Andrea Carraro
Continua il nostro dibattito sul film

Evviva Birdman!

Il film di Iñárritu è una buona riflessione sul rapporto (sempre più conflittuale) tra cultura alta e cultura bassa. Con molte digressioni da commedia. Quasi comiche!

Ho visto anch’io Birdman, il film di Alejandro González Iñárritu pluripremiato agli Oscar, che ha sollevato un interessante dibattito su queste colonne prendendo le mosse dalla stroncatura senza appello di Alessandro Boschi (clicca qui per leggerla). Devo dire che di solito mi trovo in sintonia con i giudizi del critico cinematografico di Succedeoggi, che stimo e che leggo sempre con vivo interesse. Stavolta però dissento, ecco il perché di questo intervento. A me Birdman è piaciuto, anzitutto perché, banalmente, mi ha molto divertito, ho trascorso le due ore del film senza quasi accorgermene, ed è una cosa che non mi capita spesso: di recente, tanto per dire, ho perfino mollato uno spettacolo prima della fine (il tremendo noir L’amore bugiardo – Gone Girl).

Birdman mi ha preso e mi ha strappato più di una risata per l’aspro e cinico sarcasmo di alcune sue battute (fra l’Altman di America oggi, tratto da Carver, e il Tarantino de Le iene), e per la comicità paradossale e grottesca di diverse situazioni. Una per tutte: quando Riggan Thompson, l’attore protagonista della piéce che sta per andare in scena, si trova, per un disguido che non sto a raccontarvi, in mezzo alla strada con indosso soltanto un paio di mutande bianche dal taglio antiquato. Il poveretto, magistralmente interpretato da Michael Keaton (vero mattatore del film: chissà perché a lui non hanno voluto dare l’Oscar!), è costretto ad attraversare l’ingresso affollato del teatro e la platea stracolma di gente e a entrare sulla scena in quello stato, sotto lo sguardo incredulo del pubblico e degli altri attori sul palcoscenico, dissimulando perfino la rivoltella in pugno richiesta dal copione con l’indice e il pollice della mano tesa come un perfetto deficiente. Certo, come osserva Boschi, non è certo una novità l’idea del teatro nel teatro al cinema, gli esempi si sprecano (ne cito uno solo: il magistrale Venere in Pelliccia di Roman Polanski del 2013). Ma nel film di Iñárritu c’è, in aggiunta, che Thompson è un attore, non più giovane, il quale, con quella pièce, da lui stesso scritta e messa in scena per un grande teatro di Broadway (ispirata a una famosa raccolta di racconti del grande Raymond Carver, ancora lui: Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, pubblicata in Italia da Minimum Fax), ardirebbe affrancarsi una volta per tutte dalla ingombrante figura che lo ha reso celebre, il supereroe alato e mascherato Birdman. Ed è superfluo ricordare che Michael Keaton interpretò nel 1989 proprio quel Batman di Tim Burton a cui Birdman certo rimanda, per una corrispondenza finzione-realtà ancora più intima e profonda nella gradazione metafilmica dell’opera.

Scrive severamente Boschi che il film del regista messicano tradisce una «vocazione a fare il film assoluto, imprescindibile, dopo il quale nulla sarà più uguale», «la storia delle storie», per via dei suoi compiaciuti «virtuosismi tecnici digitali», per la sua «ridondanza» ecc. Secondo il critico, il consenso tributato al film era prevedibile, vista la diffusa mediocrità del gusto: non dice proprio così, ma l’atteggiamento da «profeta disarmato» questo suggerisce. Io credo invece che il personaggio incarni assai bene il conflitto fra cultura di massa e cultura alta così tipico dei nostri tempi: e questo grazie a una sceneggiatura tesa e brillante (a parte forse il doppio finale e qualche eccesso enfatico nella voce interiore), per nulla “conciliata”, per così dire, anzi spesso “cattiva” e “disturbante”, grazie a una recitazione densa di chiaroscuri di Keaton e a una regia di prim’ordine. Per questo non posso essere d’accordo neppure con l’accusa di “paternalismo” e di “populismo” che sottende anche all’intervento di Paolo Petroni (clicca qui per leggerlo), il quale, insieme a valutazioni pure condivisibili, arriva a comparare, iperbolicamente, il gradimento per questo film al gradimento che riscuote oggi il qualunquista e criptofascista Matteo Salvini.

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