Erminia Pellecchia
«L’eleganza del rospo» pubblicato da Cairo

Galateo postmoderno

Qual è il confine tra cattivo gusto e ridicolo nella grande fiera delle vanità (ostentate) e dell'ignoranza trasformata in cultura di massa di oggi? Un libro di Giovanni Raspini e Francesco Maria Rossi prova a rispondere

Cambiano i tempi, cambiano i codici di comportamento, cambiano i canoni estetici e del buon gusto. Tocca adattarsi e tentare di interpretare questa nuova realtà liquida che si modifica a crescente velocità. Tocca imparare come vivere (e sopravvivere) al mutante quotidiano. Tocca adeguarsi, lo suggeriva già Voltaire, come la rana che trova bello il rospo. Qual è, allora, la bussola per orientarsi in questo mondo in divenire, trascinato dal nastro trasportatore della virtualità e della globalizzazione, questa nostra Età dell’Oro di Nativi Digitali, fasulla come una patacca, consumata dal consumismo ed incapace di indicare una cifra etica ed estetica? Difficile, difficilissimo, quando un periodo storico non esprime più la capacità del fare e del pensare, quando tutto è rumore, quando alle sane regole del vivere civile si sostituiscono il buonismo furbesco e il politicamente corretto che offende, le mode cialtrone e omologate, la pubblicità e i persuasori occulti, l’eterna giovinezza di corpi rifatti e cervelli decadenti. Esiste, può esistere ancora un “galateo”, un codice comportamentale che tracci la diritta via dell’arte di vivere?

La rivoluzione della società è in atto, è inutile guardare al passato e ripescare il galateo e gli insegnamenti, ormai polverosi, di monsignor Della Casa, Baldasar Castiglione, Montaigne, Swift, Irene Brin, Matilde Serao e Colette Rosselli, alias Donna Letizia. Ci prova l’improbabile coppia Giovanni Raspini e Francesco Maria Rossi con il delizioso, umoristico, sfavillante L’eleganza del rospo (Cairo editore, 166 pagine, euro 14), il manuale postmoderno di buona educazione e cattivi pensieri. Due toscanacci dalla penna affilata come la lingua, «antimoderni, sinceramente decadenti e un po’ serpi», come si definiscono. Sicuramente di confine, in perenne trincea. Il primo è un argentiere e architetto designer con la passione del «guardare bene e veder meglio!; l’altro, giornalista, è «museificatore avanspettacolista e trasgressivo», polemico promotore del Museo del Kitsch, Trash and Camp e del Museo di Se Stesso.

L’eleganza del rospoProviamo a sfogliare il loro trattatello sull’etichetta, ha la carica esplosiva di un libello satirico. Si ride, tanto, pagina dopo pagina. Si riflette ancor di più perché la leggerezza, ha ragione Calvino nelle sue Lezioni americane, ha molte più cose da dire della pesantezza. Già l’incipit del terzo capitolo, «Il bon ton d’inizio millennio», ci apre una finestra. Parigi: una sofisticata signora dell’alta società pronuncia, in una gioielleria esclusiva, la frase icastica, degna di uno scaricatore di porto, «Elle pète plus haut que son cul». Un’espressione che rimanda al classico napoletano «pereta ca nocca!, con cui, riferendosi al soffio d’aria non proprio odoroso che può scappare anche se sei riccamente vestito e profumato, si beffeggiavano i parvenu. Ci dobbiamo scandalizzare per questa frase colorita e apparentemente triviale? Assolutamente no, è la sintesi perfetta del nostro triste tempo di snob e di arrampicatori sociali, di nani e ballerine, di boccucce a canotto e di amici del giaguaro, nato sulla scia dall’edonismo reganiano e assurto a sistema complice la tv spazzatura di Berlusconi. La fiera delle vanità ostentata, volutamente rintracciabile, tutti Grandi Fratelli di noi stessi, i social network che mettono in rete la nostra vita virtuale, l’apparire senza più essere, l’ignoranza come cultura di massa. Belli, ricchi e potenti, abbronzatura di rigore che fa tanto vacanza tutto l’anno, sessualmente attivi fino a 90 anni e oltre, basta ricorrere all’aiutino del chirurgo plastico e a quella magica pilloletta blu che fa sognare prestazioni da ventenni. La rincorsa è al lusso accessibile, quello sbandierato, ahimè, dai real time che impazzano di canale a canale: la casa, l’abbigliamento, la tavola, il divertimento, obbligatoriamente perfetti come l’imbonitore di turno comanda.

Il tempo liberato è scandito da rituali dove la democrazia – il tu che riduce le distanze – si trasforma in statuto tirannico: shopping firmati, aperitivi “felici”, cene nei ristoranti stellati comandati dalle guide, menu formulati da studiosi di enogastronomia, palestre e scuole di danza di tendenza, crociere e località turistiche gridate, poco importa se resti impalato sulla nave o nel villaggio esotico a due passi dal deserto. Il matrimonio? Come quello di Carlo e Diana. Il buffet? La mensa aziendale mascherata da finger food. Lo sport? Il golf che fa così trendy, molto di più dell’equitazione. L’arte di far salotto? La maldicenza starnazzante che ha preso il posto della sublime pratica del pettegolezzo, “gradevole”, sosteneva il meraviglioso Oscar Wilde: «Anche la storia è pettegolezzo».

In questo annullamento delle coscienze spuntano, è la logica conseguenza, dubbi esistenziali: meglio la cravatta o il papillon, il boxer o il minislip, la lingerie sexy o il sotto da educanda, l’orologio sul polsino all’Agnelli o il cronometro subacqueo da coraggioso lupo di mare, il pavimento luccicante di marmo o il cotto da villa di campagna, il servizio di tavola della nonna o l’ultimissimo oggetto di design?

«Il cattivo gusto ci ha ormai conquistati e travolti – osservano Raspini & Rossi – è uno tsunami». Come sono lontane «le buone cose di pessimo gusto» di Gozzano, il comune senso del pudore, il “camp” strappato dal mondo underground sino alla superficie luminosa delle cose e sdoganato da Susan Sontag, il kitsch geniale, creativo, «nel cui regno, ripeteva Milan Kundera, impera sempre la dittatura del cuore»… Oggi, avvertono i due simpatici autori, c’è l’impero del «cattivo gusto imitativo», del trash riconosciuto, premiato, istituzionalizzato.

L’eleganza del rospo ci trasporta verso sponde dimenticate, ci coccola con madeleine proustiane, ci spiega cos’è il vero lusso con tre diktat – Tempo, Spazio e Silenzio, la merce più preziosa – ci spalanca gli occhi introspettivamente sulla libertà di essere noi stessi, con i nostri pregi, le nostre debolezze ed i nostri difetti, innalza una preghiera laica con questo ecogalateo sacrale che ci impegna a restituire la terra proprio come l’abbiamo trovata. «A noi ci garbano i negozi di barbiere del Sud Italia – elencano – le migliaia di auto americane vintage che dopo oltre mezzo secolo girano ancora per Cuba, i vecchi circoli Acli e Arci, le vigne a cavalcapoggi delle colline toscane, gli antichi bistrot di Parigi che nel Belpaese l’Asl avrebbe già chiuso da tempo, i dandy fuori stagione, le stazioni di servizio del Midwest che sembrano uscite da un quadro di Edward Hopper, e anche il vento nella testa». Il lusso della semplicità. Dell’etica e della morale. Del fare, dell’essere e dell’avere. Lo sottoscriviamo anche noi. Con l’inchiostro indelebile.

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