Odetta Melazzini
Radiografia del terrorismo/4

Islam, pene e delitti

Non sempre la legge coranica coincide con quella dei Paesi che pure si ispirano a quella religione. Da qui, spesso, nascono gravi problemi individuali e sociali

Con la Rivelazione islamica Allah inviò agli uomini tre doni: il Libro, la Bilancia e il Ferro, che insieme garantiscono l’unità della ummah. Il Libro ordina il bene e proibisce il male, la Bilancia, essendo strumento di giustizia, assicura che ogni musulmano sarà giudicato da Dio con equità e, infine, il Ferro, come Legge, ha il compito di punire i malvagi. Tutta la comunità dei musulmani ha il dovere di conformarsi alla Legge  poiché essa non è una legge convenzionale, ma di origine divina. Trattandosi di un mezzo per partecipare alla realtà divina, la legge sacra richiede la consapevolezza da parte della comunità, che ne dovrebbe essere l’unico ricettacolo, di vivere conformemente alla shari’a anche qualora le condizioni esteriori la escludano dal dominio delle pubbliche istituzioni.

Questo aspetto della shari’a crea difficoltà ai musulmani che si trovano a vivere in paesi in cui il diritto islamico non è né riconosciuto né applicato, poiché si trovano a dover rispettare due diversi sistemi legislativi dei quali uno, la Legge sacra, è sovranazionale e incide direttamente sulla sfera religiosa dell’individuo. Negli ultimi anni si evidenziano, sempre più spesso, conflitti tra esigenze della società moderna e la shari’a, in cui sono riflesse altre concezioni del mondo. La civiltà musulmana sta vivendo oggi uno scontro molto acuto nelle sfere del diritto personale dove, inevitabilmente, la Legge divina continua a dominare i comportamenti degli individui. Si può pensare, ad esempio, all’istituto dello scioglimento del matrimonio che viene esplicitamente concesso dal Corano al solo marito (ripudio), senza stabilire alcun limite alla sua libertà. Oggi vi sono, rispetto a questo istituto, diverse regolamentazioni: vi sono paesi come la Tunisia in cui il ripudio unilaterale è impedito dalla legge e sostituito dal divorzio, cui possono accedere entrambi i coniugi; paesi nei cui codici il ripudio da parte del marito è limitato da norme statuali e anche alle donne è concesso di avviare pratiche per lo scioglimento del matrimonio; paesi (Arabia Saudita e altri paesi della penisola arabica) dove vigono, tuttora, le disposizioni coraniche. È evidente, quindi, che il musulmano non trova difficoltà nell’applicazione della Legge divina solo in paesi in cui l’Islam è una religione di minoranza, ma anche in Stati tradizionalmente islamici.

islamNell’Islam ciò che sancisce la condotta privata dell’individuo sancisce anche la sua condotta pubblica. La comunità islamica deve, quindi, essere vista come un corpo unico, unito dallo stesso fine, dallo stesso destino e dalla stessa legge che regola tutti gli aspetti della vita al di là del fatto che essa partecipi di contesti storici, politici, o geografici diversi. Secondo la legge islamica l’umanità intera è un’unica nazione e i musulmani dovrebbero dedicarsi al bene di tutti.

Un’importante affermazione presente nella shari’a è quella che insiste sulla sacralità dell’esistenza. Ogni musulmano nel dovere di adempiere i precetti della propria fede e della propria sottomissione ad Allah è tenuto a farlo con sincerità, gentilezza e attenzione al bene di tutti. Coloro che deliberatamente offendono o feriscono un altro essere umano, verranno puniti severamente, in quanto al musulmano è richiesto di essere guardiano del fratello e non il suo nemico. Questo concetto sarà di fondamentale importanza nell’analisi dei fenomeni terroristi di matrice islamica.

Poiché la legge è di origine divina, la giustizia deve essere amministrata in nome di Allah; ogni ingiustizia, di qualsiasi genere essa sia, deve essere considerata come una grave trasgressione nei confronti di Dio e un allontanamento dai Suoi benedici e dalla Sua Grazie. Agire con giustizia è per i musulmani un dovere religioso e, allo stesso tempo, un atto di devozione.

La religione islamica e la Legge sacra non possono essere imposte a nessuno, sulla base di precise indicazioni del Corano e di Maometto. Su questo presupposto la shari’a regola le relazioni tra musulmani e non musulmani, garantendo a tutti i credenti la pratica del culto.

Le azioni umane sono classificate secondo cinque categorie etiche: obbligatorie (fard o wajib), la cui mancata osservanza può essere punita duramente; raccomandate (mandub o mustahabb); permesse (ja’iz o mubah); sconsigliate (makruh); proibite (haram). Non v’è dubbio che un tale sistema richieda che in ogni atto umano vi sia una partecipazione religiosa e morale dell’uomo (fede, intenzione e volontà), che va oltre il piano giuridico. Questo aspetto è ben evidenziato dal fatto che la maggior parte delle azioni classificate come obbligatorie, raccomandate, permesse o consigliate sono ricondotte a una norma generale, nota come la legge della decisione ferma e dell’addolcimento della decisione, che conferisce alle categorie stesse quasi il valore di un decreto legale.

Tutte le prescrizioni delle azioni umane sopra descritte danno la priorità ai benefici e non alle punizioni, perché il musulmano deve conformare la sua vita sempre in vista della grazia che Allah gli donerà alla fine della sua vita terrena.

terrorismo islamicoLa shari’a non distingue nettamente il peccato dal reato, dato il carattere religioso dell’intero sistema giuridico. Il diritto penale fa la sua apparizione come disciplina relativamente autonoma solo verso il XVIII secolo. I reati si possono distinguere in tre categorie e le pene seguono la stessa classificazione.

Alla prima categoria di reati appartengono quelli espressamente puniti dal Corano e dai hadith. Essi sono detti anche hudud, sono i più gravi e il giudice ha nei loro riguardi un potere discrezionale molto limitato. Le pene per questi reati sono molto severe: per i reati contro Allah, quali l’apostasia, la bestemmia o l’adulterio sono previste la flagellazione e la pena di morte; pene corporali vengono applicate a reati gravi come il furto o il brigantaggio. Questi reati sono sempre perseguibili d’ufficio, perché rivolti contro Dio e lo stato è il vicario di Dio sulla terra.

Alla seconda categoria appartengono i delitti di sangue (reati qisas). Anche qui le pene sono determinate dal Corano e dai hadith; la discrezionalità del giudice è limitata. Questi reati sono puniti con la legge del taglione, la quale, a discrezione della vittima o della famiglia, può essere sostituita dal pagamento del prezzo del sangue o dal perdono. Nell’applicazione della legge del taglione il giudice islamico non tiene conto della volontarietà dell’atto, ma si limita a impedire la vendetta sorvegliando l’equa applicazione della pena del taglione o, se la parte accetta, del pagamento del prezzo del sangue. Può sembrare eccessiva una discrezionalità che oscilla tra una pena grave come il taglione e il perdono ma quest’ultima alternativa risulta più comprensibile se si ricorda che il diritto islamico classico non teneva conto della volontarietà dell’atto. In caso di incidente, per esempio, il perdono è una soluzione equa.

La terza categoria di reati – detti tazir – comprende infine quei comportamenti che, di epoca in epoca, sono stati considerati nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali né il Corano né i hadith prevedono pene specifiche. La loro punizione ricade nell’ambito dell’assoluta discrezionalità del giudice. Risulta, perciò, difficile fissarne con precisione la fattispecie, perché variano di luogo in luogo e di epoca in epoca. Innanzitutto i reati che non sono né hududqisas sono tasir. Le sanzioni sono quelle tipiche di uno stato non strutturato amministrativamente: prigione, fustigazione, confisca dei beni, ammonimento del giudice e così via, fino alla sanzione sociale consistente nel togliere in modo ignominioso il turbante al colpevole (che era il simbolo esterno dello stato sociale di chi lo portava). Discrezionalità non significa arbitrarietà. Un tempo essa era indispensabile a causa della vaghezza del termine reato: in questo vasto ambito, il giudice, che doveva essere dotto e pio, valutava caso per caso come decidere. E’ chiaro che se il giudice non è né dotto né pio, ma lo strumento di una dittatura, l’elemento deterrente insito nelle pene coraniche diviene uno strumento di repressione politica.

islam2I vari tipi di reato si distinguono in base alla fattispecie, alla prova richiesta e alla pena prevista. I reati hudud sono: adulterio, diffamazione, apostasia, brigantaggio, uso di bevande alcoliche, furto, ribellione; i reati qisas: omicidio volontario con un’arma, omicidio volontario, omicidio per fatto involontario, omicidio indiretto, lesione corporale volontaria, lesione corporale involontaria; reati tasir: sodomia, importazione, esportazione, trasporto, produzione o vendita di vino, reati minori (disobbedienza al marito, insulti a terzi), diserzione, appropriazione indebita, falsa testimonianza, evasione fiscale, vari reati minori, reo recidivo per un reato tari, usura, corruzione, violazione dei doveri derivanti da negozi fiduciari.

La procedura giudiziaria è molto agile e pratica. Il giudice è di nomina politica e deve essere un musulmano, pienamente capace, di condotta irreprensibile e di notevole scienza giuridica. Il qadi, giudicando secondo una legge divina, non è mandatario del principe. Accanto al giudice e nominati da lui ci sono in genere un na’ib (sostituto), dei giurisperiti ai quali può chiedere consiglio, un muzakka, perito che giudica dell’idoneità legale dei testimoni e ne riferisce al giudice in segreto, e i periti sulla divisione dell’eredità. Nel diritto islamico manca ogni appello e il giudice si occupa anche dell’esecuzione della sentenza. Se il qadi necessita di una precisazione circa i termini giuridici della questione che gli è stata sottoposta, richiede la consulenza di un mufti (giurisperito) che emette una fatwa. Essendo la fatwa un’opinione personale, per quanto autorevole, non ne discende automaticamente che il responso debba essere applicato. La visione occidentale per cui la fatwa sia una condanna a morte da parte della comunità islamica. Come si è visto, questo non corrisponde alla realtà sebbene sia uno dei possibili significati.

4. Continua

Clicca qui per leggere la prima parte: «Gli islam del mondo»

Clicca qui per leggere la seconda parte: «I verbi di Dio»

Clicca qui per leggere la terza parte: «La catena dell’islam»

Facebooktwitterlinkedin