Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

L’inferno di Obama

Il presidente che ha scommesso di più sul pacifismo si trova a dove affrontare una crisi militare gravissima come quella con Putin per l'Ucraina. Per questo, il pericolo di una nuova guerra (fredda?) è concreto

È strano il clima di questi ultimi giorni: molte ombre inquietanti getta su tutto l’Occidente la vicenda dell’Ucraina, la quale presenta interrogativi e dubbi di non facile soluzione. E non sembra essere di grande aiuto l’ultimo incontro di Obama con la Merkel che si è svolto a Washington. Semplicemente mette “in hold” la soluzione che per ora si limita alle sanzioni nei confronti della Russia, prima dell’incontro tra la Cancelliera tedesca e Putin. Soffiano pericolosi venti di guerra. Non si capisce bene se sarà l’inizio di una nuova guerra fredda su larga scala tra gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali da un lato e la Russia dall’altro come ai vecchi tempi, oppure di un conflitto vero e proprio, locale e fratricida, destinato a trascinarsi nel tempo. Certo le vittime sono già tante e la carneficina va fermata.

Obama si trova in una posizione molto delicata. Da un lato si sente stretto da un Parlamento a maggioranza repubblicana in cui i “ falchi” alla McCain pressano per l’invio di aiuti militari all’Ucraina e dall’altro dagli alleati europei, con in testa la Cancelliera tedesca, che invece  si dicono contrari all’escalation militare in favore di una soluzione diplomatica. Per il presidente americano che ha fatto della sua convinzione pacifista e contraria alla guerra una bandiera, è difficile fare dichiarazioni favorevoli all’invio di aiuti militari senza contraddirsi. Come è accaduto in Siria, dove poi non è andato. La pressione tuttavia è enorme specie alla luce del recente rapporto del Pentagono sulla sicurezza nazionale che il Los Angeles Times descrive in toni allarmanti affermando che «l’attività militare della Russia è al suo punto più alto dalla Guerra fredda, attacchi distruttivi ai sistemi di computer degli Stati Uniti sponsorizzati da stati esteri sono in crescita e lo Stato islamico si sta espandendo in zone di grande instabilità nel nord Africa». Tuttavia i gruppi terroristici come lo Stato islamico e Al Qaeda – si afferma nel documento – possono causare danni, ma non costituiscono una vera e propria minaccia.

ucraina2Che invece sembra essere costituita da «Putin che ha sviluppato nuove tecnologie missilistiche e ha stanziato basi nelle sue regioni artiche, incrementando l’uso di aerei spia e navi da sorveglianza in tutto il globo. Gli analisti si aspettano molte operazioni aeree e navali nei Caraibi e nel Mediterraneo quest’anno», come ha riferito il generale Vincent Stewart direttore della Defence Intelligence Agency.  Le cui parole rimandano anche nella terminologia ai tempi della vecchia guerra fredda. Il generale ha esteso la sua osservazione anche alla Cina che assieme alla Russia costituisce un pericolo molto più serio – afferma – in quanto sta conducendo ricerche e sviluppando armi antisatellite con l’intento di impedire agli Stati Uniti l’uso dello spazio in caso di conflitto. «Ad un basso costo con limitate esperienze tecniche – continua il generale – questi nostri avversari hanno la possibilità di causare danni seri e un crollo dei sistemi americani, lasciando poche impronte o addirittura nessuna dietro di loro. Il misto in continua evoluzione di minacce terroristiche, cyber-tecnologiche e militari è la sfida più importante del nostro tempo. E non vedo il problema risolversi a breve tempo».

-Ma al di là degli oggettivi pericoli di cui nessuno dubita, negli Stati Uniti c’è un crescente consenso, anche nella stampa liberal, nei confronti di un recupero della leadership americana nel mondo. Si dice, infatti, che quando questa è venuta meno – come scrive un editoriale del Washington Post – «il mondo è divenuto più pericoloso» e addirittura ciò «rappresenta un pericolo per la prosperità americana» giungendo alla conclusione che «mentre gli Stati Uniti si sottraggono a questo ruolo la marea della democrazia nel mondo, che una volta sembrava inesorabile, si è ritirata». E ancora il Washington Post,in un articolo di ieri di Greg Jaffe,accusa Obama di endemica indecisione nella politica internazionale che richiederebbe, secondo il giornalista più coraggio: «La prudenza sembra il marchio distintivo della sua politica estera degli ultimi sei anni: Obama ha passato mesi a rivedere la sua strategia in Afghanistan nel 2009 prima di decidere di inviare truppe, è stato dibattuto se bombardare la Siria dopo che quel governo aveva usato le armi chimiche contro la sua stessa gente e nei primi giorni della Primavera Araba è stato titubante se scegliere tra coloro che protestavano e il presidente Hosni Mubarak per settimane prima di decidere che era tempo per il dittatore di andarsene».

Ovviamente non è cosi semplice agire unilateralmente e in maniera coerente quando si è contrari alla guerra e alla violenza. Inoltre c’è un ulteriore problema a complicare la decisione di Obama e di cui va tenuto conto secondo l’ottica americana. Ad Obama serve l’aiuto di Putin per dirimere la questione del nucleare in Iran, specie sotto la spinta pressante di Israele. Dunque una partita ancora tutta da giocare che tuttavia, per ironia della sorte, vede un presidente come Obama così contrario alla guerra trovarsi invischiato in così tanti conflitti possibili su cui presto dovrà fare delle scelte.

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