Vincenzo Nuzzo
Prima di tornare con i piedi per terra

Ecco Lisbona!

Arrivando in aereo, la città pare sospesa nell'acqua: prima l'estuario irregolare del Tejo e poi l'Oceano. Ma è solo una delle mille metamorfosi di questa metropoli/teatro

Quando si arriva in aereo a Lisbona chissà perché sempre ci si perde. Il serpeggiare lunghissimo e pigro del bruno Tejo, dai lontani monti spagnoli dai quali proviene, improvvisamente si interrompe per dilatarsi in una specie di amplissimo estuario costellato di isole sabbiose, da un groviglio di piccoli corsi d’acqua, profonde insenature e larghe baie. Tutte splendenti. E da un lato all’altro un ponte lunghissimo. Inverosimile come tutto il resto.

Ma Lisbona ancora non si vede. Dov’è mai? La cerchi con lo sguardo, come al solito dimentico che essa guarda a sud e non invece a nord. In realtà se ne sta nascosta un po’ più avanti sotto la pancia dell’aereo. In agguato. Ma tu non la vedi. Vedi delle sponde cosparse di radi agglomerati di casette. Vedi l’acqua grigio-verde con qualche tocco di tremulo azzurro. Vedi il sole riflettersi su una miriade di lagune specchianti a perdita d’occhio. Ma Lisbona non la vedi. Non vedi il braccio di fiume che la spacca in due. E non vedi nemmeno il mare.

Poi un po’ alla volta accade qualcosa. L’immenso estuario era un trucco. Non era un estuario ma solo un dilatarsi inspiegabile del fiume. Un curioso aneurisma. Una molle sacca venosa. In un insensato ed inspiegato disperdicio di dimensioni. E allora di colpo ti ricordi a cosa mai questo somigliava. Un’assonanza fulminea che per un attimo stava per lanciarti in modo misterioso su una prospettiva di spazio immensa e che aveva anch’essa dell’improbabile. Somigliava allo stesso intrico di lagune e corsi d’acqua (sebbene su scala molto maggiore e con un ben più sontuoso sfoggio di dovizie naturali) della città gemella: Rio de Janeiro.

È solo dopo aver assolto a quest’opera di riconoscimento di analogici misteri geografici che Lisbona finalmente si annuncia rivelandosi. L’estuario infatti si restringe e diviene da lassù uno stretto canale. Chi avrebbe mai detto che quel tratto d’acqua che in città sembra venire immutato dall’infinito non è altro che una specie di canale veneziano. Esso si allarga appena nello stretto spazio tra il largo e massiccio mammellone di terra che aggetta nel fiume con un’ampia curva convessa (e su cui le caso iniziano a moltiplicarsi ed addossarsi), e la sponda scoscesa che la segue passo passo dall’altro lato.

È allora che inizi a scorgere i confortanti punti di riferimento: i primi docs sotto Lapa e Madragoa, il rettangolino ombreggiato e quasi invisibile di Praça do Comercio, la larga macchia verde scuro di Monsanto e la lunga losanga di Parque Edoardo VII, e più lontano Belém. Ed è esattamente allora che scorgi stupito il mare. Incredibilmente vicino alla città, che pensavi solo di fiume. Più vicino di quanto mai avresti pensato. Una lunga e lenta curva estendentesi verso sud appena un po’ più in là della sponda dirimpetto ad essa. città. Quasi a ridosso delle sue basse e tonde colline. Se ne sta lì. Non appena l’estuario, dopo essere stato forzato a sfilare come una maestosa squadra navale tra le due così prossime sponde, finalmente supera la barra e di colpo, senza nemmeno avvertirti, si getta nell’Oceano.

E l’aereo planando placido la segue. Una larga lingua dai contorni perfetti fuoriesce dalla terra in mare aperto e ne tinge a perdita d’occhio di color cioccolata le acque azzurre. E lì come sempre le onde che corrono spumose. E la lunga ribattente risacca che irrompe sulle spiagge color tabacco di Cascais e dell’Estoril. Qui da qualche parte trascorse in una fronzuta villa il suo lungo esilio il nostro ultimo re. Ultimo erede, in questa terra in cui il tempo da sempre procede più lento che altrove, di una lunghissima spina dorsale storica che una volta aveva attraversato il nostro paese nel bel mezzo di glorie, infamie e tragedie di ogni genere. C’è anche parte della nostra memoria qui!

tago tejo lisbona2Sulla sponda dell’Oceano sempre battuta dal vento, l’aereo continua ad entrarvi dentro. Che ti chiedi dove mai stia andando. Forse che il pilota, affascinato dallo scintillio azzurro-smaltato, ha dimenticato di virare e si stia lasciando portare trasognato dai venti lungo le antiche rotte che poco a poco piegano a sud verso le mete delle Grandi Scoperte? Chissà? Ancora una volta sospensione e sorpresa. Ancora una volta mistero innestato nel bel mezzo del più prosaico ordinario.

«Che significa Lisbona? Che significa questa terra ai bordi del ventoso Infinito?», ti stai quasi cominciando a chiedere, che di colpo arriva la virata. L’ala destra si impenna e scivola in profondità. E l’azzurra tavola scintillante si fa di colpo vicina. La fusoliera oscilla non poco investita dal vento gagliardo. Il velivolo ritrova l’assetto ma plana ballonzolando sul vento come fosse un gabbiano. Saggia il vento e vi si adagia puntando ancora la prua verso il basso.

Intanto Lisbona era diventata lontana. Ma ora ti sta di colpo quasi davanti. Eccola. E l’aereo vi si avventa sopra. Prima che abbia completato la virata hai ancora il tempo di scorgere un’altra vasta curva di costa vagamente spumeggiante più a sud. Oltre il dirupato Cabo Espichel affondante i suoi piedi nelle profondità sconosciute di quel mare sconosciuto. Sconosciuto per noi Mediterranei. Mare fiabesco ma non mitico. Mare celtico e goto con profonde venature di arabo e giudaico. Mare severo e corrusco. Mare che ha in serbo ben più abbondanti e remoti misteri del Mare Nostrum. Mare dilatantesi nello spazio invece che nel tempo. Infinite le alienità ai suoi estremi confini. Alcune inquietanti. Ma che tutte questo popolo ebbe il coraggio di rendere prossime ed ormai ordinarie. Dirupi costieri, baie placide, debordanti verzure costellate di spiagge di sabbia bianca. Ed oltre ancora foreste impenetrabili ed oscure. E monti altissimi. Deserti ed ori e pietre.

Tutto si può scorgere da qui.

Ma ora divoriamo la terra cosparsa di non più riconoscibili ed anonime architetture che ormai vicinissime ci scivolano velocissime sotto i piedi : ‒ grattacieli, stadi, viadotti, serpeggianti autostrade, piazze e piazze. La lunga costola das Aguas Livres. Sorvoliamo il tutto a volo radente. Il mistero è finito ed inizia l’ordinario.

La pista è vicina. Il vento ci spinge e continua a farci paurosamente oscillare. Ma l’atterraggio è assolutamente morbido.

Ecco Lisbona!

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