Lidia Lombardi
La domenica: itinerari per un giorno di festa

Tutta Roma al ballo del principe

In occasione del Carnevale, visita alle case patrizie dove nei grandi saloni impazzavano le feste in maschera: Villa Torlonia, Palazzo Corsini, Castello Massimo

«L’ultimo grande ballo l’ho dato io. Per il debutto in società di mia figlia Claudia. Era il ’65. Suonavano trenta violini tzigani. Mille invitati. Cinque anni prima, altra memorabile festa. In occasione delle Olimpiadi a Roma». Lillio Sforza Ruspoli, il principe più carismatico di Roma, accarezza col ricordo quello che avveniva nella Galleria delle Feste del suo palazzo, in via del Corso. «Da terra al soffitto, pareti affrescate da Jacopo Zucchi. Mio fratello Alessandro ha venduto quest’ala del palazzo alla famiglia Memmo. Sa, proprio sotto la Galleria delle Feste, dove si accede alle mostre della Fondazione, c’era nell’Ottocento il Caffè di Palazzo Ruspoli. Il più frequentato da scrittori e artisti. Il brio, lo racconta pure Stendhal, era un po’ rovinato dalla puzza dei broccoli trasportati dai carretti lungo la sterrata del Corso. Però, a Carnevale, lo scalino alto 80 centimetri tutto attorno al nostro palazzo era il posto privilegiato per assistere alla corsa dei cavalli berberi che partivano da piazza del Popolo per arrivare fino a piazza Venezia. Mussolini lo fece togliere per facilitare il passaggio dei tram. Però, la corsa… Sarebbe bello tornasse proprio com’era».

carnevale-al-corsoLe feste, i balli, l’ubriacatura collettiva del Carnevale. Quel semel in anno licet insanire che faceva della città di Papa Re la più lasciva del mondo. Una frenesia che si percepisce ancora nella maniacale attenzione dedicata dalle famiglie romane ai locali per i ricevimenti. Ad architetti, pittori, arredatori chiedevano estro soprattutto per quel punto della villa o del palazzo che spiattellava al mondo il loro potere, la loro ricchezza. Prendete per esempio il vestibolo del palazzo Corsini alla Lungara, comprato nel 1735 da Neri Corsini e da suo fratello, porporati e nipoti del pontefice Clemente XII. Ferdinando Fuga ampliò il palazzo del duca Riario. Il cortile dava accesso al salone delle feste (oggi Sala delle Adunanze Solenni dell’Accademia dei Lincei). E pure in tale «anticamera» si danzava. I profondissimi cassettoni in stucco sono perfetta cassa acustica. In alto, protetta dalla ringhiera in ferro battuto leggera come un merletto, suonava l’orchestra. E il piano inclinato del «soppalco» favoriva la discesa della musica sugli invitati. Una visita al nobile edificio, magari una sbirciata al cortile, vi riporterà a quella magica atmosfera.

Marmi a profusione invece nel Casino Nobile di Villa Torlonia, da alcuni anni riaperto al pubblico e sede museale. Per «illuminare» le stanze di gala il principe Giovanni Torlonia si svenò. Nel 1806 le affidò al Valadier, l’architetto-divo del neoclassicismo. Una schiera di pittori, artigiani, decoratori e scultori trasformarono la salle à manger in sala da ballo. Dipinti, stucchi, dorature, le storie di Amore affrescate nella volta. Due orchestre erano sistemate in una sorta di Parnaso, sopra una teoria di colonne candide. Musica, fiori, profumi e belle donne. Capaci di volteggiare sul pavimento di marmo, lucidato a specchio. Chissà se Mussolini, inquilino della Villa per vent’anni, avrà imposto un virile caschè a donna Rachele.

Fiaccole e coppie intrecciate nel valzer nelle residenze di campagna, perfette per le serate corrusche di sete e gioielli indossati dai regali ospiti. Ad Ariccia il berniniano Palazzo Chigi trasformò nel Seicento la «sala maestra» in salone delle feste. Vi si allestivano prime di melodrammi, come L’Adalinda, ovvero gli inganni innocenti. Carlo Fontana firmava le scenografie, tanto imponenti da richiedere di smontare i soffitti. Suonava l’Accademia degli Sfaccendati (oggi un’istituzione musicale dal medesimo nome organizza qui splendidi concerti) e la sala si riempiva fino al soffitto di palchetti. Al posto d’onore, la regina Cristina di Svezia o il Granduca di Toscana.

Anche i Massimo, in vacanza ad Arsoli, illuminavano a giorno il castello di famiglia che oggi affitta sale per ricevimenti nuziali. «Foriporta», tra Boccea e Acquafredda, la «Fogaccia», residenza di campagna dei principi Giovanelli. A inizio ’900 il casale fu risistemato da Marcello Piacentini. Si ballava (e si balla ancora) nella sala dal pavimento in cotto interrotto dallo stemma bianco-celeste coi gigli. Il soffitto a cassettoni, di legno scuro, è acusticamente meglio di un violino. La scala di travertino accompagna al debutto le cenerentole di turno. Dal giardino arriva l’odore di agrumi e, d’estate, di oleandri. Sognare tra le braccia del principe è inevitabile.

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