Claudio Conti
Inchiesta sulla kermesse milanese/2

L’Expo del mattone

Cento ettari di terreni agricoli (in larga parte privati) il cui valore passa da 10 a 164 euro al mq: ecco uno degli aspetti meno noti della grande festa che sta per iniziare a Milano

Prima di affrontare, con la seconda puntata della nostra inchiesta, il tema delle aree EXPO e del loro destino, apro una parentesi: come viene comunicato  questo evento alla platea mondiale cui esso intende rivolgersi? Ovviamente, ogni generalizzazione è indebita e rischia di essere ingenerosa; non mancano tuttavia anche in questo caso motivi di preoccupazione relativamente alla professionalità con cui sono curati i testi. Il lettore volonteroso può farsene facilmente un’idea consultando il sito ufficiale EXPO Milano 2015; ad esempio sotto la voce news–press releases del 9 settembre 2014 è scritto: «The signature of the document is particular importance, expressing the commitment of a team effort that aims at the making Expo Milano 2015 successful …». Non esattamente l’inglese di Gibbons; ma pazienza: in fondo si tratta soltanto dell’annuncio di un evento secondario. Sfortunatamente per noi l’Independent, uno dei più autorevoli quotidiani inglesi, il 12 febbraio di quest’anno è intervenuto sull’argomento con questo terrificante esempio:

regionthatgo«Region that go, project that you find. Tourism, but not only»: questa la grottesca versione di «regione che vai, progetto che trovi. Turismo; ma non solo», che mi ricorda l’anglo-sannitico di mio padre («red in the night, good weather we hope») … Il quotidiano cita numerosi altri casi, che tralascio per non deprimere il lettore, a dimostrazione che ci si è serviti di Google Translate, piuttosto che di traduttori professionisti e accreditati. Qualcuno potrebbe obiettare: non facciamone un dramma; in fondo si tratta di gaffes che possono capitare… Però sono state stanziate somme importanti per la comunicazione di questo evento; dal sito ufficiale apprendiamo che all’interno del top management è previsto esplicitamente un Direttore Communication responsabile delle azioni di comunicazione istituzionale e di promozione. Non è tutto: come ben sappiamo, il pubblico cinese ha un ruolo strategico per il successo della manifestazione, sicché è difficile comprendere i motivi per cui il sito – gestito da Enit – che dovrebbe promuovere l’Italia in quel paese a tutt’oggi si limiti a rispondere “chiuso per lavori” (down for maintenance: cfr. www.yidalinihao.com). Inutile qui cliccare sul logo EXPO. Non basta; dal canto suo EXPO 2015 ha promosso se stessa nelle fiere cinesi con un volantino ahimè redatto in mandarino, una lingua che oggi solo pochissimi cinesi sono in grado di comprendere. Quanto ai simboli di Facebook, Twitter ecc. che vi appaiono, è abbastanza noto che questi siti sono censurati in Cina, e infatti gli altri Paesi si guardano bene dal citarli, e utilizzano soltanto i social network locali.

Si potrebbe infine aggiungere il nome verybello usato per la piattaforma intesa a promuovere l’offerta culturale italiana, e che ricorda piuttosto lo slang degli emigrati in America («era smarto il dabben uomo / conosceva il businissi / era amico del polissi …» ecc.); ma è meglio fermarsi qui. In sostanza: provincialismo e limiti professionali rischiano ancora una volta di compromettere di fronte al resto del mondo la nostra immagine e quella di un evento sul quale lo stesso Presidente del Consiglio afferma di “avere messo la faccia”.

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expo cantieri13Chiudo la parentesi e vengo al tema principale. Comincio dalla questione della proprietà dei terreni: di norma, per tutti i grandi eventi nel mondo è stato utilizzato esclusivamente suolo pubblico; sotto questo aspetto, EXPO 2015 costituirebbe apparentemente, almeno in parte, l’unica eccezione. Verso la fine del 2006, dopo aver avanzato la candidatura di Milano alla prossima esposizione del 2015, Letizia Moratti pone gli occhi su circa 100 ettari di terreni agricoli attorno a Cascina Triulza posseduti dal Gruppo Cabassi, dalla Fondazione Fiera di Milano, e in misura minore dal Comune, dalla Provincia e dalle Poste. Stante la mancanza di fondi, inizialmente si pensa ad una cessione gratuita delle aree fino al 2016, ed alla loro successiva restituzione – escluse le opere realizzate da EXPO ed il suolo pubblico – ai proprietari che otterrebbero in cambio, a titolo di compenso, diritti di edificazione sulle aree residue. Non è difficile scorgere l’interesse per questi ultimi, che vedrebbero lievitare in tal modo il valore di un terreno agricolo di scarso pregio da 10 a 164 euro al mq … Nel giugno 2007 viene siglata una scrittura privata che contempla la cessione temporanea delle aree fino a 18 mesi dalla chiusura di EXPO, ed il successivo riconoscimento di un indice di edificabilità di 0,52 mq per mq. Il sindaco promuove l’Accordo di Programma destinato a contenere la variante per la nuova disciplina urbanistica dell’area interessata dall’evento; ma nel frattempo nessuno sembra chiedersi cosa accadrà dopo la conclusione di quest’ultimo. Nel 2009 l’accordo viene messo in discussione e l’ipotesi dell’acquisto, sotto forte pressione da parte di Formigoni,  prende quota in vista della prospettiva di rivendere i terreni ad un prezzo sensibilmente più elevato a EXPO finita. Lo scontro tra sindaco e governatore, tra l’ipotesi del comodato e quella dell’acquisto, si fa aspro e va avanti tra vertici notturni, interviste e comunicati: fintanto che nell’aprile 2011 viene avanzata l’idea della costituzione di una società ad hoc che si incarichi di comperare i terreni. Formigoni, che vuole intestarsi EXPO, ha vinto; Letizia Moratti perde le elezioni, Milano ha un nuovo sindaco e nasce Arexpo, posseduta in parti uguali da Regione e Comune (34,67% ciascuno), nonché dalla Fondazione Fiera (27,66%) e dal Comune di Rho (1%); mentre il restante 2% all’epoca in capo alla Provincia oggi è passato all’Area Metropolitana di Milano a seguito della legge Delrio.

Il prezzo  di 164 euro per mq riconosciuto da Arexpo ai venditori verrà successivamente dichiarato congruo dai periti del Tribunale di Milano. Attenzione però: Arexpo ovviamente non è in grado di finanziare da sola l’acquisto. Ottiene 160 milioni dalle banche, alle quali questi dovranno essere restituiti: quindi la cessione dei terreni, una volta chiusi i cancelli di EXPO 2015, è una scelta obbligata. Viene delineato lo scenario per la futura, ipotetica vendita: l’Agenzia del territorio stima in 330 milioni il valore dei terreni nel 2016; viene confermato l’indice di edificabilità pari a 0,52, sotto il vincolo che il 56% sia destinato ad area verde. Ai Cabassi vanno quasi 46 milioni; mentre la Fondazione Fiera – ente controllato dalla Regione, che ne è l’azionista principale – otterrebbe circa 66 milioni per terreni acquistati nel 2002 sborsando 15 milioni con l’obiettivo di realizzarvi parcheggi per l’adiacente polo fieristico Rho-Pero. Una entrata provvidenziale per rimettere a posto i conti non esattamente floridi della Fondazione, notoriamente nell’area di influenza di Formigoni. Tra quest’ultimo e l’altro contraente principale – i Cabassi – è intercorso di recente un curioso scambio di battute. A Marco Cabassi, che si è lamentato di essere stato costretto a cedere le aree «a prezzi da esproprio», l’ex “celeste” governatore ha brutalmente replicato: «L’ho fregato e sono contento di averlo fregato».

expo cantieri11Lasciamo perdere questi poco appassionanti scontri verbali e veniamo a questioni di maggiore sostanza. Arexpo, che ha ceduto ad EXPO 2015 il diritto di uso del suolo fino a giugno 2016, ed è evidentemente sotto la pressione delle banche creditrici, durante lo scorso agosto decide di fare un bando di gara con scadenza al 15 novembre: prezzo di base 340 milioni (dei quali 25 destinati ad EXPO 2015). Il risultato è scontato, come ha ricordato recentemente Marco Vitale al convegno After EXPO. Idee e progetti a confronto: solo un folle infatti potrebbe accollarsi condizioni tanto onerose… Si aprono perciò due strade. La prima, più ”tradizionale”, consiste in un nuovo bando dalle pretese ridotte, incrementando le cubature e riducendo le superfici a verde; o addirittura spezzettando il terreno in lotti “buoni” e “cattivi” secondo lo schema ahimè noto – vedi Alitalia – delle bad e good companies, caricando quindi i costi sulle spalle dei cittadini.

L’altra strada consiste innanzi tutto nel convincere le banche a trasformare il loro credito in capitale, e nel costituire un organismo capace di coinvolgere tanto la parte pubblica che quella privata: ad esempio, una fondazione di partecipazione, che con la fondazione tradizionale condivide lo scopo non lucrativo, ed allo stesso tempo da essa si distingue in quanto il fondatore partecipa attivamente alla vita della fondazione; ma altre strade potrebbero essere percorse. Tutto questo però presuppone l’esistenza di un progetto serio e seriamente condiviso, capace non soltanto di convincere banche e investitori; ma anche – e soprattutto – di rispondere a quello che a mio giudizio è il nucleo essenziale di un evento come EXPO 2015. Alludo all’idea di legacy: di “legato”, di “eredità” non caduca; ma suscettibile di essere trasmessa alle generazioni a venire e di fare parte del futuro bene comune. Fino a poco tempo fa su questo tema è stato fatto poco o nulla: ci si è inizialmente trastullati con l’idea di un nuovo stadio di calcio – un ben povero esempio di legacy – e a tal fine sono state intavolate conversazioni con l’attuale proprietà indonesiana di F.C. Internazionale, e con quella ben più nota di A.C. Milan; fortunatamente però non se ne è fatto nulla.

expo cantieri10Più di recente le acque si sono mosse, ed è sceso sul campo un interlocutore di ben altro spessore – sia detto senza ironia e senza mancare di rispetto – di Thohir o di Galliani: l’Università Statale di Milano. Il Fatto Quotidiano (Renzo Rosso, Expo 2015, i terreni alla Statale di Milano. Trovato il principe azzurro?, 9 febbraio 2015) ha descritto questa ipotesi come una vera e propria calamità, denunciando la possibilità di una nuova esplosione del “mattone accademico” o un nuovo “trasloco”, come sembrerebbe essere il caso degli Erzelli a Genova. Tuttavia il rettore Gianluca Vago, in occasione del convegno sopra citato, su questo punto ha offerto una risposta chiara: l’idea non è quella di trasferire vecchie aule, o di edificarne di nuove. Si tratta invece di creare un polo della ricerca scientifica di spessore internazionale, capace di contribuire a quella innovazione tecnologica di cui l’industria italiana ha disperatamente bisogno per convertire processi e produzioni ormai obsoleti e fuori mercato, e per ritrovare la forza competitiva necessaria per scongiurare un declino irreversibile. Un’idea in fondo non lontana da quella del “parco della conoscenza” avanzata a suo tempo – sempre a proposito del dopo EXPO – dal citato Vitale e da Emilio Battisti. Raffaele Cantone, che presiede l’Autorità Anticorruzione, ha ricordato la necessità di un bando di gara anche in questa circostanza, suscitando però la reazione di molti: come ridurre al livello di una decisione da assoggettare a bando di gara quello che in realtà si presenta, o si presenterebbe come un progetto di alta politica e di «enorme rilevanza strategica, urbanistica, economica»? D’accordo; ma purtroppo anche EXPO 2015 aveva, ed ha tuttora sulla carta le medesime caratteristiche… e si è visto, anche attraverso la sommaria ricostruzione che ho fatto in questi due articoli per Succedeoggi, come poi siano effettivamente andate le cose.

Ci piaccia o no, oggi non possiamo ancora considerarci immuni dal cancro della corruzione e dal predominio della sfera delle relazioni su quella delle competenze. Del resto, lo stesso rettore della Statale ha fatto chiaramente intendere di non volere finire ostaggio o strumento della cattiva politica, e di pretendere chiarezza nei ruoli, assunzione di responsabilità e tempi decisionali stretti. Altro che i 4 anni bruciati semplicemente per mettersi d’accordo su come procurare le aree necessarie alla realizzazione di EXPO 2015…

2. Fine

Clicca qui per leggere la prima parte dell’inchiesta

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