Andrea Carraro
Lo spettatore tardivo

La passione postuma

Riguardando “The Passion" di Mel Gibson si scopre la tensione religiosa al di là della realistica violenza. Un film "filologico", tanto quanto il Vangelo di Pasolini era metaforico

Quando uscì nelle sale, nel 2004, spaventato da alcuni giudizi (parlo di The Passion di Mel Gibson) che lo definivano un prodotto finanche pornografico, di gratuita violenza, avevo deciso di non vederlo. E sono rimasto fedele a questo proposito fino a oggi, sfuggendo anche ai numerosi passaggi televisivi. Poi l’anno scorso mi capita di andare a Matera, dove sono stati girati diversi film del filone biblico fra cui The Passion e il primo della serie, Il vangelo secondo Matteo di Pasolini (ricordo che il film di Gibson è stato interamente lavorato in Italia: gli esterni sono stati girati a Matera appunto, e al paese fantasma Craco, nel materano, mentre gli interni presso gli studi di Cinecittà). «Credo che nessun posto al mondo riesca a incarnare in modo così pregnante, mistico il Golgota, la salita del Calvario, il luogo della crocifissione», ci aveva detto la guida turistica, mentre visitavamo in gruppo alcune grotte materane, invitandoci a fotografare il brullo paesaggio che si profilava sopra l’anfiteatro dei Sassi (Sasso Caveoso, il più antico) dove erano state filmate quelle famose sequenze: un’erta aspra che si arrampicava fra le rocce e la terra arida e culminava in una grossa croce di ferro lasciata lì a futura memoria. C’era un cielo eccezionalmente limpido in quella giornata estiva, un sole non ancora accecante per via dell’ora – potevano essere le dieci di mattina – e quel paesaggio si fissò con grande forza nella mia memoria e nella mia immaginazione, grazie anche alle numerose foto che scattai.

Finché un bel giorno ho tradito il mio proposito e mi sono comprato, quasi di nascosto a me stesso, un dvd del film di Gibson in una bancarella del mercato e, memore di quella visita, me lo sono visto, in una condizione svogliata e quasi clandestina, alle undici di mattina, mentre i miei (mia moglie e mio figlio) non c’erano. Del resto non potevo fare altrimenti, giacché con loro avevo sempre espresso un disprezzo assoluto verso quella pellicola, soltanto sulla base di giudizi letti o riferiti. «Mio fratello è figlio unico/ perché non ha mai giudicato un film/ senza prima, prima vederlo» aveva cantato Rino Gaetano in una famosa canzone che avevo amato (e amo) ma evidentemente senza trarne al bisogno un utile insegnamento.

the passion mel gibson2A ogni modo non volevo dare nessuna importanza alla visione di quel polpettone pulp/horror volgare e osceno (tale lo avevano definito), lo relegavo a un ritaglio di tempo, al piccolo schermo, ai probabili difetti di riproduzione. Tale insomma lo spirito con cui mi sono accostato al film.

Beh, The Passion of the Christdi Mel Gibson a parer mio è tutt’altro che un film pornografico. È un film lucidissimo da un punto di vista formale e storiografico, sia pure con qualche licenza espressionistica, iperrealistica, che alcuni critici sapientoni non hanno mancato di sottolineare (i buchi prefabbricati della croce, l’invenzione del Diavolo, ecc.). Un film che sposa una tesi fino alle estreme conseguenze, estetiche e morali. È un film cupo e notturno, che non vuole mai essere guardato, ma anzi respinge (quindi non voyeuristico). Che propone un’interrogazione alta sul significato cristiano ma anche laico del martirio, del sacrificio. Un film segnato da un profondo senso religioso. Al gusto sadico di questi nostri tempi avvezzi alle macellerie seriali di molta produzione cinematografica, non si poteva proporre – al grande pubblico, com’era nell’intenzione dell’autore – un prodotto anestetizzato. Se dobbiamo parlare di violenza – perché di questo si tratta, sia chiaro, tutta la passione di Cristo è contrassegnata dalla violenza – con la medesima violenza occorre farci i conti.

E Mel Gibson ce li fa, con una rara fedeltà alla sceneggiatura evangelica, con una quasi maniacale attenzione filologica (gli ebrei che parlano l’aramaico, i romani il latino), con un potente effetto di realtà. Insomma, ci si crede fino in fondo alla storia che ci racconta Mel Gibson, non si esce dalla visione illesi e vagamente appagati(come per esempio dopo aver visto il Gesù di Nazareth di Zeffirelli). Il film, nonostante il gravame di duemila anni di rappresentazioni, raffigurazioni bibliche sulle spalle, è un poderoso cazzotto allo stomaco. Ti porta con impassibile durezza alla sua verità, che si avvita tutta attorno al sadico accanimento della flagellazione, del Calvario e della Crocifissione. Il vero Scandalo – sembra dirci il regista – non è tanto l’uccisione di Gesù, ma la inumana violenza a cui è stato sottoposto. L’uomo che arriva sulla croce è già un moribondo. E forse nessuno prima di questo film lo aveva espresso con la stessa brutale evidenza.

il vangelo secondo matteo pasoliniPer cui non ha nessun senso paragonare il film di Gibson a Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, seppure girato in quegli stessi luoghi, come si è tentati di fare. Sarebbe arbitrario come paragonare, che so, tra i film di guerra, Platoon di Oliver Stone e Orizzonti di gloria di Kubrick. Il Vangelo di Pasolini è un film sommamente poetico, un film d’autore a tutto tondo, forse la vetta più alta raggiunta da un indiscusso poeta del secolo passato. Il film di Mel Gibson è contenutistico, crudo, spettacolare, scritto in fondo per un vasto pubblico (quello di Hollywood). Il Vangelo pasoliniano racconta tutta la vita di Gesù, non soltanto la passione. The Passion – con la sua esasperata rappresentazione della violenza – è un grido che si leva contro la violenza stessa, impudico, spettacolare, proprio come quello contro la guerra di Platoon di Oliver Stone sul Vietnam. Qualche volta sconfinano entrambi nel kitsch spettacolaristico, forse, ma raggiungono un vasto pubblico e gli lanciano un messaggio potente e privo di ambiguità. Il film di Pasolini è un film casto, di una classica compostezza e disadorna essenzialità, perfino tecnicamente povero e imperfetto in certi passaggi, mentre The passion è eccessivo, caotico, carico di effetti (si vedano le scene iniziali al ralenti, nel Gestemani, peraltro assai belle, solo a titolo d’esempio). Tanto il film di Pasolini si colloca fuori del tempo, quanto The Passion, per via dello stile, è fortemente legato all’estetica dominante oggi ma, ripeto, senza complicità voyeuristiche.

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