Valentina Mezzacappa
Dal 25 febbraio sui nostri schermi

L’epica british dei Kingsman

Irriverente, pieno di umorismo ma nello stesso tempo assai complesso, il film di Matthew Vaughn sulle prodezze di un’agenzia di spionaggio inglese basato sul graphic novel di Mark Millar è l’esperimento cinematografico più curioso dell’anno

Arriva in Italia il 25 Febbraio Kingsman: Secret Service, l’ultima fatica cinematografica di Matthew Vaughn (Stardust, Kick-Ass, X-Men), basata sull’omonimo graphic novel di Mark Millar. Nel cast Colin Firth, Taron Egerton ma anche Michael Caine, Samuel L. Jackson e Mark Strong. La trama in breve: un’agenzia di spionaggio fondata da alcuni degli uomini più potenti e ricchi della Gran Bretagna permette a un giovane proletario di prendere parte alle sue selezioni mentre un perfido genio del computer cerca di conquistare il mondo.

Kingsman è una commedia d’azione ma anche uno spy film che conserva quell’irriverenza e quel senso dell’umorismo tanto caro al genere del graphic novel. Affronta inoltre, e lo fa con intelligenza, i temi tradizionali del blockbuster d’azione americano (la redenzione dell’eroe, la figura del mentore, l’eterna battaglia fra le forze del bene e quelle del male) con uno stile tutto British. Chiariamo subito una cosa però: qui nessuno discorre amabilmente del tempo mentre sorseggia del tè. Kingsman è un film d’azione, una commedia a tratti nera e a tratti satirica, irriverente, sartorialmente consapevole e capace anche di affrontare tematiche delicate come la lotta di classe, la tirannia delle telecomunicazioni, il terrorismo e molto, molto altro.

Kingsman 2Questo è un film di tempra e uno dei tanti modi in cui decide di dimostrarlo è costruendo una storia composta da ben due trame di egual peso: l’agente segreto Harry Hart (Colin Firth) che decide di diventare il mentore del ragazzo di periferia Eggsy (Taron Egerton) e la guerra fra Hart e il cattivo della storia, Valentine (Samuel L. Jackson). Molti film hanno la tendenza a sgonfiarsi quando raggiungono le sequenze centrali ma Kingsman riesce a preservare il ritmo nonostante la complessità della sua struttura. Personalmente avrei preferito sapere qualcosa in più sul percorso di Eggsy ma il modo in cui le due trame convergono inaugurando la sequenza della battaglia finale conferisce all’intera operazione un buon equilibrio e amplia il box office target. Sono i personaggi a sorreggere il film. Hart è un personaggio ben bilanciato, dotato di una simmetria che ritrae adeguatamente le sue interazioni con il mondo circostante e con i propri paesaggi interiori. Qui la caratterizzazione dei personaggi coglie una grande verità: la vita è estremamente complessa. Non è nera, non è bianca, ma è ogni sfumatura presente tra i due estremi dello spettro cromatico. La buona caratterizzazione dei personaggi permette alla trama di fare il suo corso in maniera fluida, salvando i punti cardine della struttura narrativa dalla minaccia della prevedibilità.

Kingsman è una pellicola ricca di autoironia e sequenze mozzafiato. Un esempio? I titoli di apertura, gli inseguimenti, le baruffe da pub, la presenza di una Kingsman Girl bella quanto mortale, le esplosioni, il sofisticato arsenale a disposizione degli agenti segreti. Ma è anche un film che si pone senza intellettualismi autoreferenziali e noiosi interessanti quesiti sul destino del genere spy e propone citazioni colte senza penalizzare il divertimento. Guardando Kingsman non si può non pensare alla pellicola del 1948 di Roy Boulting, The Guinea Pig, con Richard Attenborough nei panni di un giovane proletario che vince una borsa di studio per accedere a un’importante scuola privata. E la riconoscenza della principessa svedese (che pare abbia scandalizzato alcuni colleghi) fa sorridere e anche venire un po’ di nostalgia perché ricorda tanto la saga Carry On. Vi è poi la scena durante la quale vengono nominate una serie di note università britanniche. L’ordine in cui queste vengono citate corrisponde a una classifica reale e offre una raffinata riflessione sulla struttura sociale britannica. Spassosissimo è inoltre l’esito del piano di selezione sociale del perfido e megalomane Valentine che con una buona dose di ironia nera ricorda la congiura delle polveri.

C’è però da dire che il film non è sempre bilanciato quando si addentra nei territori della lotta di classe. Nonostante Hart proponga un modello di gentiluomo basato più su una forma di nobiltà etica che di nascita, egli resta pur sempre quell’uomo che agendo nell’ombra ha salvato Margaret Thatcher da un attentato. Lascia anche un po’ perplessi l’arco di Eggsy. Forse, sarebbe stato più coerente vederlo salvare il mondo in tuta acrilica e scarpe da ginnastica? La sua trasformazione in prototipo upper-class lascia un po’ l’amaro in bocca. È anche vero però che è sempre emozionante guardare Bruce Wayne indossare il suo ben noto costume…

Seppur molto brevemente, ho affrontato l’argomento con Colin Firth durante la conferenza stampa che si è tenuta a Roma. Mi riesce davvero difficile ignorare l’aspetto sociale del film. Uno su tutti? Il fatto che i fondatori dell’agenzia segreta che dovrebbe salvare il mondo dal cattivo megalomane di turno siano gli stessi che siedono nella House of Lords e questa cosa un po’ mi fa paura. Ho chiesto a Firth se la cosa non facesse un po’ paura anche a lui.

kingsman-CaineFirth ha ammesso, con intelligente distacco, che sì, i fondatori dell’agenzia sono gli stessi della camera dei Lord ma lui non ha una grande opinione di questa istituzione anche se qualcosa di buono l’ha fatto, come votare per l’abolizione della pena capitale nel Regno Unito. I valori dei Kingsman, ha poi continuato, sono da vedere più in termini epico-letterari, come se fossero una nuova generazione di cavalieri della tavola rotonda. Taron Egerton ha poi aggiunto che in più di un’occasione il film mette in discussione il potere costituito e ne sottolinea ipocrisie e incongruenze. Il personaggio profondamente conservatore, classista e reazionario interpretato da Michael Caine permette proprio questo, soprattutto in una delle scene finali nella quale avviene un raffinato gioco di registri e inflessioni che nella versione doppiata sfortunatamente si perde.

Kingsman è un film da vedere perché è probabilmente l’esperimento cinematografico più curioso e pericoloso dell’anno. La sua dote migliore? La complessità. Kingsman è un contenitore stracolmo di materiale, idee, stimoli, influenze, punti di vista e ambiguità. Ed è lodevole come il regista e tutta la sua squadra l’abbiano incanalata creativamente trasformandola in un vero e proprio punto di forza.

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