aveva ancora smesso di parlargli in corsivo». Alla fine il giovane si decide. Esce dall’appartamento e sale una larga rampa di scala. Bussa alla porta e nota che appeso alla maniglia c’è un vecchio cartello del Waldorf Astoria: “Si prega di non disturbare”. La zia vagola nel tempo, confonde nomi e situazioni. Infatti lo scambia per un altro. E poi per un altro ancora. Zia Rena gli comunica di aver fatto degli «esercizi». «Ti affaticherai». «Mi piacciono». Il nipote vorrebbe avvisarla della sua partenza, ma non ci riesce, lei non ascolta o scivola su argomenti lontani e marginali. Scrive Salinger: «Girovagò per la stanza, poi si lasciò cadere pesantemente sul panchetto sotto la finestra. Guardò il parco, cercando tra gli alberi il modo per dirle che stava partendo. Aveva desiderato che lei fosse l’unica donna nel 1944 a non dover custodire la clessidra di qualcuno. Adesso sapeva che doveva darle la sua. Un regalo alla donna con le scarpe da ginnastica bianche tutte sporche. La donna con la collezione di francobolli americani da due centesimi fuori corso».

Alla fine zia Rena tira fuori una vecchia foto che ritrae un giovane uomo nell’uniforme a collo alto da sottotenente del 1917. «Questa è la fotografia di Tom Cleve». «Adesso devo andare, zia». «Addio, mio caro, caro ragazzo… adesso trova Tom Cleve. Lui si prenderà cura di te, finché ti sarai sistemato». E così cala il sipario della solitudine, quel sipario dietro il quale il presente e il passato danzano in maniera desolante.

 

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